Diverse definizioni di "democrazia"
Una prima classificazione della democrazia può essere tra democrazia diretta e democrazia indiretta. Nella democrazia diretta il potere è amministrato direttamente dal popolo, come avveniva nell’antica Grecia, dove i cittadini si riunivano nell’agorà (piazza). Nella democrazia indiretta il potere è amministrato da rappresentanti del popolo (il Parlamento).
Esistono delle profonde differenze tra la democrazia degli antichi e la democrazia liberale. Già nel settecento Benjamin Costant mostra le differenze tra la concezione della democrazia degli antichi e quella dei moderni. Il teorico della liberaldemocrazia R. A. Dahl parla di tre percorsi storici: la democrazia delle Città-stato; la democrazia degli Stati-nazione; e la democrazia cosmopolitica.
In tale approccio la differenza tra la democrazia antica e moderna sta nel fatto che nella prima prevale il concetto di eguaglianza, nella seconda prevale l’idea di libertà. Per tale motivo, mentre la democrazia antica funziona con il sistema della partecipazione dei cittadini (esclusi gli schiavi, gli stranieri e le donne) tramite i meccanismi del sorteggio e della rotazione, le democrazie liberali si fondano sulla competizione tra candidati e sul meccanismo della delega tramite elezioni.
La democrazia partecipativa classica risulta possibile in epoca antica grazie a determinate condizioni: la sovranità limitata ad una sola città, la cui popolazione raramente supera i centomila abitanti; i diritti politici riconosciuti a una ristretta fetta di popolazione, poiché sono esclusi quasi i tre quarti degli abitanti (donne e schiavi). La Grecia delle poleis, la Roma repubblicana e in parte i Comuni italiani tra XII e XIV secolo sono i luoghi e i periodi storici in cui questo tipo di democrazia poté realizzarsi. Diversi studiosi pensano che le moderne tecnologie elettroniche e di telecomunicazioni potrebbero oggi consentire forme di democrazia diretta in qualche modo analoghe.
In età moderna, Rousseau tenta di far rifiorire il concetto di democrazia degli antichi. I giacobini e poi i socialisti si fanno interpreti di questa idea. Il presupposto della democrazia liberale moderna, cioè il principio della rappresentanza, è proposto tra i primi da J.S. Mill ed è oggi alla base dei regimi democratici.
La definizione di democrazia costituisce un problema tuttora aperto e ancora insoluto, perché emergono sempre più concezioni che si distaccano dal significato originale, o che ne rappresentano un’evoluzione. Il comune denominatore delle diverse concezioni della democrazia è la partecipazione del popolo. La definizione è incompleta ma è quanto basta per provare a ragionare sul rapporto tra democrazia e sussidiarietà orizzontale.
Democrazia e sussidiarietà orizzontale
La questione di fondo è se nel XXI secolo sia sostenibile la democrazia. La sostenibilità della democrazia è nel senso che le generazioni future la potranno ancora usare come forma di governo. E, in particolare, la democrazia sostenibile significa che mantiene la sua utilizzabilità di fronte alla costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale.
La democrazia rappresentativa, comunemente intesa come l’unica forma di democrazia, mostra tutti i suoi limiti. È impotente a risolvere i grandi problemi che incombono sugli Stati. La democrazia ha uno spettro più ampio di quello proprio della democrazia rappresentativa che si identifica con la democrazia politica.
Essa è altresì democrazia economica e democrazia sociale. Le Costituzioni contengono il concetto di persona umana e del suo pieno sviluppo, nonché il principio di partecipazione effettiva all’organizzazione politica economica e sociale del Paese. La democrazia completa, pertanto, integra la rappresentanza con la partecipazione. La trasformazione del ruolo del “privato” nella società e nei suoi rapporti con lo Stato in base al principio di sussidiarietà evidenzia la svolta iniziata e destinata a segnare e forse a contrassegnare il divenire del III millennio.
Il punto di partenza è l’interazione tra la democrazia e la sussidiarietà. La democrazia significa “governo del popolo”, ma comporta anche l’attribuzione al popolo di quote crescenti di effettivo esercizio del potere. In questo senso, risulta significativo l’avvertimento di Tocqueville: “non basta votare per essere liberi”. La sussidiarietà è un valore di fondo dell’ordinamento democratico, nel senso di una concezione basata sul primato giuridico della libertà della società civile e dei soggetti dello Stato-comunità nei confronti dell’autorità, presupposto di un assetto di rapporti tra potere pubblico e gruppi sociali fondato anche sulla logica dell’integrazione.
La parola sussidiarietà non possiede un valore puramente lessicale, ma ha in sé una valenza essenziale. La sussidiarietà non può rappresentare la mera applicazione di logiche di privatizzazione. La sussidiarietà si compone di un duplice aspetto che riflette due fondamentali esigenze, ossia il riconoscimento del diritto all’azione, e l’obiettivo del conseguimento dell’interesse generale. Il primo, di accezione negativa, comporta che lo Stato non debba impedire alla società di compiere le proprie attività, sia quando rispondano all’interesse particolare, che quando realizzino l’interesse generale. Il secondo, di accezione positiva, comporta che ogni autorità ha il compito di incentivare, di sostenere e, da ultimo, se necessario, di supplire i soggetti incapaci.
Lo Stato è responsabile e garante della concretizzazione dell’interesse generale. Ma non ne è più il solo attore titolare di interessi generali. La società civile concorre alla realizzazione dei compiti d’interesse generale attraverso le proprie azioni. La concreta novità apportata dal principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale attiene proprio all’aver introdotto la possibilità di prevedere nuovi strumenti giuridici per una diversa modalità di svolgimento dell’attività di interesse generale. Anche se la sussidiarietà orizzontale non presuppone l’attribuzione di potere in senso stretto, si evince un’assunzione di compiti di interesse generale per la comunità.
Sussidiarietà e interesse generale
La sussidiarietà orizzontale è un segno intangibile del profondo cambiamento in atto, che conduce al superamento dell’endiadi fra organi della democrazia e interesse generale, da una parte, e società civile e interessi privati, dall’altra.
La positivizzazione della sussidiarietà orizzontale, nel rispetto del sistema di democrazia, comporta ambiti materiali di possibile esplicazione di quote di intervento diretto della comunità.
La corrente aristotelica considera l’uomo – in senso generico – un essere in movimento, che finisce col divenire ciò che egli è. L’essere umano si definisce più per quello che fa che per quello che riceve o possiede. A ciò consegue che nella società politica occorre far di tutto per non privare alcuno dell’azione che può o vuole compiere.
La società politica è intesa come un’entità che ha un proprio destino, un’entità organica nel Medioevo, entità semplicemente strutturata nel XX secolo con la comparsa dell’individualismo. La persona, fine ultimo della società politica, si determina come un essere sociale, di cui il naturale egoismo si accompagna al bisogno altrettanto naturale di solidarietà. Un uomo si realizza nel momento in cui è chiamato a contribuire personalmente al benessere comune.
La sussidiarietà si fonda su un’antropologia specifica. Si radica in una filosofia dell’uomo e della società; e scaturisce dall’incontro di una filosofia dell’azione umana con una precisa individuazione dell’interesse generale.
L’individuo è considerato responsabile del proprio destino e capace di farsene carico. Tale filosofia nasce dal pensiero cristiano, con cui si consacra l’idea di persona come soggetto autonomo, che nessun potere può usare come mezzo.
In tal senso il bene comune – che per i moderni si è tramutato nell’interesse generale – esprime l’esigenza di una certa redistribuzione dei beni, affinché coloro che sono meno favoriti conservino la loro dignità esistenziale a dispetto della loro incapacità, temporanea o meno, di occuparsi di se stessi.
È evidente che la filosofia dell’azione umana e il perseguimento dell’interesse generale si contraddicono. Infatti, da un lato, la libertà, lasciata a se stessa, genera disuguaglianze, e, dall’altro lato, l’esigenza di solidarietà impone necessariamente la restrizione di determinate libertà, in generale attraverso forme di livellamento delle situazioni.
Il principio di sussidiarietà si compone di un duplice aspetto che riflette le due fondamentali esigenze, ossia il riconoscimento del diritto all’azione del singolo e dei gruppi sociali, e l’obiettivo del conseguimento dell’interesse generale. Il primo – di accezione negativa – comporta che lo Stato non debba impedire agli individui o alle formazioni sociali di compiere le proprie attività sia quando rispondano all’interesse particolare sia quando realizzino l’interesse generale.
Il secondo – di accezione positiva – comporta che ogni autorità ha il compito di incentivare, di sostenere e, da ultimo, se necessario, di supplire i soggetti incapaci.
In definitiva, lo Stato è responsabile e garante della concretizzazione dell’interesse generale. Ma non ne è il solo attore. La società civile concorre, in una misura che varia a seconda del tempo e del luogo, alla realizzazione dei compiti d’interesse generale attraverso le proprie azioni. La previsione della differenza tra l’attore e il garante distingue lo Stato-provvidenza dallo Stato sussidiario.
L’idea di sussidiarietà cerca di rispondere alle esigenze dell’individuo e della società cui lo stesso appartiene. Ragion per cui il principio di sussidiarietà, oltre ad essere rivalutato dalla scienza giuridica, riceve i suoi primi riconosciuti nel diritto positivo.
L’introduzione del principio di sussidiarietà ribalta le logiche centraliste e accentratrici che connotano la storia di qualsiasi ordinamento, che si attua ponendo la persona al centro nella risposta ai bisogni individuali e della comunità.
Il principio di sussidiarietà può essere riassunto come la prossimità del livello decisionale a quello di attuazione; ciò implica che, da un lato, la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio (sussidiarietà in senso verticale); dall’altro lato, il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nella realizzazione di interventi che incidano sulle realtà sociali a lui prossime (sussidiarietà in senso orizzontale).
Una prospettiva che muove dal basso verso l’alto (bottom up) in grado di raccogliere i bisogni e le istanze dei cittadini, ponendosi a garanzia dell’ordinamento pluralistico.
Il principio di sussidiarietà concerne sì l’ambito politico, ma non nel senso istituzionale, disinteressandosi del problema del regime politico. Nel definire i criteri di devoluzione delle competenze in seno ad una società, i suoi difensori tendono a pensare che la definizione di questi criteri prevalga sul problema delle modalità di attribuzione del potere stesso. Per questo motivo, molti di loro non si preoccupano del problema del regime politico.
Una democrazia, una repubblica, una monarchia, possono tutte divenire dispotiche, o impegnarsi a distribuire in maniera adeguata le competenze.
La democrazia pluralista non garantisce di per sé tutte le libertà, perché vi sono altre libertà oltre a quelle politiche.
La democrazia sussidiaria si propone ben al di là della partecipazione politica, definendo quali siano i modi in cui, precisandone i limiti e le condizioni, si possano esercitare le libertà d’azione individuali e collettive di interesse generale.
DI GIACOMO RUSSO B., La democrazia sussidiaria, in Quad. reg., 29, 15-163.