Da più parti nella società  civile si avverte una spinta nella direzione del Regolamento

La società  responsabile che sostiene la diffusione del Regolamento spinge la propria città , cittadina o piccolo comune ad adottarlo

Il Regolamento sull’amministrazione condivisa è nato nella primavera del 2014 in un comune d’avanguardia, quello di Bologna. Durante l’estate e l’autunno altri comuni lungimiranti lo hanno adottato: Siena e Asciano (Siena), L’Aquila, Chieri e Ivrea (Torino), Cavriana (Mantova), Narni (Terni) e Acireale (Catania). I loro dirigenti politici, appena hanno potuto, hanno voluto mettersi sullo stesso sentiero della città  di Bologna, avventuroso e stimolante, ma tutto da esplorare. Una quarantina di altre amministrazioni locali sparse in tutta Italia hanno da settimane avviato l’iter per seguirli. Ma questa è solo metà  della mela.

La società  che spinge verso il Regolamento

L’altra metà  sta fuori dai municipi italiani: è la società  responsabile che sostiene la diffusione del Regolamento e spinge la propria città , cittadina, piccolo comune di mare, pianura o montagna ad adottarlo. Dall’osservatorio di Labsus, dopo mesi di interazione diretta e virtuale con centinaia di cittadini e gruppi attivi di varia natura, si  intuisce chiaramente che in Italia esiste una società  che spinge verso il Regolamento. Negli ultimi sette mesi molti spazi, oltre a quelli delle pubbliche amministrazioni, si sono aperti con curiosità  al dibattito sulla ” sussidiarietà  per davvero ” , dai centri servizi per il volontariato (Taranto, Napoli, Lucca) alle fondazioni bancarie (Cariplo, Triulza, Fondazione con il Sud), dal Festival del diritto di Piacenza alla Biennale della prossimità  di Genova, dalle biblioteche comunali (Trento) alle aule magne delle università  (Roma, Palermo), dalle Camere di commercio (Mantova) alla Federnotai fino alle Acli (Biella). L’innovazione è nata in ambito istituzionale, ma di fronte a un insieme cosìeterogeneo di soggetti che condividono la speranza in uno stesso strumento è impossibile non accorgersi della sua portata sociale.

Voglia di cambiamento

Ragioniamo su questa spinta che da più parti va nell’unica direzione del Regolamento. Da cosa nasce? Quale fine viene condiviso? Che comportamenti possiamo iniziare a notare in questa nascente società  responsabile italiana? Quali modalità  nel relazionarsi? Una prima generale risposta a queste domande potrebbe essere quella che stia davvero maturando una diffusa voglia di trasformare l’Italia a partire dalla cura dei beni comuni, intesa sia come opportunità  per se stessi e il proprio gruppo che come opportunità  collettiva.

Un progetto locale e al tempo stesso nazionale

Questo doppio livello è l’elemento nuovo e potente. Da quando ha lanciato la notizia dell’adozione del Regolamento a Bologna ad oggi, Labsus funziona da antenna ricevente, oltre che trasmittente: riceve l’interesse di profili diversissimi, che vale qui la pena descrivere per iniziare a raccontarle, queste dinamiche sociali convergenti. E poiché da mesi si parla del Regolamento come di uno strumento utile a liberare una gran quantità  di energie bloccate, cerchiamo di iniziare a mettere a fuoco i soggetti che hanno dichiarato di voler mettere le proprie forze a disposizione, e di volerle unire in nome di un progetto al tempo stesso locale e nazionale.

L’interesse e il sostegno degli esperti

Molte persone che si sono dimostrate immediatamente disponibili a sostenere l’approccio del Regolamento sono coloro che potremmo definire esperti, includendo liberi professionisti e consulenti con specifiche competenze e professionalità  d’avanguardia, abbinate a uno spiccato interesse per un generale cambiamento di paradigma: questo è il caso di gruppi multidisciplinari con expertise ad esempio in progettazione europea e temi di nicchia (dai social impact bond ai tetti verdi) interessati a contribuire alla nascita di poli culturali nel proprio quartiere e a redigere manifesti dei beni comuni anche nella propria città , piuttosto che a lanciare iniziative per condividere le opportunità  generate da grandi eventi, come l’Expo.

Comunità  di persone affini

Tali esperti possono essere più o meno sicuri delle proprie tesi, ma da parte loro una certa richiesta di fare massa critica emerge sempre. Chi ad esempio si occupa di contabilità  ambientale – collaborando con comuni per l’approvazione di piani d’azione per l’energia sostenibile – cerca di fatto un modo per coinvolgere cittadini e imprese locali al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti. Lo stesso accade per coloro che si occupano di smart city e vogliono far sìche i cittadini inizino a usare piattaforme di raccolta e gestione dati territoriali. Anche chi si dice disinteressatamente disponibile a dare una mano per consulenze giuridiche piuttosto che partecipative, magari come formatore, un interesse ce l’ha: trovarsi in una comunità  di persone affini. Vi è poi un buon numero di studenti universitari, neo-laureati e dottori di ricerca (a volte anche dall’estero) che manifestano il proprio slancio a sostenere il Regolamento perché ci vedono la possibile applicazione delle loro tesi di ricerca sull’economia del bene comune, la riqualificazione urbana, l’innovazione sociale eccetera.

Il nuovo terzo settore, quello dei cittadini attivi

Una pluralità  di realtà  rappresentative di un nuovo terzo settore spingono a loro volta verso il Regolamento. Anche in questo caso esprimono sia la volontà  di portare a compimento progetti puntuali sia quella di partecipare a un cambiamento culturale in atto: diversi esempi potrebbero essere fatti citando comitati civici e cooperative che da un lato lavorano per la tutela e la valorizzazione di beni comuni (spazi ed edifici) e dall’altro lato sono molto consapevoli del valore aggiunto che solo un approccio nuovo può portare, attraverso concetti come la co-progettazione, la co-responsabilizzazione e la co-ownership. E’ altresìalto il numero di associazioni che assumendo un atteggiamento sorprendentemente propositivo e collaborativo, quasi candidandosi a nuovo braccio destro della politica, si dichiarano pronte a sostenere attivamente uno strumento che potrebbe finalmente riuscire a scavalcare ostacoli e vincoli burocratici che hanno finora bloccato iniziative che hanno coinvolto moltissime energie locali, senza mai raggiungere i risultati sperati in termini di fruibilità  degli spazi pubblici, restauro del patrimonio eccetera.

Cittadini a più dimensioni

Le teorie dei giochi ci ricordano poi che ognuno di noi riveste sempre più di un ruolo nella società , e questo arricchisce il panorama dei sostenitori in modo sorprendente. Non solo un filosofo a capo di uno studio di progettazione urbanistica può essere un amministratore di fatto, ma una docente di discipline giuridiche ed economiche in un liceo può essere anche mamma impegnata nella scuola dei figli, e un commerciante può voler dedicare parte della sua vetrina al Regolamento: ogni riferimento a fatti e persone reali non è puramente casuale!

Costruire una rete con una visione del futuro

C’è nell’aria un generale bisogno di cambiamento e di questo tutti parlano. Ma c’è anche una più sottile esigenza di sentirsi parte di una rete di italiani accomunati da una visione del futuro in cui gli sforzi possano convergere: nel più breve tempo possibile e comunque senza aspettare che la crisi passi. In questo senso il livello locale è quello che più di ogni altro, certamente più di quello nazionale, offre possibilità  di sperimentare progettualità  d’avanguardia. I cittadini che spingono verso il Regolamento hanno in mente città -laboratorio, oltre che città  in cui la normale amministrazione può diventare terreno di collaborazione con i propri amministratori.

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