L’Anno europeo dei cittadini
In preparazione dell’Anno europeo la Commissione ha condotto, tra il 9 maggio e il 9 settembre 212, un’ampia consultazione pubblica per rilevare i problemi incontrati dai cittadini nell’esercizio dei diritti legati alla cittadinanza europea. Dalle risposte emerge chiaramente l’importanza che i cittadini attribuiscono ai diritti di cui godono nell’Unione europea, specialmente alla libera circolazione e ai diritti politici. Gli interpellati vorrebbero un autentico spazio europeo in cui poter vivere, lavorare, spostarsi, studiare e fare acquisti senza trovarsi di fronte a ostacoli burocratici o discriminazioni. Tuttavia, resta del cammino da compiere: i cittadini hanno evidenziato svariati problemi, soprattutto la difficoltà di far rispettare i diritti dell’Unione a livello locale; la Commissione tratterà la problematica nella prossima relazione sulla cittadinanza dell’Unione, la cui pubblicazione è prevista nel corso del 213.
Lo statuto della cittadinanza europea
La cittadinanza europea – che integra e non sostituisce quella nazionale – conferisce a tutti i cittadini dei 27 Stati membri dell’Unione una serie di diritti supplementari. Il cittadino dell’Unione ha il diritto di votare e candidarsi alle elezioni amministrative ed europee nello Stato membro in cui risiede, gode della tutela consolare delle autorità di un qualsiasi Stato membro se il suo Stato non è rappresentato all’estero, può presentare una petizione al Parlamento europeo, rivolgersi al Mediatore europeo e, dal 212, partecipare a un’iniziativa dei cittadini europei.
Dalla cittadinanza europea derivano certamente molti diritti, di cui non sempre siamo consapevoli. Ad esempio, la libertà di circolazione è il diritto più apprezzato derivante dalla cittadinanza. Ogni anno i cittadini europei compiono infatti più di un miliardo di spostamenti nell’Unione e sono sempre più numerosi quelli che esercitano il diritto di vivere in uno Stato membro diverso dal proprio. Eppure, sebbene oltre un terzo dei lavoratori (35%) sia pronto a prendere in considerazione un impiego in un altro Stato membro, quasi una persona su cinque ritiene che, all’atto pratico, vi siano ancora troppi ostacoli. Insieme alle difficoltà linguistiche, il principale scoglio al pendolarismo transfrontaliero è la carenza cronica di informazioni.
La Commissione europea è al lavoro per superare tali ostacoli. La relazione 21 sulla cittadinanza dell’Unione ha presentato 25 azioni concrete per rimuovere gli ostacoli che i cittadini europei incontrano tuttora nell’esercizio del diritto alla libera circolazione all’interno dell’UE. Tra queste figurano campagne di sensibilizzazione sullo status di cittadino europeo, sui relativi diritti e sulle implicazioni nella vita quotidiana. Durante quest’Anno europeo dei cittadini la Commissione pubblicherà la seconda relazione sulla cittadinanza dell’Unione, che fungerà da piano d’azione inteso a eliminare i rimanenti ostacoli che impediscono ai cittadini dell’Unione di godere pienamente dei propri diritti.
Luci e ombre della cittadinanza europea
Così, in estrema sintesi, la cronaca dei fatti recenti, ricostruita sulla scorta dei comunicati stampa. Da essa sembra ricavarsi che la cittadinanza europea sia una condizione dalla quale deriva il riconoscimento di diritti ai “cittadini” europei. Questa conclusione deriva però da un duplice fraintendimento.
In primo luogo, la cittadinanza europea non è una vera e propria cittadinanza. Essa è una situazione distinta dalla cittadinanza nazionale, e per di più limitata ed anche aggiuntiva rispetto a quella. Le situazioni che si riconducono alla cittadinanza europea sono sostanzialmente limitate alla mobilità delle persone fisiche all’interno dell’Unione europea e alla legittimazione democratica dell’Unione stessa (per vero solo fin dove si spinge la dinamica elettorale). Tutto il resto rimane confinato all’alveo nazionale, nel campo della cittadinanza tradizionale e dunque “frammentato”: tante cittadinanze quanti Stati nazionali.
In secondo luogo,i diritti, o meglio la loro protezione, sono ormai scollegati dalla tematica dell’identità e della cittadinanza. Come si sa, nel modello tradizionale recepito anche dal diritto internazionale, la cittadinanza esprime quel nesso tra un individuo e uno Stato che rappresenta il presupposto per il godimento delle libertà fondamentali. Dunque è corretto affermare che in questo modello esiste un nesso stretto tra la condizione di cittadino e il riconoscimento di diritti. E ben si comprende come su questa realtà si innestino anche dinamiche volte alla costruzione di identità nazionali.
La cittadinanza oltre lo Stato-nazione
Orbene questo modello è da tempo entrato in crisi cosìcome è entrato in crisi lo Stato-nazione, in quanto comunità basata sulla identificazione dello Stato con la nazione, per cui i cittadini di uno Stato sono gli appartenenti alla comunità nazionale che si esprime e si organizza attraverso quello Stato. Oggi assistiamo sempre di più in Europa al costituirsi di società multietniche, a motivo dell’intensificarsi di fenomeni migratori dovuti alla globalizzazione (ma le migrazioni ci sono sempre state per la verità ), e dunque al consolidarsi di un differente modello di Stato e in genere di organizzazione dei rapporti politici tra gli individui e lo Stato: quello del riconoscimento dei diritti umani a tutti coloro che si trovino “within the jurisdiction” (cosìrecita l’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed anche gli altri trattati sui diritti dell’uomo con comparabili formulazioni).
La cittadinanza dunque e men che meno la cittadinanza europea non è più un elemento determinante per il riconoscimento dei diritti, anche se ancor oggi molti diritti vengono riconosciuti solo ai cittadini (per esempio quelli di elettorato alle elezioni politiche). Anche su questo versante osserviamo comunque in atto interessanti movimenti e trasformazioni volte alla parificazione, per quanto possibile, dei diritti degli stranieri a quelli dei cittadini.
In quest’ottica, il tema della cittadinanza europea, pur interessante in quanto pone il problema difficile, ma ineludibile, del superamento della cittadinanza nazionale in favore di un legame con l’entità più ampia e comprensiva rappresentata dall’Unione europea, appare inevitabilmente datato proprio nel suo tentativo di voler costruire un nesso individui-entità politica di appartenenza in una logica ormai in via di superamento quale appare quella della cittadinanza.
Il futuro della cittadinanza europea
Tuttavia, ci può essere un modo diverso, e secondo me più produttivo, di parlare di cittadinanza europea. Lo si può fare riferendosi non solo all’Unione europea, ma a tutto il complesso della dimensione europea, tanto sul versante istituzionale della integrazione (includendo dunque anche altre organizzazioni internazionali, come il Consiglio d’Europa e non solo), quanto anche sul versante della dimensione semplicemente ultrastatuale (quella che porta ognuno di noi a vivere spesso oltre la realtà di un solo Stato).
Alludo a quella dimensione che ci fa dire spesso (anche se non abbastanza, temo) che ci sentiamo cittadini europei quando vogliamo dire che desideriamo non limitare la nostra prospettiva a una dimensione solo nazionale, che connotiamo in quel momento come riduttiva.
Credo che il modo migliore per celebrare l’anno europeo dei cittadini, vivendone appieno lo spirito, sia proprio questo, cioè indagare e ricostruire quanto di europeo esiste oltre la semplice dimensione nazionale della cittadinanza. Esiste un insieme di diritti, un livello di tutela di diritti, che possiamo ritenere europeo? E se è così, quanto il livello dei diritti garantiti ai cittadini italiani è lontano da quel livello europeo? Ed esiste una discriminazione su base “territoriale”, ossia anche all’interno dell’Italia, tra i diritti riconosciuti a chi vive nelle regioni del Centro Nord e quelli che spettano a chi vive nel Sud e nelle isole? Questo il cammino che ci proponiamo di intraprendere su questa rivista in questo 213 anno europeo dei cittadini.