UniCredit Foundation e il valore economico del Terzo settore

Il " capitale di connessione " , il vero elemento di traino del Terzo settore per l ' economia

Il Terzo settore e l’ “economia civile”

Tradizionalmente definito “per negazione” e qualificato come “terzo” rispetto allo stato e al mercato, il Terzo settore ha assunto negli ultimi decenni una sua autonomia che si inserisce in un mutamento di lungo periodo che costringe ad operare un salto di paradigma da una concezione di benessere identificato con la ricchezza individuale ad una che guarda al benessere della comunità  e di chi ne fa parte. E’ questo il contesto individuato dalla cosiddetta “economia civile” la quale postula, per il corretto funzionamento della società , la produzione di “beni relazionali”, vale a dire tutti quei beni per i quali l’utilità  per il soggetto consumatore dipende “dalle modalità  di fruizione con altri soggetti” (p.9).

A lungo considerato un settore improduttivo oggi, a seguito delle problematiche emerse nell’ultimo decennio sia a livello nazionale che globale, si è andato diffondendo un “modello economico alternativo, sostenibile, consapevole delle interdipendenze, in grado di operare per il benessere e l’autorealizzazione delle persone, caratteristiche che è possibile riscontrare nel paradigma economico di Mercato dell’Economia Civile” (p. 19).

Terzo Settore: alcuni dati

Secondo i dati Istat, l’intero settore conta oltre 235 mila organizzazioni non profit, pari al 5.4 percento di tutte le unità  istituzionali; circa 488 mila lavoratori, pari al 2.5 percento del totale degli addetti e circa 4 milioni di persone coinvolte in qualità  di volontari. Dal punto di vista del valore economico, secondo la ricerca il volume delle entrate è di 67 miliardi di euro pari al 4.3 percento del Pil, in netto aumento rispetto ai dati Istat del 21 che attestavano tale cifra a 38 miliardi di euro, pari al 3.3 percento del Pil. A tali dati si aggiungono quelli relativi al risparmio sociale derivante dalle ore di lavoro messe a disposizione dai quattro milioni di volontari, oltre alla differenza sul piano qualitativo dell’assistenza fornita.

Le risorse umane

Le risorse umane sono la vera ricchezza del Terzo settore nonché il suo tratto distintivo. Il 92.9 percento delle istituzioni intervistate ha dichiarato di servirsi di personale volontario a vario titolo (volontari, servizio civile volontario, ecc…) a fronte di un 37.3 percento che impiega lavoratori retribuiti. Fanno eccezioni le funzioni produttive ed erogative dove la percentuale del personale retribuito sale al 9 percento.

Come si legge nel rapporto, il personale non retribuito è il fulcro dell’attività  del Terzo settore (p. 61) e quasi la totalità  delle istituzioni oggetto della ricerca si serve di tale tipologia, con una parziale eccezione per le istituzioni produttive. In pratica il lavoro volontario copre il 9 percento del totale delle risorse umane impiegate nel settore non profit. Il 4.6 percento dei volontari garantisce almeno cinque ore settimanali di lavoro e un ulteriore 23 percento fino a quattro ore. Tale dato permette di superare un equivoco di fondo: “il volontariato può essere letto non come semplice impiego del tempo libero, ma come attività  strutturata che richiede a monte una organizzazione puntuale del lavoro” (p. 63).

Terzo settore: un valore aggiunto

Il Rapporto si chiude con una postfazione di Stefano Zamagni il quale sottolinea l’importanza di considerare il valore economico del Terzo settore, troppo spesso soffocato dal suo valore sociale e culturale. La forza del Terzo settore come traino per l’economia risiede nel “capitale di connessione” (connective capital) che esso è in grado di attivare. Secondo Zamagni, “c’è poi un altro importante risultato che la ricerca ci consegna: il nostro Terzo Settore ha raggiunto livelli e modalità  di azione tali da permettere l’attuazione del modello di sussidiarietà  circolare che rappresenta, nelle condizioni odierne, la via pervia, anzi unica, per dare ali al nuovo welfare. Invero, se si vuole conservare l’impianto universalista del welfare e, al tempo stesso, si vuole farla finita con il modello assistenzialistico-paternalistico che abbiamo ereditato dal recente passato, non c’è altra via che quella di prendere sul serio il principio di sussidiarietà  circolare, che va oltre la mera sussidiarietà  orizzontale”. Tale sistema prevede una società  civile radicata e strutturata capace di trasformare la semplice beneficienza in impegno civile.