Anzi, se vogliamo che la sussidiarietà dia vita ad esperienze di amministrazione condivisa durature nel tempo, dobbiamo cominciare a pensare che applicando il principio di sussidiarietà normalmente si formano delle reti, non relazioni bilaterali.
Sulla base dell’esperienza di Labsus, sia di tipo scientifico, sia di tipo operativo, possiamo dire che queste reti presentano alcune caratteristiche particolari, di cui è bene tener conto quando ci si attiva per applicare il principio di sussidiarietà .
Chi partecipa? Tutti
Innanzitutto, si tratta di reti cui possono partecipare tutti i soggetti presenti in un territorio, anche molto diversi fra loro, pubblici, privati, non profit, purché accomunati dallo stesso “disegno”, creare le condizioni per la piena realizzazione di ogni persona, delle sue capacità e dei suoi talenti, attraverso la cura di un bene comune materiale o immateriale di quel territorio.
Questo aspetto, che è uno dei punti di forza delle reti sussidiarie perché la varietà è una risorsa, può tradursi in una debolezza se non si tengono ben fermi due punti.
Chiarire bene l’obiettivo
In primo luogo, fin dal momento iniziale di creazione della rete deve essere messo molto bene in chiaro qual è l’obiettivo che si vuole realizzare grazie alla rete medesima e come lo si vuole perseguire, ricordandosi sempre che la rete è lo strumento, non il fine. Per fare questo è essenziale definire con precisione di quale bene comune i soggetti della rete vogliono prendersi cura, con quali mezzi, in quanto tempo, con quale organizzazione, etc.
In secondo luogo, è necessario vigilare affinché con il passare del tempo non si formino all’interno della rete sottogruppi interessati al perseguimento non dell’obiettivo per cui la rete è nata, bensìdi micro-obiettivi settoriali, dando vita a tensioni all’interno della rete che possono danneggiare la realizzazione dell’obiettivo principale.
Darsi regole condivise
E’ evidente, sulla base di queste considerazioni, che i soggetti che partecipano ad una rete sussidiaria devono darsi fin dall’inizio delle regole condivise per il “governo” della rete. E’ probabile che la tipologia dei soggetti che fondano la rete influisca sul tipo di regole, cosìcome il tipo di obiettivo perseguito, la cultura e la storia della comunità al cui interno la rete si costituisce, e altri fattori simili a questi. Ma una cosa dovrebbe essere comune a tutte le reti sussidiarie, il metodo, fondato sull’assioma “Conoscere per operare. Operare conoscendo”.
Ascoltare prima di agire
“Conoscere per operare” vuol dire che i soggetti “fondatori” della rete per prima cosa devono raccogliere tutte le informazioni potenzialmente utili per la creazione e poi per il funzionamento della rete, ascoltando i soggetti presenti sul territorio per capire quali sono le loro esigenze. Solo in questo modo è possibile individuare con precisione il bene comune di cui la rete sussidiaria si prenderà cura, evitando di far cadere dall’alto una scelta che non corrisponde ai veri bisogni della comunità . Inoltre questa fase di ascolto è utile anche per far emergere dal territorio stesso nuovi soggetti interessati a partecipare alla rete.
La rete rinasce ogni giorno
“Operare conoscendo” vuol dire invece che la rete esiste in quanto agisce, perché di fatto rinasce ogni giorno. Ed essendo dinamica richiede una “governance” altrettanto dinamica, per cui man mano che la rete sussidiaria sviluppa il proprio intervento di cura del bene comune i soggetti che ne costituiscono la “cabina di regia” fanno il punto, come si fa in navigazione, per essere sicuri di non finire fuori rotta. Discutono di quanto si è fatto fino a quel momento, programmano gli interventi futuri, ma soprattutto aggiustano il tiro sulla base dell’analisi degli effetti dell’intervento.
Se la rete sussidiaria incide efficacemente sulla realtà , infatti, bisogna dare per scontate le resistenze di quei soggetti che dall’intervento della rete, a torto o a ragione, possono sentirsi minacciati. Queste resistenze non possono essere ignorate, ma devono essere analizzate cercando di capirne le ragioni, perché possono essere ragioni serie, preoccupazioni fondate, di cui è essenziale tenere conto per poter proseguire in maniera efficace il lavoro della rete sussidiaria.
Le resistenze della burocrazia
Le più insidiose sono le resistenze che provengono dall’interno dell’amministrazione che, insieme con gli altri soggetti, fa parte della rete. Se infatti, come s’è detto sopra, la creazione di reti sussidiarie per la cura dei beni comuni mira a dar vita ad esperienze di amministrazione condivisa durature nel tempo, è chiaro che le resistenze interne all’amministrazione possono vanificare questo obiettivo.
La grande forza delle amministrazioni pubbliche è infatti la durata nel tempo. I politici passano, i cittadini attivi si stancano o comunque possono decidere di dedicarsi ad altro, ma la burocrazia rimane. E se una parte della burocrazia non condivide l’obiettivo di rendere strutturale il modello di amministrazione condivisa fondato sulla sussidiarietà , prima o poi si riprende il suo spazio.
Autorevolezza, non autorità
Da quanto s’è detto finora si sarà capito che la risorsa principale per il buon funzionamento di una rete sussidiaria non è l’autorità , bensìl’autorevolezza, intesa come credibilità , competenza e coerenza dei soggetti che formano la “cabina di regia”.
Ci potranno essere casi e situazioni in cui tali soggetti dovranno esercitare, se ce l’hanno, l’autorità . Ma dovranno essere casi eccezionali, perché la rete si fonda sull’adesione volontaria e sul senso di responsabilità di tutti i soggetti che ne fanno parte, quindi la regolazione della rete deve usare soprattutto la convinzione. E la convinzione è tanto più efficace quanto più il soggetto che comunica è autorevole.