L’immagine del suo quadrante irrimediabilmente danneggiato è diventata il simbolo del drammatico evento che ha sconvolto la terra emiliana facendo il giro del mondo, il Time le ha dedicato addirittura la copertina.
Massimiliano Righini, assessore alla Cultura di Finale, non ha dubbi: “ E’ un lavoro difficile ma ce la faremo, la rimetteremo in piedi più forte di prima” afferma mentre alcuni volontari scavano tra le macerie recuperando i frammenti originali della torre.
I cittadini di Finale e di altre località , nonostante le temperature elevate del periodo estivo, stanno lavorando da giorni per mappare gli oltre 20mila pezzi che componevano il monumento.
I calcinacci vengono puliti, selezionati ed archiviati in un capannone dove gli esperti li studieranno per la ricostruzione.
Finora sono stati catalogati solo 7mila frammenti: terracotta rossa, argille scure, pezzi in ferro dell’orologio e della campana ma anche lance, dardi, pietre con iscrizioni, resti di maioliche e di alcune stampe; dalle macerie sta emergendo un vero patrimonio culturale nascosto.
“Quando la ricostruiremo, la torre diventerà museo di se stessa“, spiega Righini.
Chi volesse proporsi come volontario può contattare per disponibilità ed informazioni:
Assessore Lisa Poletti 340 6635074
poletti.lisa@comune.finale-emilia.mo.it
Giorgio Marchetti – gestione squadre volontari
giorgio.marchetti@comune.finale-emilia.mo.it
Cura condivisa dei beni culturali
La Soprintendenza della Regione Emilia – Romagna ha dichiarato più volte che alcuni monumenti non verranno ricostruiti e gli enti locali hanno lamentato la mancanza di fondi, protestando contro i vincoli del patto di stabilità , ma i cittadini di Finale non si sono rassegnati.
Spesso la ricostruzione passa per il recupero di simboli, non perché i monumenti siano più importanti delle abitazioni o delle scuole, ma perché con la loro presenza restituiscono normalità e memoria collettiva alla comunità .
Vi abbiamo segnalato più volte esperienze di cura condivisa e di valorizzazione dei beni culturali da parte degli “amministrati”, che spesso intervengono dove le amministrazioni, a causa di una cattiva gestione o di una mancanza di fondi, non sono presenti.
Per rimanere in Emilia – Romagna possiamo ricordare l’esempio dell’associazione culturale Civitas Claterna, composta dal Comune di Ozzano dell’Emilia, il gruppo volontariato Città di Claterna (costituito da appassionati a da archeologi professionisti) e dall’azienda privata Ima, che ha coordinato i lavori per il recupero dell’antico minicipium romano situato appunto nell’area archeologica di Claterna.
A Bannio Anzino, piccolissima comunità in provincia di Verbano-Cusio-Ossola, i monumenti vengono addirittura “adottati” dai cittadini, che si prendono cura in prima persona delle maggiori attrazioni del luogo.
Quando si cerca di spiegare cosa siano concretamente i beni comuni si fa spesso riferimento all’ambiente ed ai beni culturali perché sono gli esempi più intuitivi, i rapporti sociali, la vivibilità urbana ecc. arrivano un attimo dopo; non è difficile quindi capire la loro importanza a livello comunitario. Meno scontata è la possibilità di contribuire alla manutenzione ed alla valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese, naturalmente con tutti i vincoli che la materia comporta.
Bannio Anzino non è Roma e probabilmente è difficile pensare di poter “adottare” il Colosseo, ma nei quartieri di ogni città quanti luoghi (statue, lapidi, vicoli, piazze ecc.) culturalmente rilevanti potrebbero essere effettivamente riqualificati dagli stessi cittadini che li osservano, li attraversano, li ignorano, li ammirano ogni giorno?
Non è solo una questione legata al cosiddetto senso civico, quello che stiamo proponendo è un modello diverso di stare in società , tanto semplice quanto rivoluzionario.
Tutto questo richiede sforzi notevoli, soprattutto quando ci si trova di fronte all’indifferenza e al muro di gomma di amministrazioni autoreferenziali.