La sussidiarietà : forma nuova di cittadinanza
Forme, metodi, strumenti, percorsi. Labsus è stato, è , e sarà soprattutto questo, per lettori dello zoccolo duro e curiosi che con noi, si sono avvicinati a questo strano alieno chiamato sussidiarietà . Ma al centro di tutto, quale che sia la salsa in cui se ne parli, è la cittadinanza. E’ la cittadinanza che, con la novità sussidiaria, deve cambiare. O forse capire meglio sé stessa, le sue potenzialità partecipative e deliberative, per aprirsi meglio a questa via tutta in orizzontale, riconosciuta da più di dieci anni nella nostra Costituzione, ma ancora da attuare in mille e più aspetti. Una strada da sempre ambiziosa, e che pure parte dal semplice, dove i poteri, nella tradizionale forma del monopolio e dell’autorità , tendono ad arretrare, favorendo la solidarietà tra singoli e associati per svolgere funzioni di pubblica utilità . Ma cos’è oggi la pubblica utilità ? Quali sono i suoi spazi, i suoi destinatari, i suoi attori? Davvero è tutto legato ad un territorio, ad una storia, ad un origine? La società di oggi esalta un aspetto, quello dei tanti ruoli che dobbiamo occupare nella nostra vita. Le tecnologie ci espongono ad un confronto con molte persone in più, e il campo di questa sana competizione si allarga a dismisura, passando per l’Europa, fino al Globo.
Come (deve) cambia (re) la cittadinanza. Nel segno delle “seconde generazioni”
Eppure gli Stati e le istituzioni tradizionali, cosìcome tutte le forme di appartenenza che abbiamo conosciuto fino alla fine del millennio possono, e anzi devono esistere. Il più possibile, coesistendo però con le novità , le scommesse e i rischi propri di concetti come Unione Europea, Cooperazione Internazionale, globalizzazione. Un paese come il nostro, anzi, che nasce proprio nella diversità di costumi e di culture, e basa tanta storia su concetti come città , comune, terra e marca, dovrebbe sentire con forza un discorso del genere. Dove sta allora l’equilibrio, dove potrebbe esserci? Partendo innanzitutto dai giovani, e in particolare da quei giovani che affrontano la singolare condizione di stranieri-italiani: una condizione che riassume un’arretratezza pesante della nostra legislazione che invece, parlando di cittadinanza oggi, dovrebbe permettere l’inclusione di chi nato in Italia, vuole condividere esperienze e avere un appoggio in un percorso di formazione della propria identità , divisa tra il Paese di origine della famiglia e il desiderio di essere cittadini italiani, come i propri coetanei.
G.Lab. : la formazione, e l’informazione su cittadini da riconoscere
Per questo, a Milano, dove quasi il 23% dei minori ha genitori stranieri, ha aperto i battenti dal 13 marzo uno spazio che vive esclusivamente con questo obiettivo. Si tratta di “G.Lab, laboratorio di cittadinanza urbana“. G. come le generazioni dei nuovi italiani, protagonisti di questo nuovo progetto, e Laboratorio perché si tratta di uno spazio in cui si svolgeranno diverse attività in continuo divenire, questo progetto pilota (inaugurato all’Informagiovani di Via Dogana 2), molla gli ormeggi grazie alla collaborazione tra Assessorato delle Politiche Sociali (Servizio Giovani) del Comune di Milano, l’associazione Rete G2 – Seconde Generazioni, e il finanziamento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione. Dopo la presentazione, avvenuta nel corso del secondo Forum delle Politiche sociali lo scorso gennaio, il laboratorio parte. Dalla base innanzitutto, come tutte le iniziative in progress, proponendosi di fornire informazioni di primo livello sul tema della cittadinanza, del lavoro e dello studio. Il tutto a partire da un desk informativo che orienterà i giovani, le famiglie, gli insegnati e gli operatori culturali sui servizi offerti dal territorio urbano sulla acquisizione della cittadinanza, sulle possibilità di studio e sul lavoro per le seconde generazioni. Ma siccome la cittadinanza non è solo la risultante di processi burocratici, ma anche un percorso di consapevolezza e conoscenza più approfondita della propria personalità e del contesto sociale in cui si vive, saranno inoltre organizzati incontri mensili culturali come seminari e dibattiti, incluse proiezioni di film, djset, mostre artistiche, installazioni ecc. A guidare le attività , chi ce l’ha fatta: ragazzi e ragazze che hanno ottenuto la cittadinanza qualche hanno fa dopo aver compiuto i 18 anni, e hanno seguito un periodo di formazione di un mese in Comune. In fase sperimentale, ospitato all’interno dell’Informagiovani di Via Dogana 2, in pieno centro, G.Lab sarà aperto al pubblico tutti i mercoledì, giovedìe venerdìdalle 14 alle 18, fino al 3 settembre 213.
Politica, cittadinanza, e seconde generazioni: lo “stato dell’arte”
G.Lab è senz’altro un avamposto che farà proseliti. Lo speriamo, e ne siamo certi. Anche perchè l’urgenza della questione “seconda generazione” non è seconda a nessun’altra: passateci il gioco di parole. Perchè a diciotto anni i ragazzi e le ragazze dovrebbero avere come unica preoccupazione l’esame della patente di guida, lo studio e il divertimento. Qualcuno però si ritrova però ad affrontare problemi ben più grandi: la burocrazia, la legge, l’ identità e il diritto alla cittadinanza. Infatti il principio dello ius sanguinis, il “diritto di sangue” che vige in Italia, permette ai figli di italiani di ottenere la cittadinanza solo direttamente dai propri genitori, “ereditandolo” da loro. Il principio dello ius soli invece concede lo stesso diritto anche a chi nasce in un determinato paese. Le due possibilità coesistono nei più importanti paesi europei e negli Stati Uniti, ma non in Italia, dove ai sensi della Legge 91/1992, i figli di immigrati che nascono sul territorio italiano devono risiedere ininterrottamente in Italia fino ai diciotto anni, e solo da quel momento hanno un solo anno di tempo per presentare la domanda per l’acquisizione della cittadinanza presso il proprio comune . Bisogna stare quindi molto attenti a poter dimostrare la propria registrazione all’anagrafe al momento della nascita e la propria residenza durante tutti i diciotto anni perché un vuoto di anche solo due, tre mesi (magari dovuto ad un semplice trasloco) può pregiudicare il rilascio. E nel caso in cui passi questo anno di possibilità , i ragazzi di seconda generazione dovranno seguire lo stesso iter dei genitori: rimanere in Italia con un permesso di soggiorno per studio, per lavoro o per motivi familiari, altrimenti dovranno lasciare il paese. In questo caso il fatto di essere nati in Italia e di avere quindi perfetta padronanza della lingua e della cultura italiana non ha alcun valore per lo Stato Italiano.I ragazzi arrivati da piccoli invece non hanno nessun percorso dedicato: rimangono registrati sul permesso di soggiorno dei genitori fino alla maggiore età . Dopodiché devono iscriversi all’università oppure trovare un contratto regolare. Se non sono in grado di trovare un lavoro o di pagarsi gli studi universitari li aspetta la clandestinità (che in Italia è reato), oppure l’espulsione. Anche in questo caso la legge italiana non si preoccupa di espellere ragazzi e ragazze che spesso non hanno nemmeno mai visto il loro paese di origine.
Politica, cittadinanza, e seconde generazioni: una questione da (ri) porre in agenda
Un’importante proposta di legge a favore di uno ius soli temperato (cioè permettere l’acquisizione della cittadinanza ai bambini che nascono in Italia dopo un determinato periodo di residenza dei genitori, e un percorso ad hoc per i bambini che arrivano in Italia da piccoli), era stata presentata nel 29 dall’Onorevole Sarubbi -Pd- e dall’Onorevole Granata -ex Pdl ora Fli-.
Nella speranza che il tema torni nelle agende politiche nazionali. Anche grazie all’impulso di G.Lab.