Il bilancio partecipativo è a tutti gli effetti uno degli esempi più evidenti e più noti della volontà di procedere da un ‘dire no’ a un ‘fare con’. Ne sono convinti gli autori del volume “Bilanci partecipativi in Europa” (Ediesse editore, 29) Giovanni Allegretti e Yves Sintomer: il primo è un urbanista, ricercatore presso il Centro di studi sociali dell’Università di Coimbra, il secondo è professore di sociologia politica all’Università di Parigi VIII e fa ricerca nella capitale francese e a Berlino. Alla sala della Mercede della Camera dei deputati, in occasione di un’iniziativa promossa fra gli altri dal Centro di studi e iniziative per la riforma dello stato (Crs), hanno discusso del libro rappresentanti di realtà istituzionali e associative, ciascuno con la propria esperienza da raccontare.
“Il bilancio partecipativo è una pratica fortemente dipendente dal contesto”. La parola d’ordine del professor Ernesto d’Albergo, dell’Università la sapienza di Roma, è glocale: “Questo libro rappresenta un’analisi scientifica, segnala analogie e differenze, fa capire che ogni forma di partecipazione ha un carattere distintivo” . Da qui un’amara constatazione: “Le esperienze nostrane hanno dimostrato che minore è la portata in gioco, quindi più è alto il grado di prossimità istituzionale, più efficace è il processo decisionale condiviso. Le poste in gioco rilevanti invece non possono essere toccate differentemente da quanto accade in America latina”.
Yves Sintoner e Giovanni Allegretti tengono a precisare che il libro è il risultato di una ricerca collettiva, in fieri perché verrà pubblicata in diversi paesi, finanziata dalla fondazione dei sindacati tedeschi. Il professore francese traccia un’analisi comparativa: “In Europa abbiamo assistito ad una dinamica dei bilanci partecipativi molto diversa rispetto all’America latina: nel primo caso top-down, nel secondo bottom-up perché, se nel vecchio continente il tempo della partecipazione è iniziato molto prima ma la raccolta è avvenuta quando l’impulso si era ormai esaurito, in America del Sud un movimento sociale molto ampio ha accompagnato i cambiamenti”.
Per Allegretti anche la giustizia sociale deve essere un fine dei bilanci partecipativi: “Si discute sempre di mobilità, cultura, ambiente, mai di welfare. In questo campo è come se ci fosse un dualismo tra società civile e politica. Se si creasse l’impulso a partecipare anche su questi temi, si genererebbe un movimento di solidarietà, perché si scoprirebbe anche il bisogno di chi ci sta attorno”.
Al deputato del Pd Walter Tocci una conclusione condivisa e già esposta da diversi ospiti: “Se si osserva la situazione italiana dall’alto, verso chi ci governa, le prospettive sono angoscianti, eppure le radici sono ancora solide: a differenza di molti altri paesi c’è una grande partecipazione della società civile, ciò che ci permette di guardare al futuro”.