Dal 22 al 25 maggio i cittadini europei si recheranno alle urne per eleggere i 751 deputati del nuovo Parlamento europeo. L’importanza di questo appuntamento è fin troppo evidente: l’Unione europea attraversa una delle fasi più difficili della sua storia. Lo stesso slogan scelto per la campagna elettorale – Agire, Reagire, Decidere – recepisce le critiche che i cittadini rivolgono alle istituzioni europee e al tempo stesso li invita a riappropriarsi del loro futuro in Europa.
L’antieuropeismo arriva oggi a mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Unione e il proseguimento del processo di integrazione avviato più di cinquant’anni fa. Le critiche non mancano di una loro fondatezza e le responsabilità non fanno salvo nessuno, soprattutto i governi nazionali che in questi anni hanno contribuito all’adozione di quelle misure che ora criticano aspramente.
Il calo di fiducia
L’Eurobarometro pubblicato a maggio 2014 (Special EB 415) registra una crescita della sfiducia nella situazione attuale dell’Europa. Per quanto riguarda l’Italia il 91 percento degli intervistati ritiene del tutto negativa la situazione economica (contro il 65 percento della media europea); la disoccupazione è ritenuta il principale tema da affrontare dal 60 percento degli italiani. Cresce in Italia la sfiducia verso le istituzioni europee (69 percento), ma tale sfiducia raggiunge l’86 percento nei confronti del Parlamento e del Governo nazionali. E’ interessante rilevare che, a dispetto dell’antieuropeismo latente, il 56 percento degli italiani non è d’accordo con l’idea che il nostro paese potrebbe affrontare meglio il futuro fuori dall’Europa (contro il 32 percento della media europea).
A livello europeo cresce la distanza percepita tra i valori che uniscono gli stati membri, ma è in lieve crescita l’ottimismo verso il futuro dell’Europa; la pace, la tutela dei diritti umani e la democrazia rimangono i valori che secondo gli intervistati meglio rappresentano l’Europa.
Le dimensioni dell’antieuropeismo
Parlare di antieuropeismo come di un fenomeno indistinto che attraversa l’Europa è una semplificazione che non aiuta a comprendere la diversità delle posizioni che si celano dietro questa formula. In un rapporto pubblicato ad aprile, il think tank britannico Open Europe definisce i partiti antieuropeisti il ” blocco del malcontento ” , complessivamente dato dai sondaggi al 31 percento, in aumento rispetto al 25 percento del 2009. Ciò consentirebbe loro di guadagnare 218 dei 751 seggi disponibili. Si tratta però di partiti molto diversi tra loro, quali il Fronte Nazionale in Francia, il Partito olandese per la Libertà , l’Ukip in Gran Bretagna, il Finns Party in Finlandia, il Partito popolare danese e, potremmo aggiungere la nostra Lega nord e il Movimento5Stelle. Il rapporto di Open Europe individua sei categorie all’interno del ” blocco del malcontento ” : 1) gli anti-europeisti, 2) i fortemente critici, 3) i nazionalisti/conservatori, 4) gli anti-establishment, 5) i populisti di sinistra, 6) i neo-fascisti.
L’estrema eterogeneità che li caratterizza impedirà loro di costituire un blocco compatto all’interno del Parlamento, finendo cosìper rafforzare i partiti maggiormente indirizzati al mantenimento dello status quo, con un sostanziale incremento delle posizioni integrazioniste.
Sul piano degli equilibri tra i gruppi parlamentari, si riconfermerebbero le dinamiche corporative, già sperimentate in passato, tra i due maggiori gruppi di partiti – i Socialisti e il Ppe – che, salvo accordi dell’ultima ora, finirebbero per controllare l’elezione del Presidente del Parlamento e della Commissione.
I riformisti, coloro cioè che pur non rinnegando il processo di integrazione, chiedono riforme strutturali dell’Ue, sarebbero destinati a perdere peso: la volontà dei maggiori gruppi di partiti di ostacolare le posizioni anti-Ue, neutralizzerebbe le loro spinte riformatrici.
Nel dibattito antieuropeista emerge la posizione del primo ministro inglese David Cameron, che ha reso nota la sua agenda per l’Europa in un articolo apparso sul The Telegraph del 15 marzo scorso. Il primo ministro inglese, oltre a riproporre la sua idea di un referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue da tenersi entro il 2017, ha sintetizzato in sette punti la sua proposta di riforma che comprende il tema dell’immigrazione, della riduzione della burocrazia, ma anche il ridimensionamento delle interferenze da parte della Corte Europea dei diritti umani e l’abolizione del principio di una collaborazione rafforzata tra gli stati membri.
La novità di queste elezioni
Malgrado l’antieuropeismo, in queste elezioni non mancano le novità positive. Per la prima volta infatti troverà applicazione il paragrafo 7 dell’articolo 17 del Trattato di Lisbona che regola l’elezione del Presidente della Commissione, stabilendo un più stretto collegamento tra l’elezione del ” capo del governo europeo ” e il risultato elettorale. A questo proposito, la Commissione è intervenuta con una comunicazione (COM 2013 – 126), raccomandando ai partiti nazionali di rendere visibile la loro affiliazione ai rispettivi partiti politici europei e a questi ultimi di rendere noti i rispettivi candidati alla carica di presidente della Commissione. I candidati per i cinque principali partiti europei sono: Ska Keller, candidata per i Verdi, Alexis Tsipras per la Sinistra europea, Guy Verhofstadt per l’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (Alde), Jean-Claude Junker per il Partito popolare europeo e Martin Schulz per il Socialisti e democratici europei, nonché attuale Presidente del parlamento europeo.
Questo aspetto ha una notevole rilevanza da diversi punti di vista infatti, oltre a rafforzare la democrazia europea, modifica la natura stessa della campagna elettorale. Per la prima volta il 15 maggio si è svolto il ” duello ” televisivo tra i cinque candidati alla Presidenza della Commissione i quali hanno avuto modo di confrontarsi sulle principali tematiche europee dal lavoro all’economia, dalla politica estera alla questione energetica. Tutti si sono trovati d’accordo nel ribadire che uno di loro sarà il futuro Presidente, in quanto legittimato dal voto popolare, impedendo colpi di mano da parte dei governi nazionali, per altro già ventilati dalla cancelliera Merkel.
La mobilitazione dei social media
Queste sono le prime elezioni del Parlamento europeo dell’era dei social media e la mobilitazione è veramente imponente. Il Parlamento europeo è presente su tutti i social media con immagini, filmati, blog e forum di discussione. Debating Europe è lo strumento più importante messo in campo dal Parlamento per simulare il voto online e realizzare sondaggi in tempo reale. Durante il dibattito televisivo tra i candidati del 15 maggio scorso l’hashtag #TellEurope ha fatto registrare oltre centododicimila tweets in un’ora di trasmissione e nei giorni precedenti il dibattito, sempre attraverso i social media, era possibile inviare domande da sottoporre ai candidati.
Interessante anche il tentativo di coinvolgere i cittadini nel farsi promotori della campagna elettorale con l’iniziativa lanciata dal Parlamento europeo ” diventa ambasciatore delle elezioni europee ” con Thunderclap, un’azione di marketing virale che partirà il giorno prima delle elezioni con l’obiettivo di promuovere la partecipazione elettorale.
La voce dei cittadini
Non mancano gli esempi di iniziative che invece di rassegnarsi davanti alla crisi dell’Ue si fanno promotrici di modelli alternativi. E’ questo il caso dell’iniziativa dei cittadini europei ” NewDeal4Europe ” , lanciata a marzo di quest’anno che chiede alla Commissione ” un piano di investimenti pubblici per fare uscire l’Europa dalla crisi tramite lo sviluppo della società della conoscenza e la creazione di nuovi posti di lavoro soprattutto per i giovani ” , da finanziare con ” una tassa sulle transazioni finanziarie e una carbon tax ” .
L’iniziativa dei cittadini europei è uno strumento di democrazia partecipativa, ancora poco noto, previsto dall’art. 11 del Trattato di Lisbona che consente ad un milione di cittadini europei di invitare la Commissione a presentare una proposta di legge su tematiche ritenute di interesse generale. E’ un modo per influenzare l’agenda dell’Unione dal basso, stimolando al tempo stesso un dibattito attorno a tematiche europee.
Il primo anno di vita dell’Ice ha registrato tre importanti successi: Right to Water, Uno di Noi e Stop alla vivisezione sono riuscite nel difficile obiettivo di raccogliere un milione di firme. Il segreto del successo di queste Ice va ricercato nella forza delle reti della società civile europea che le hanno sostenute, a dispetto della scarsa informazione da parte dei media.
L’Europa che vorremmo
Si può discutere a lungo sui singoli aspetti, ma resta il fatto che l’Europa deve recuperare il senso di un progetto comune. Anche se la progettualità non appartiene alla fase postideologica della politica contemporanea, occorre riscrivere una narrativa del processo di integrazione che, senza rinnegare il passato, sia in grado di parlare a milioni di giovani disoccupati che considerano la pace un dato acquisito, ma non altrettanto la collaborazione tra i popoli europei.
Un’altra Europa, che senza rinnegare il rigore lo interpreti in termini di buona amministrazione, trasparenza, democrazia, lotta alla corruzione; che sappia indicare un modello di sviluppo sostenibile che faccia dell’occupazione il fine e non un mero strumento della crescita del Pil; che sappia adottare politiche di accoglienza nei confronti di migliaia di migranti che considerano il suo territorio un luogo capace di assicurare loro un futuro migliore; che sappia fare dei cittadini una risorsa e non i destinatari di decisioni prese a porte chiuse nell’interesse dei poteri forti.
Occorre immaginare un modello di società europea capace di fare scelte coraggiose senza perdersi nei meandri di una burocrazia asfittica, che sappia giocare un ruolo nel mondo facendosi portavoce dei valori che la animano. Un’Europa che sappia combinare il realismo politico dei padri fondatori con la loro capacità visionaria, per non condannarsi ad una stagnazione, pericolosa almeno quanto la sua dissoluzione.
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