Sembra questa la direzione che molte città europee e mondiali stanno prendendo: utilizzo delle nuove tecnologie per riprogettare città , produrre innovazione sociale, creare ambienti vivibili in cui sia più semplice stabilire delle reti di collaborazione e solidarietà tra cittadini e amministrazioni locali. Le città intelligenti e le smart community non sono semplici agglomerati di sensori elettronici che raccolgono informazioni sulla città per poi elaborarle attraverso sofisticati software: si rischierebbe la deriva tecnologica, un mero processo di infrastrutturazione tecnologica top-down. La città è un flusso di informazioni, è un network di forze innovatrici, è relazione e collaborazione tra i cittadini per la risoluzione dei problemi di interesse generale.
Intelligenza come condivisione di conoscenza
Il punto di partenza per la “costruzione” di città intelligenti è capire che “dietro ogni frigorifero c’è un uomo” (1); le smart cities non devono essere una moda passeggera ma un programma di governo per centri urbani in cui le persone condividono la conoscenza, come ha sottolineato con forza al ForumPA il direttore generale di Vega Parco Scientifico Tecnologico di Venezia Michele Vianello nel suo key note: “L’intelligenza della città “. L’infrastrutturazione, il cloud computing, i tablet, i social network non sono altro che fattori abilitanti alla città intelligente ma non sono la città intelligente. L’intelligenza nella città è il frutto di un processo che vede protagoniste le persone, i city users che sono “generatori di contenuto” (2).
In questo senso la città intelligente è flusso di dati che disegnano una sorta di identikit delle aree urbane. Secondo Vianello infatti il tema dell’accesso e della condivisione dei dati è il punto cruciale delle smart cities. Non si tratta di condividere solo i dati in possesso della pubblica amministrazione ma anche quelli prodotti dagli stessi cittadini che esprimono opinioni sui servizi offerti dalle amministrazioni locali attraverso i social network.
“Bisognerebbe operare una sorta di sentimental analisys delle opinioni cosìespresse, prosegue Vianello, una scannerizzazione on-line delle opinioni dei cittadini per capire in che direzione andare per migliorare l’azione amministrativa”. In questo senso il ruolo delle amministrazioni è quello di utilizzare gli strumenti tecnologici a disposizione, come il cloud computing, da intendersi non come repository dei dati ma come centro di condivisione della conoscenza, per rendere fruibili le informazioni perché sia possibile una combinazione (mash-up) delle stesse per produrre valore. La città intelligente è quella che non esclude nessuno, è quella in cui la tecnologia non è elemento di divisione ma strumento di interconnessione, in cui si consolidano i beni relazionali. E’ un hub di innovazione.
La senseable city di Ratti
“Oggi le città stanno cominciando a funzionare come le macchine di Formula Uno. Se una volta bastava scommettere sul pilota e sulla macchina, oggi se si vuole vincere una gara è necessario un sofisticato sistema di telemetria: è necessario cioè un sistema che raccolga informazioni dalle migliaia di sensori sulla macchina e le trasmetta a tutti i computer che lavorano nei PIT, dove le informazioni vengono analizzate e processate, facendo sìche si possano prendere decisioni in tempo reale. Oggi quello che sta succedendo nelle nostre città è proprio questo: stanno iniziando a funzionare come una macchina di Formula Uno”, ha spiegato il direttore del Senseable City Lab del MIT Carlo Ratti intervenuto al ForumPA nel corso del convegno “L’impegno delle amministrazioni per le smart city e le smart community“.
Ratti più che di smart cities preferisce parlare di “senseable city” perché il termine rende l’idea della città delle persone. Sensing e actuating sono il binomio perfetto delle città intelligenti che cominciano a parlarci.
“Le cose intorno a noi parlano, interagiscono tra di loro, ci danno informazioni: è il sogno realizzato di Michelangelo che, di fronte alla perfezione del suo Mosé, urla: Perché non parli?”. Grazie a microchip, sensori nelle città , a device smart (come smartphone) e apps con cui i cittadini condividono informazioni, è possibile monitorare il traffico urbano, la qualità dell’aria e delineare i comportamenti quotidiani dei city users. Lo scopo è che, attraverso la condivisione delle informazioni e dei dati, non solo sia possibile definire delle specifiche politiche di intervento ma anche promuovere comportamenti sostenibili, nell’ottica di quella che, sulle colonne di Labsus, abbiamo spesso definito come sussidiarietà quotidiana. La condivisione dei dati peer-to-peer permette di gestire in modo più efficiente infrastrutture e servizi urbani (ad esempio Google map) (3). Non è possibile dunque imporre dei sistemi di innovazione dall’alto perché “le città sono sistemi open source: canovacci aperti ai progetti che possono migliorarle” (4), secondo Ratti. Questo significa che la città per essere luogo di innovazione deve puntare sulle persone.
Diversi modi di essere “intelligente”
Anche la Commissione europea ha più volte esortato le amministrazioni locali e regionali ad adottare approcci di “riorganizzazione urbana” sempre più smart che siano in grado di raggiungere gli obiettivi stabiliti con la strategia Europa 20-20-20 e quelli enunciati nella Digital agenda. Ma diversi sono i modi di essere città intelligente. Lo hanno dimostrato le città arabe che hanno saputo utilizzare le nuove tecnologie di comunicazione, soprattutto i social network, per diffondere informazioni e richiamare alla collaborazione i cittadini (come pure Occupy New York, Occupy Boston).
Il flusso di informazioni dunque può essere gestito in modo differente generando cosìdiversi modi di essere città intelligenti: città che utilizzano sensori per registrare il traffico urbano e sperimentare soluzioni green per migliorare la vivibilità urbana, come dimostra il caso di Portland, città che vedono la partecipazione dal basso dei cittadini che si prendono cura degli spazi urbani come dimostra il caso dei progetti di Labsus Rock your school e Rock your city: esempi di smart schools in cui gli studenti hanno recuperato nel primo caso l’edificio scolastico ripulendolo da scritte, mentre nel secondo caso l’attività degli studenti si estenderà anche alla “manutenzione civica” del quartiere attorno alla scuola (il quartiere Eur-Roma). Altri interessanti casi di città intelligente vista dal lato della partecipazione civica, sono le iniziative dei comuni di Fontecchio (Borghi attivi) e Solarolo (Solarolo si attiva – Laboratorio per la sussidiarietà ) che hanno realizzato dei laboratori di progettazione partecipata ed iniziative per la cura degli spazi pubblici e della città intesa come bene comune.
Bilbao, Metropoli 3
Mentre ci sono città mondiali come Monterrey e Bilbao che puntano ad attrarre capitale sociale per generare dei poli di ricerca, trasformandosi da centri manifatturieri ad incubatori di start-up e di innovazione sociale. La città basca di Bilbao in particolare ha saputo reinventarsi passando da centro manifatturiero e siderurgico a centro di cultura e innovazione. Un percorso che ha avuto inizio negli Ottanta e culminato nel progetto di rigenerazione urbana Metropoli 3 promosso da cittadini, associazioni civiche e stakeholders locali. I cittadini e gli attori locali si sono incontrati in meeting e seminari per discutere del futuro della città presentando progetti di riqualificazione urbana. La prima operazione di trasformazione è stata la riqualificazione dell’area portuale di Bilbao con la nascita del Ribera Park e di un nuovo museo cittadino. Nel corso degli anni la strategia smart della città (che ha portato alla nascita di un nuovo aeroporto, di centri congressi, a un più efficiente sistema regionale di trasporto e a poli di ricerca) si è rivelata vincente perché ha saputo coinvolgere cittadini e attori locali che attraverso assemblee pubbliche e workshop hanno contribuito a definire il piano di rinnovamento urbano (5).
Da un recente studio condotto da Cittalia-Fondazione Anci ricerche “Smart cities nel mondo“, che raccoglie le principali esperienze mondiali di città intelligenti, emerge come la partecipazione civica si leghi all’innovazione tecnologica. E’ il caso della città di Gent che nel 2011 ha promosso la nascita di una piattaforma di crowdsourcing My digital idea for Ghent in cui i cittadini potevano segnalare progetti o iniziative per una strategia smart della città . O ancora il caso della città di Amsterdam che ha coinvolto i cittadini, gli attori locali e le stesse istituzioni in un piano per la riduzione delle emissioni urbane. Mentre la città estone di Tallinn ha puntato su un sistema di e-ticket e mobile parking. Attraverso l’invio di un messaggio dal proprio cellulare è possibile indicare il luogo in cui è stato parcheggiato il veicolo e il tempo di permanenza mentre attraverso il sistema della carta di identità elettronica nazionale, introdotta già nel 2005, l’amministrazione locale ha puntato ad un sistema di biglietti elettronici per raccogliere informazioni sulla mobilità urbana e riprogrammare cosìle politiche di intervento.
La città “sussidiaria”, nuovo modello di governance urbana
Città intelligenti sono dunque città attente alla cura dei beni comuni, sono resilienti, ovvero capaci di reagire a calamità naturali mettendo in campo strategie di comunicazione cha aiutano i cittadini a comprendere i rischi ambientali legati al proprio territorio. Sono città in cui si stabilisce un nuovo paradigma amministrativo, in cui i cittadini entrano in contatto tra di loro costruendo delle vere e proprie reti relazionali: è il capitale sociale la vera risorsa.
Capovolgendo la falsa credenza secondo cui è smart tutto ciò che consiste in un semplice agglomerato di sensori e luci sfavillanti, la vera innovazione da attuare, e che qualunque buon amministratore dovrebbe aver presente, è quella sociale. Sono le città in cui soggetti pubblici e privati riescono a collaborare per favorire lo sviluppo, in cui l’inclusione sociale e la crescita riescono ad essere davvero intelligenti, sono le città in cui le nuove tecnologie fanno da sponda al capitale umano, ne sono uno strumento di “capacitazione”. La città deve tornare ad essere il luogo della produzione di valori e della creatività attraverso “il sapiente sfruttamento delle nuove tecnologie e del cyberspace che possono trasformare i cittadini in ‘curatori quotidiani’ dei beni comuni” (6). Questo perché è nelle aree urbane che si gioca la sfida della crescita e della competitività socio-economica (7).
Concludendo il nostro viaggio tra le principali esperienze di “città intelligenti”, ci viene da domandarci: ma se la collaborazione tra soggetti pubblici e privati è la chiave di volta per lo sviluppo di modelli urbani sostenibili e intelligenti, in cui la tecnologia va di pari passo con la partecipazione civica, non è forse il modello dell’amministrazione condivisa basato sul principio di sussidiarietà orizzontale a favorire la nascita di città intelligenti?
Note bibliografiche:
(1) Michele Vianello, Direttore Generale di Vega Parco Scientifico Tecnologico di Venezia – ForumPA 18 maggio 2012, Key note speech L’intelligenza delle città .
(2) Ad esempio quando i turisti vanno in giro per le città e “postano” su flickr le foto dei luoghi visitati immettono dati importanti in rete che permettono di avere informazioni sugli spostamenti urbani. Sono informazioni che potrebbero essere utilizzate dalla pubblica amministrazione per migliorare le politiche urbane con un grande risparmio di risorse economiche.
(3) Lo dimostra l’esperimento di Singapore Live progettato dal Senseable City Lab del MIT, come pure il caso di Google Map, leggi: “La città intelligente nasce dal basso“, in Il Sole24ore di Carlo Ratti e Anthony Townsend.
(4) Intervista a Carlo Ratti su L’Espresso, marzo 2012 – pag. 164.
(5) Tim Campbell – Smart cities, Bilbao in Urban Land.
(6) Christian Iaione, “La città come bene comune“, in Labsus Editoriali.
(7) Edoardo Bergamin, Arrivano le smart cities – Mappa delle città italiane che vogliono diventare intelligenti, Italic N. 11 (aprile-maggio 2012).