La democrazia partecipativa, di cui ci siamo occupati nel Progetto di ricerca di interesse nazionale intitolato appunto “Le regole della democrazia deliberativa e partecipativa”, rientra dunque a pieno titolo nella cittadinanza attiva intesa in questo senso molto ampio.
Sono pertanto espressione di cittadinanza attiva anche i molteplici comitati, gruppi spontanei di cittadini, associazioni che si mobilitano intorno ad un tema che riguarda direttamente le comunità di riferimento. Spesso, ma non sempre, si tratta di iniziative dirette a contrastare decisioni delle amministrazioni centrali o locali non condivise da questi cittadini. Ma, anche se dal punto di vista degli amministratori questo tipo di partecipazione può essere problematico in quanto causa di conflitti, tuttavia non c’è dubbio che essa configuri un modo attivo di essere cittadini, che va ben oltre la mera delega attraverso il voto.
Rientrano sempre in questo concetto ampio della cittadinanza attiva anche le varie attività di advocacy, cioè di tutela dei diritti dei cittadini, poste in essere da associazioni come quelle che fanno parte del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. Sono quindi espressione di cittadinanza attiva, per esempio, l’attività svolta nel settore della sanità dal Tribunale per i diritti del malato, articolazione dell’associazione Cittadinanzattiva, oppure per la tutela dei diritti dei consumatori dal Movimento di difesa del cittadino, (entrambe fra l’altro soci fondatori di Labsus).
Il nucleo più interno
All’interno di questa molto ampia interpretazione del concetto di cittadinanza attiva vi è poi un nucleo più ristretto, per così dire, rappresentato dai volontari e dai cittadini attivi legittimati dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione.
I volontari ed i cittadini attivi sono espressione della cittadinanza attiva in quanto pongono in essere modalità di partecipazione alla vita pubblica diverse sia da quelle tradizionali previste dalla democrazia rappresentativa, sia da quelle attinenti alla democrazia partecipativa ed all’attività di advocay viste ora.
Ciò che connota sia i volontari sia i cittadini attivi è infatti la cura dell’interesse generale, non dei propri interessi o, comunque, non dei propri interessi in via prioritaria. E’ in questo senso che essi rappresentano il nucleo più stretto, più rigoroso, della cittadinanza attiva.
Soggetti "disinteressati"
I volontari si prendono cura generalmente di persone in condizioni di disagio sociale, personale, economico o di altro genere. I cittadini attivi, applicando il principio di sussidiarietà (art. 118 ultimo comma della Costituzione), si prendono cura dei beni comuni (v. gli editoriali di Carlo Donolo in questa rivista). Entrambi, volontari e cittadini attivi, sono “disinteressati”, in quanto entrambi esercitano una nuova forma di libertà, solidale e responsabile, che ha come obiettivo la realizzazione non di interessi privati, per quanto assolutamente rispettabili e legittimi, bensì dell’interesse generale.
Quando la Costituzione afferma che i poteri pubblici “favoriscono le autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, essa legittima da un lato i volontari tradizionali, che da sempre svolgono attività che si possono definire di interesse generale, e dall’altro quei soggetti che Labsus fin dall’inizio della sua attività definisce cittadini attivi, persone responsabili e solidali che si prendono cura dei beni comuni.
I punti di contatto
Volontari e cittadini attivi formano il nucleo più interno e ristretto della cittadinanza attiva e quindi hanno diversi punti di contatto fra di loro.
Innanzitutto, i volontari assistono persone bisognose di aiuto, sebbene costoro non facciano parte del loro nucleo familiare, dimostrando che si può essere solidali anche con coloro a cui non siamo legati da legami di sangue. Mentre infatti è normale, da che mondo è mondo, che si sia solidali fra consanguinei, non è affatto usuale che si sia solidali e partecipi nei confronti di coloro che non fanno parte della propria famiglia. Se fosse normale i volontari non sarebbero (come invece giustamente sono) oggetto di ammirazione e apprezzamento generali.
I cittadini attivi a loro volta si prendono cura di beni di cui non sono proprietari, perché come abbiamo visto in un precedente editoriale i beni comuni sono beni né pubblici né privati, quindi i diritti di cui possono essere oggetto ai sensi dell’art. 81 Cod. Civ. non possono essere gli stessi di cui sono oggetto i beni pubblici e quelli privati. In particolare, non possono essere oggetto di diritti di proprietà da parte di soggetti pubblici e tanto meno da parte di soggetti privati.
Possono invece essere oggetto di diritti di custodia, sia da parte di soggetti pubblici sia da parte di soggetti privati. In questa prospettiva i beni comuni rientrano nella definizione dell’art. 81 Cod. Civile, purché si qualifichino i diritti di cui possono essere oggetto partendo dall’assunto secondo il quale i titolari di tali diritti sono i custodi dei beni, il proprietario essendo la comunità intesa nel senso più ampio del termine: comunità territoriale, comunità nazionale, umanità presente e futura.
Diritto di cura
I cittadini attivi, in quanto non proprietari bensì custodi dei beni comuni, esercitano nei confronti di tali beni un diritto di cura fondato non sul proprio interesse, come nel caso del diritto di proprietà, bensì sull’interesse generale. Ciò che giustifica il loro impegno è infatti solo in parte un loro interesse diretto e immediato alla produzione, cura e sviluppo dei beni comuni. C’è anche questo, certamente (e infatti questo può essere un elemento che differenzia i volontari dai cittadini attivi) ma ciò che spinge i cittadini attivi a prendersi cura dei beni comuni è la solidarietà.
In sostanza, i volontari sono “disinteressati” in quanto vanno oltre i legami di sangue per prendersi cura di estranei, i cittadini attivi sono “disinteressati” in quanto vanno oltre il diritto di proprietà per prendersi cura di beni che sono di tutti. In entrambi i casi, si tratta di un’evoluzione quanto mai positiva della specie umana, che dimostra in tal modo di saper uscire dalla ristretta cerchia familiare e dall’individualismo proprietario per aprirsi al mondo.
L’interesse generale
Un altro punto di contatto fra volontari e cittadini attivi è rappresentato dalle modalità con cui essi realizzano l’interesse generale, che è appunto ciò che ne legittima l’esistenza dal punto di vista dell’ordinamento.
Più volte, in questa rivista, abbiamo scritto che il concetto astratto di interesse generale può essere tradotto, per così dire, facendo riferimento alla cura dei beni comuni.
I cittadini attivi realizzano l’interesse generale prendendosi cura dei beni comuni, in quanto essi, come dice Donolo, sono beni “necessariamente condivisi. Sono beni in quanto permettono il dispiegarsi della vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistemi di cui è parte” e quindi la loro produzione, cura e sviluppo sono tutte attività di interesse generale.
Ma se la cura dei beni comuni è la “traduzione” pratica del concetto di interesse
generale, in che modo, allora, i volontari realizzano l’interesse generale? Essi infatti non si prendono cura dei beni comuni.
D’altro canto per i cittadini attivi vale il reciproco per quanto riguarda la solidarietà. Dal momento che costoro si prendono cura non delle persone bensì dei beni comuni, come si fa a dire che sono mossi da spirito di solidarietà? Si può infatti essere solidali nei confronti delle persone, non dei beni.
In realtà, i volontari, che manifestano direttamente la loro solidarietà prendendosi cura delle persone e delle loro esigenze, finiscono con il prendersi cura indirettamente anche dei beni comuni che stanno “dietro”, per così dire, quelle persone. I volontari che assistono i malati si prendono cura del bene comune salute, così come i volontari che assistono gli emarginati si prendono cura del bene comune integrazione sociale e legalità diffusa, e così via.
Tutte le attività del volontariato tradizionale comportano effetti positivi per i beni comuni, materiali ed immateriali, connessi con l’assistenza alle persone di cui i volontari si occupano. Se lo schema è: “volontari-persone-beni comuni”, si può senz’altro dire che i volontari sono cittadini che autonomamente svolgono attività di interesse generale, secondo quanto prevede la Costituzione.
Solidarietà indiretta
A loro volta i cittadini attivi, che svolgono attività di interesse generale in quanto si prendono direttamente cura dei beni comuni, manifestano indirettamente solidarietà nei confronti delle persone che stanno “dietro”, per così dire, i beni comuni di cui essi si prendono cura. I beni comuni sono infatti beni che “se arricchiti arricchiscono tutti, se impoveriti impoveriscono tutti”. E dunque per i cittadini attivi lo schema è: "cittadini attivi-beni comuni-persone".
Tutti, volontari e cittadini attivi, producono capitale sociale. E anche questo ovviamente è nell’interesse generale.
Da ultimo (ma questa è forse una notazione maliziosa) può essere interessante alla luce di quanto s’è detto notare come in teoria anche le pubbliche amministrazioni dovrebbero essere “disinteressate”, dovrebbero cioè agire non nel proprio interesse, bensì nell’interesse detto “pubblico”. Un interesse che, per le amministrazioni, è un interesse “altrui”.
Eppure sappiamo tutti come ormai l’interesse pubblico non sia più percepito, né dalle amministrazioni né dai cittadini, come interesse di tutti, cioè come interesse generale, bensì come interesse delle caste politiche e burocratiche.
Sicché alla fine ad occuparsi in maniera veramente disinteressata dell’interesse generale sono i volontari ed i cittadini attivi. La parte migliore di quella che si usa chiamare “società civile”.