Svolgerò le conclusioni indossando in sequenza tre vesti diverse: quella del coordinatore nazionale di questo Progetto di ricerca, quella del cittadino e quella del giurista.
Il Progetto di ricerca
In veste di coordinatore, vorrei sottolineare come questo convegno sia una tappa importante di un percorso iniziato nel novembre 28, con il primo seminario trentino, e poi proseguito con altri incontri sempre a Trento, poi a Roma presso l’unità operativa Luiss e che conoscerà altri momenti di riflessione, fino al convegno finale che concluderà l’intero progetto e che si terrà a Trento nel prossimo autunno.
Queste due giornate sono state molto utili e produttive e di questo vorrei ringraziare Alessandra Valastro, coordinatrice dell’unità operativa perugina, tutti i membri della stessa unità e in particolare Margherita Procaccini, nonché tutti i colleghi perugini ed il personale amministrativo del Dipartimento.
Preparare gli strumenti per una nuova fase
In veste di cittadino, vorrei fare una riflessione più ampia sul rapporto fra le tematiche di cui ci siamo occupati in queste giornate e la situazione generale della società italiana in questa fase storica. La presenza così numerosa e attenta a questo convegno dimostra che vi è un forte interesse nei confronti di tutto ciò che può portare ad un ampliamento degli spazi di partecipazione politica e civica.
Ma non possiamo ignorare che fuori di qui, nella società ed anche nelle istituzioni, stanno invece montando sentimenti contrari ad una maggiore e più consapevole partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. I partiti d’altro canto sono sempre più apparati elettorali e sempre meno luoghi di formazione di classe dirigente e di progetti collettivi, con leaderships fortemente personalizzate.
Aumenta ogni giorno il distacco se non addirittura il disprezzo verso le istituzioni, quasi tutte accomunate dai cittadini in un giudizio negativo, tutte corrotte, tutte inefficienti.
In questo quadro così desolante dal punto di vista delle virtù civiche il nostro sforzo può sembrare inutile, quasi illusorio. Invece è proprio in momenti come questi che è necessario che qualcuno si dedichi a guardare avanti, preparando gli strumenti per affrontare il domani, perché prima o poi una nuova fase si aprirà e bisognerà farci trovare pronti per trarne tutte le opportunità.
Del resto questo è il ruolo principale dell’università intesa come istituzione in cui si fa ricerca, si fa didattica, si spostano in avanti le frontiere della conoscenza, ma anche (come abbiamo fatto in questi giorni) si riflette e si progetta il futuro al servizio della società.
Non bisogna scoraggiarsi, farsi condizionare dalla quotidianità negativa. Bisogna mantenere il senso della storia.
Soprattutto per i più giovani, vorrei ricordare che siamo già passati attraverso periodi in cui poteva sembrare vano dedicarsi alla ricerca, come durante i cosiddetti “anni di piombo”.
Un chiarimento sui nomi
Infine, in veste di giurista, in questa prospettiva proiettata verso il futuro e verso l’esterno, quali sono gli elementi essenziali su cui occorre continuare a riflettere, sia nell’ambito di questo progetto, sia in generale, per quanto riguarda le regole della democrazia partecipativa e deliberativa?
Innanzitutto, un chiarimento sul titolo e sul contenuto di questo progetto di ricerca. Il riferimento al federalismo come “metodo di governo” vuole sottolineare la valenza non soltanto “verticale” ed istituzionale del concetto. Quando abbiamo deciso di intitolare il Prin in questo modo pensavamo alle origini del federalismo negli Stati Uniti, se non addirittura all’etimologia del termine che com’è noto rimanda al concetto di alleanza, di “fare insieme”. In questo senso, con questi significati, a noi sembra che si possa intendere il federalismo anche come metodo di governo di una comunità, nel senso antico in cui il termine “governo” era usato per indicare la funzione di direzione di una comunità, paragonata ad un’imbarcazione. Governare una comunità facendo leva sulla massima partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, creando alleanze fra soggetti pubblici e cittadini per risolvere insieme problemi di interesse generale: questo intendiamo per “federalismo come metodo di governo”.
Un chiarimento sui contenuti
Quanto al contenuto, ciò di cui ci occupiamo non è la partecipazione al procedimento amministrativo disciplinata dalla legge sul procedimento, né l’applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art.118 ultimo comma Costituzione. In questo progetto ci occupiamo di partecipazione politica, quindi delle nuove forme della democrazia partecipativa e deliberativa che integrano le tradizionali espressioni della democrazia rappresentativa.
Il punto di partenza è infatti la crisi ormai evidente della democrazia rappresentativa. Ora, a questa crisi è possibile dare due risposte profondamente diverse l’una dall’altra. Una è il populismo, l’appello diretto all’investitura popolare, senza mediazioni, senza contrappesi e controlli. La democrazia rappresentativa intesa come delega della propria sovranità da parte di un Popolo (inteso come entità indifferenziata, senza conflitti, senza interessi contrapposti al proprio interno) ad un Capo.
L’altra risposta è questa a cui stiamo lavorando, lo sviluppo di forme non di sostituzione, bensì di integrazione e arricchimento, della democrazia rappresentativa. Quali possano essere gli strumenti con cui realizzare tale arricchimento lo si è visto durante tutto il convegno, per cui su questo punto non posso che rinviare alle relazioni tenutesi in questi giorni. Vorrei provare però a chiarire alcuni aspetti che mi pare meritino un’ulteriore riflessione.
Una griglia interpretativa
Mi riferisco alla distinzione fra democrazia rappresentativa, partecipativa e deliberativa. Usando una griglia fondata sulle modalità di esercizio della sovranità popolare, mi pare che si possano individuare le seguenti differenze fondamentali. Nella democrazia rappresentativa la sovranità è delegata ai rappresentanti eletti e le decisioni si assumono attraverso la negoziazione ed il voto a maggioranza.
Nella democrazia partecipativa la sovranità continua ad essere delegata ma viene condivisa quella che, mutuando l’esperienza del procedimento amministrativo, si potrebbe definire la fase istruttoria del processo decisionale, grazie alla consultazione dei cittadini potenzialmente interessati alla decisione finale. Come ha dimostrato anche l’esperienza qui descritta del Dèbat public francese, i cittadini non partecipano direttamente alla decisione, ma vengono consultati da coloro (i rappresentanti eletti) che prenderanno la decisione. Si tratta evidentemente di una forma di integrazione ed arricchimento della democrazia rappresentativa.
Nella democrazia deliberativa invece la sovranità viene per così dire “ripresa” dai cittadini che non si limitano ad essere consultati, ma partecipano direttamente alla decisione su un singolo tema o questione di interesse della comunità. E’ come se gli elettori, che pure al momento del voto hanno delegato i propri rappresentanti a decidere al posto e per conto loro, su singole questioni decidessero di volersi riprendere la propria sovranità, come se la delega attribuita con il voto valesse soltanto per le questioni ordinarie, non per quelle straordinarie (grandi opere pubbliche, decisioni con un forte impatto ambientale o sociale, in generale decisioni strategiche).
I fondamenti costituzionali
Ma quali sono i fondamenti costituzionali della democrazia deliberativa? Sicuramente l’art. 1, 2° comma e l’art. 3, 2° comma, così come l’art. 118, ultimo comma. Ma anche, anzi soprattutto, l’art. 21, sulla libertà di opinione, perché la democrazia deliberativa si fonda sulla partecipazione ad una discussione intorno ad un tema di interesse generale, con la disponibilità a cambiare opinione nel corso di tale discussione sulla base delle argomentazioni razionali presentate nel corso della discussione.
Questa infatti è la differenza fondamentale fra la democrazia rappresentativa e quella deliberativa. Nella prima forma di democrazia grazie alla regola del voto a maggioranza si sommano opinioni già formate. Si parte dal presupposto che le teste dei partecipanti al processo elettorale contengono opinioni già preformate, si tratta solo di contarle, “un uomo un voto”. Come diceva Churchill, la democrazia (rappresentativa) è quel sistema in cui le teste si contano, non si rompono (cioè non si usa la violenza per cambiare i rapporti di forza).
Invece nella democrazia deliberativa le opinioni dei partecipanti, che pure evidentemente esistono anche prima dell’inizio del processo deliberativo, possono cambiare nel corso di tale confronto in seguito alle argomentazioni portate in campo dagli altri partecipanti. Ecco perché la libertà di opinione va considerata come il fondamento della democrazia deliberativa, ancor più di quanto accada nelle altre due forme di democrazia viste sopra. Senza un libero scambi di opinioni non possono cambiare i punti di vista e quindi neanche le posizioni dei partecipanti riguardo al problema in discussione.
Tre semplici regole
A questo punto si possono forse formulare tre semplici regole della democrazia deliberativa.
Prima regola: è indispensabile garantire il libero scambio di opinioni fondate sul libero accesso di tutti i partecipanti ad informazioni aggiornate, comprensibili e complete.
Seconda regola: è indispensabile garantire procedure che, rispettando il loro impegno nell’interesse generale, consentano a tutti i soggetti interessati alla decisione finale i partecipare realmente alla discussione e poi alla decisione finale.
Terza regola: è indispensabile garantire da parte dei titolari del potere pubblico, eletti al vertice delle istituzioni, il rispetto della decisione finale emergente dal processo deliberativo.
Sono regole semplici da capire, come lo sono quelle che disciplinano il funzionamento della democrazia rappresentativa, come ad esempio la regola della maggioranza, che chiunque istintivamente comprende. E questo punto della semplicità delle regole è importante, perché se si vuole che la democrazia partecipativa e quella deliberativa siano realmente complementari rispetto alla democrazia rappresentativa esse devono avere la stessa semplicità di funzionamento di questa ultima.
Come Allegretti ha notato, la democrazia rappresentativa è sostanzialmente un artificio, ma è un artificio che funziona molto semplicemente e costituisce la miglior risposta, ad oggi conosciuta, alla reale difficoltà di far partecipare tutti alla decisione politica, giungendo attraverso la regola della maggioranza ad una decisione in tempi ragionevoli su temi spesso controversi.
Una partecipazione esigente
Sia la democrazia partecipativa sia quella deliberativa sono forme di partecipazione alla vita pubblica esigenti, per tutti.
Lo sono per i titolari di poteri pubblici legittimati dal voto nell’ambito della tradizionale democrazia rappresentativa, perché presuppongono la capacità di ascoltare (nella democrazia partecipativa) e la disponibilità ancora più rara ad accettare che su singole tematiche di interesse generale i cittadini si riprendano per così dire la sovranità delegata con il voto, per esercitarla direttamente (democrazia deliberativa). In generale, presuppongono nei titolari dei poteri pubblici la capacità di riconoscere i limiti di quella stessa democrazia rappresentativa che ne legittima i poteri, per attivare nuove forme di democrazia partecipativa e deliberativa.
Ma queste nuove forme di democrazia sono esigenti soprattutto per i cittadini. Non basta votare una volta ogni tanto e delegare decisioni e responsabilità. Bisogna invece mettere a disposizione della comunità tempo, competenze, esperienze, relazioni, etc.. Non c’è dubbio che ai cittadini la democrazia partecipativa e deliberativa richieda molto, sicuramente più di quanto chieda la democrazia rappresentativa.
Una bella sfida, per contare di più
Questo potrebbe costituire per alcuni un ostacolo. Per altri, invece, potrebbe costituire una sfida, perché nella società italiana ci sono molti segnali che ci dicono che c’è voglia di contare, di partecipare, di avere un ruolo da protagonisti nelle scelte che riguardano il futuro: dai forum su internet alle manifestazioni di piazza, dai comitati di cittadini per le più varie tematiche alle primarie di tipo politico, ci sono in Italia ancora molti che non accettano di rimanere passivamente a guardare.
A tutti costoro bisogna dare spazi e strumenti per partecipare alla vita pubblica, con regole chiare e facili da applicare. Anche perché la democrazia partecipativa e deliberativa sono utili non soltanto in sé, come nuove forme della democrazia, ma anche come antidoti al populismo, alla semplificazione della politica, al potere carismatico e mediatico, in una parola alla riduzione dei cittadini a pubblico televisivo.