Dal 19 marzo al 27 aprile per un totale di 127 ore di lavoro volontario, due detenuti e un beneficiario di misure alternative alla detenzione si sono occupati della pulizia delle dune del litorale ravennate compreso tra il Lido di Dante e Marina di Ravenna sotto la guida di un operatore della cooperativa sociale La Pieve.
Ravenna tra cittadinanza attiva e giustizia riparativa
Il progetto segue il principio di giustizia riparativa, vale a dire un tipo di giustizia che punta a riparare al danno prodotto alla comunità locale dal compimento di un reato. In questo senso, rispondendo al dettato costituzionale (1), si punta anche al reinserimento e alla rieducazione del detenuto nella società che ne diventa una risorsa per la cura dei beni comuni. Infatti come sottolineato dall’assessore ai servizi sociali Giovanna Piaia iniziative come quella di Onda su onda “sono generative di dignità e responsabilità per i detenuti e danno una risposta concreta al dettato costituzionale, secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. “Inoltre – prosegue Piaia – questo progetto contiene un valore aggiunto, che è quello della sua natura di cittadinanza attiva; si compie una attività utile a tutta la comunità , ci si occupa di un bene comune. Per questo vorremmo che diventasse un modello”.
Ma il comune di Ravenna è già alla sua seconda esperienza in progetti di giustizia riparativa e cittadinanza attiva per la tutela e il recupero del patrimonio ambientale, come precisato in una nota inviata nel corso della conferenza stampa di presentazione dei risultati dell’iniziativa dalla direttrice della casa circondariale di Ravenna Carmela De Lorenzo (leggi nota in allegato). Già con “Strada facendo” i detenuti erano stati impegnati nella pulizia delle aree verdi della città con risultati soddisfacenti avviando cosìanche un percorso di riavvicinamento tra la cittadinanza e gli autori dei reati. “Progetti come questo – si legge nella nota – servono anche a superare un’ottica puramente giustizialista che non offre ai rei la possibilità di mettersi in gioco dimostrando a sé e agli altri di poter essere ancora in grado di dare un contributo, questa volta in termini positivi, alla società “.
Buone prassi: progetto Bollate e Ras
Ma nel nostro Paese altre esperienze cercano di seguire questa strada nell’ottica della rieducazione del detenuto. Ci siamo occupati in un editoriale (2) del caso del progetto sperimentale di custodia attenuata del carcere di Bollate in provincia di Milano che interpreta la pena proprio nell’ottica del servizio pubblico. La casa di reclusione di Bollate, nata nel 2 e diretta da Lucia Castellano, può essere ritenuta un successo per la collettività e non solo per l’amministrazione: i detenuti infatti seguono corsi, vengono formati e sono impegnati in attività socialmente utili.
Altro interessante caso è quello del progetto Ras di Roma (recupero ambientale e sociale, iniziato in via sperimentale nel 29 con il coinvolgimento di 5 detenuti) che ha visto di recente protagonisti diciotto detenuti del carcere di Rebibbia prendersi cura, attraverso lavori di manutenzione e giardinaggio, di trentatré aree della Capitale dai Fori imperiali al Campidoglio. I detenuti hanno seguito dei corsi di formazione in storia dell’arte, giardinaggio e sicurezza del lavoro e con la supervisione della sovrintendenza ai Beni culturali si occuperanno per un anno del recupero delle aree archeologiche della città . Grazie anche all’impegno dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) si prevede che il progetto potrà essere replicato in oltre 2 comuni italiani.
Il lavoro socialmente utile dunque potrebbe essere una strada di uscita dall’emergenza carceraria replicando sul territorio nazionale le buone pratiche di cittadinanza attiva (3). Ma anche un modo “per far sapere ai cittadini italiani che dal carcere si può uscire facendo qualcosa di utile per la società “, come ha recentemente dichiarato il ministro per la Giustizia Severino.
Note:
(1) L’articolo 27 della Costituzione recita: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. L’articolo 13 comma 4 invece stabilisce che ” E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà “.
(2) Fabrizio Rostelli, “Restituire dignità ai detenuti attraverso la cura dei beni comuni” – 13 agosto 211, in Labsus Editoriali.
(3) Fabrizio Rostelli, “Per non morire di carcere“, in Biblioteca – Labsus. Leggi anche: Fabrizio Rostelli – “Racconti d’evasione: attimi che cambiano la vita” in Biblioteca e Bibliografia sul tema dell’assistenza nelle carceri: “Volontariato nelle carceri” a cura di Fabrizio Rostelli.