” Crescere insieme per un’economia giusta ” è, come dice l’autore, un libro per tutti. Nella prefazione Bortolotti lo dice francamente al lettore: ” Ho voluto evitare il gergo da iniziati e ogni tecnicismo, semplificando teorie e concetti per renderli accessibili. […] un tentativo di avvicinare l’economia al senso comune sembra auspicabile e atteso ” . Questa, e continuando la lettura lo si comprende chiaramente, non è solo una scelta di metodo, ma rappresenta in nuce parte della risposta che viene data nell’opera agli enigmi posti dai problemi dal nostro tempo: cooperare e collaborare per la riuscita del progetto comune di futuro. Crescere insieme, appunto.
In medias res: dentro la crisi
Viviamo nella crisi dal 2008. E anche se le scene più violente, quelle delle manifestazioni di piazza, degli assalti ai negozi o dei licenziamenti di massa, sembrano ormai passate i dati economici e sociali ci dicono che questa storia non è ancora arrivata al suo the end. Un dato e un’immagine colpiscono, in particolare, nell’analisi di Bortolotti sul paziente economia. Il dato è 0.7, tanto vale il peso delle disuguaglianze economiche mondiali, secondo un calcolo realizzato utilizzando l’indice di Gini (semplificando, la scala delle disuguaglianze di questo indicatore va da 0, in cui tutti i redditi sono uguali, a 1, in cui un solo individuo possiede tutto). L’immagine è quella della Namibia, lo Stato più disuguale del mondo. Il suo valore di disuguaglianza secondo l’indice di Gini? 0.7!
Il dato è preoccupante poiché rappresenta la serpe in seno che il sistema economico e sociale sta covando. Se la disuguaglianza in sé non è necessariamente un male poiché, secondo ampia letteratura economica, favorisce l’accumulazione del capitale da cui dipende la crescita, quella che caratterizza il nostro attuale sistema lo è. Si tratta, infatti, di una disuguaglianza nociva, ” quella che discende dal monopolio, dalle rendite che le élites estraggono a proprio beneficio ponendo freno ai meccanismi della mobilità sociale, ostacolando i processi di riforma, chiudendo mercati e opportunità per chi le sfida. E’ una disuguaglianza ereditaria, che si trasmette di padre in figlio sempre più per appartenenze e quasi mai per reddito ” .
Quale futuro per un’economia giusta?
La crisi economica è la punta di un iceberg. Nel fondo di questo gigante di ghiaccio c’è il vero problema: la crisi culturale. La nostra società per anni è stata caratterizzata da sistemi dicotomici che hanno reso le forze sociali lontane e spesso antagoniste: Stato e mercato, pubblico e privato, imprese e società e cosìvia.
L’autore traccia un’analisi di alcuni strumenti, la maggior parte dei quali già in fase di sperimentazione, che potrebbero essere in grado di ricostruire le fratture dell’esistente. ” In queste proposte troviamo l’individuo, le imprese, le generazioni, le comunità , nel tentativo di ricomporre quella divisione fra Stato e mercato, fra sfera economica e politica del progresso sociale, che per noi è una delle principali cause della crisi ” . Bisogna ridurre le distanze tra i mondi e per farlo dobbiamo cambiare il paradigma dominante, ponendo al centro un principio di smithiana memoria. Il principio di empatia, ” l’inclinazione naturale dell’uomo a sentire come propri i sentimenti e le sofferenze altrui ” .
Un ruolo importante in questa transizione verso un’economia e una società giusta, lo giocano anche i beni comuni. In particolare Bortolotti analizza tre modelli emergenti: la Big Society, cioè il programma posto in essere dal governo Cameron per la devoluzione dei poteri dal livello centrale a quello locale accompagnata dalle politiche di incentivi alle imprese sociali e liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, in questa politica entrano anche in campo strumenti come il right to buy, cioè il diritto di acquistare beni sottoutilizzati di proprietà dello Stato per realizzare attività di interesse comune; politiche relative ai finanziamenti statali nel settore dei servizi pubblici locali, uno per tutti è il Social Impact Bonds (Sib), una sorta di partenariato pubblico-privato in cui lo Stato eroga finanziamenti solo al raggiungimento degli obiettivi sociali prefissati; il sistema dei trustees per l’amministrazione dei beni comuni.
La rotta non è già preordinata, né esiste, dice Bortolotti, un Keynes o un Max Weber che ci consegnano le chiavi teoriche del futuro. Ma la meta è ben chiara: un modello di società , quindi anche economico e politico, sostenibile e che miri a consegnare alle prossime generazioni stabilità e speranza. Bisogna allora sprigionare tutta la forza creativa e innovativa che la società possiede per intraprendere insieme questo cammino di crescita.
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