Quando anche Stato e/o privati sono incapaci di risolvere i problemi del nostro tempo – ma anche solo del nostro vicinato – si registra una naturale ri-articolazione di ruoli e forze, e cause e effetti, con esiti spaziali e sociali estremamente interessanti. In molte realtà locali, una cittadinanza attiva, l’ ” altra Italia ” , non solo esiste, ma è una voce forte e chiara dell’energia potenziale che abbiamo immagazzinato tutti fino ad ora, e che aspetta solo di essere saggiamente utilizzata non in forma contingente, ma strutturale.
” Liberare energie. Rigenerare Torino ” è dunque il titolo di una giornata di riflessione (non è piaciuto nemmeno agli organizzatori chiamarla convegno ” ) che si è tenuta giovedì4 dicembre al Politecnico di Torino, nel Salone d’onore del Castello del Valentino, raramente visto cosìaffollato da persone dall’estrazione più varia e cosìattivi nella discussione. Ed infatti tutti insieme, relatori e platea, si è animata una riflessione su Torino, città che ha tutte le carte in regola per presentarsi come il primo grande comune italiano in cui cittadini e amministratori collaborano per prendersi cura della propria comunità , dei suoi spazi, degli edifici, del verde pubblico, ma in cui tutte queste pratiche hanno bisogno di un supporto politico ben strutturato, per essere contagiose e inclusive.
Gli strumenti tecnico-amministrativi per dar vita a questa rivoluzione almeno nei rapporti fra cittadini e istituzioni sono stati illustrati nella relazione di base da Gregorio Arena, ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università di Trento e presidente di Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà , fautore del ” Regolamento per i beni comuni ” .
“Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà ” (Costituzione, art. 118, ultimo comma): il Regolamento è uno strumento che traduce questo principio in disposizioni amministrative che permettono di ” liberare energie ” al riparo della norma, per fare in modo che i cittadini attivi possano collaborare con le istituzioni per la cura dei luoghi in cui vivono: cittadini, quindi, intesi dall’amministrazione come portatori di capacità e competenze, e non come semplici utenti.
Il contesto torinese
Dopo i saluti dei docenti del Politecnico Patrizia Lombardi e Alex Fubini, l’assessore alla Rigenerazione urbana Ilda Curti ha illustrato gli interventi già realizzati a Torino per rigenerare la città , tenendo conto delle prospettive che potrebbero aprirsi nei prossimi anni anche a Torino con l’adozione del Regolamento. Nella tavola rotonda moderata da Daniela Ciaffi, sociologa e urbanista, si sono confrontate differenti prospettive su come promuovere una rigenerazione urbana fondata sul modello dell’amministrazione condivisa e sulla leva del cambiamento: il sociologo Alfredo Mela, che vede come positive forme di istituzione miste; l’amministrazione comunale, con il dirigente del servizio Rigenerazione urbana di Torino Valter Cavallaro, che ha illustrato le iniziative già realizzate dall’amministrazione coerenti con il modello dell’amministrazione condivisa; Bruno Manghi, presidente della Fondazione Mirafiori, che ha sottolineato come questa rivoluzione ” dal basso ” sia stata anticipata dalle aziende che chiedono da tempo agli operai una vera e propria cooperazione, per fissare problemi e obiettivi condivisi; e Aldo Romagnolli, presidente dell’osservatorio per l’Economia civile, che ha messo in guardia dalla necessità di lunghi tempi di incubazione, necessari per far riconoscere a tutti, sia nella pubblica amministrazione che nelle organizzazioni profit e no-profit, l’inestimabile valore di una innovazione sociale ben progettata.
L’anima attiva di Torino
Brevi interventi, coordinati da Emanuela Saporito, architetto e ricercatrice presso il Politecnico, hanno poi dato una mappa di alcune fra le molte anime attive in diversi luoghi torinesi: la periferia nord con Federica Ravazzi, del gruppo di Renzo Piano G124, che ha reclamato una manutenzione condivisa da programmare già in fase di progetto; Mirafiori, con la docente del Politecnico ed esperta di crowdmapping Francesca De Filippi, che segnala la straordinaria facilità di risoluzione di problemi quando si mettono in campo le nuove tecnologie; Ianira Vassallo, che osservando quanto avviene alla Cavallerizza, individua nell’ossimoro della negoziazione conflittuale l’opportunità di segnare e vivere uno spazio, donandogli nuova funzione e identità ; Anna Rowinski, che ha presentato ” via Baltea 3 ” , una ex tipografia di 900 mq, trasformata da privati in uno spazio aperto e accessibile, in cui le attività produttive e commerciali generano lavoro per due cooperative, sono un punto di informazione alla cittadinanza e offrono una cucina condivisa, un bar sociale, un panificio bio, una scuola di musica e una di teatro, una falegnameria e un ufficio co-working; ed infine OrtiAlti, presentato da Elena Carmagnani, ideatrice con Emanuela Saporito di un’associazione di promozione sociale che realizza e gestisce orti di comunità sui tetti piani di edifici di vario genere tramite il coinvolgimento diretto delle comunità che li abitano o li utilizzano.
Un nuovo paradigma tutto italiano
Nel tirare le somme della giornata Gregorio Arena ha evidenziato come questo ” riprendersi la delega alle istituzioni ” , da parte dei cittadini, in tutti gli esempi presentati, è un fenomeno straordinario, che non solo sta già accadendo, ma che per di più accade coinvolgendo le persone in maniera allegra e positiva. Non possiamo pensare di ricostruire una comunità con le risorse economiche e industriali degli anni del dopoguerra, né con gli strumenti normativi figli di un ‘800 mai cosìlontano. La risposta è nel capitale sociale costituito dalla cittadinanza attiva, che però non deve essere lasciata sola: questi ” lampioncini ” nella nebbia della passiva accettazione del fato, tipicamente italiana, possono essere messi in rete e illuminare una porzione di spazio sempre meno locale e in modo sempre più sistemico, perché rabbia e rassegnazione lascino il posto a responsabilità e positività , cosìpalpabili nelle occasioni illustrate durante la discussione con la platea. Che ” all’italiana ” possa scrollarsi di dosso le solite accezioni negative e diventare un paradigma per liberarsi e vivere in modo più equo e umano nelle comunità in risposta alla crisi aumentando resilienza e felicità ?