Le tensioni registratesi nelle settimane scorse a Tor Sapienza hanno evidenziato quanto sia debole il tessuto sociale quando manca la collaborazione tra istituzioni, cittadini e immigrati. Per questa ragione è necessario creare un dialogo con le comunità immigrate onde evitare il crearsi di una situazione di esasperazione sociale.
Il nostro Paese non è caratterizzato solo da episodi di protesta che hanno visto come protagonisti gli abitanti del quartiere contro il centro che ospitava i rifugiati ma sono tanti i progetti che, promossi da volontari o dalle amministrazioni, stanno aiutando i cittadini stranieri ad acquisire capacità e competenze da spendere nella comunità di accoglienza per essere parte attiva della vita cittadina. E’ quella che si potrebbe definire come la “buona accoglienza”, l’accoglienza che guarda in primis alle persone.
L’accoglienza che funziona
A Piacenza, ad esempio, l’amministrazione comunale punta a riqualificare interi quartieri popolari grazie alla collaborazione della comunità senegalese, romena e magrebina presente sul territorio. Mentre a Bologna la cooperativa Lai Momo, che gestisce alcune strutture che accolgono migranti (tra cui Villa Angeli a Sasso Marconi), ha promosso la pubblicazione di un libro “Tutta la vita in un foglio. Memorie di richiedenti asilo” in cui i migranti si raccontano e fanno conoscere le loro storie e le motivazioni che li hanno spinti ad abbandonare il proprio Paese.
A Fermo, nelle Marche, invece, sono molte le iniziative destinate ai circa 80 richiedenti asilo, accolti in un’ala del seminario arcivescovile della città , che prevedono corsi di italiano e stage come agricoltori o giardinieri permettendo cosìai migranti non solo di acquisire competenze ma anche di farsi conoscere dai residenti.
Mentre un diverso approccio all’accoglienza è quello che si sta sperimentando in Brianza, a Terni o a Sesto Fiorentino dove in cambio di un posto letto in mini appartamenti gli ospiti si sono resi disponibili a svolgere mansioni utili alla cittadinanza a titolo volontario, come ad esempio la cura e la manutenzione di giardini pubblici. In particolare a Sesto Fiorentino, grazie ad un accordo tra Caritas e comune, i migranti vengono direttamente coinvolti in attività di cura della città (come la pulizia delle strade, dei fossi e dei giardini) per due ore due giorni alla settimana.
Un posto “spaziale”
Di certo non sono mancate le polemiche e la diffidenza dei cittadini nella realizzazione di tali progetti e iniziative lo sanno bene Giorgio de Finis e Fabrizio Boni autori del documentario Metropoliz.
Metropoliz è un progetto nato nel 2009, quando un gruppo di circa 200 persone tra immigrati, persone senza casa, precari e rom hanno occupato un ex-salumificio dismesso da tempo, riqualificandolo e ” rendendolo oggi l’unica occupazione a scopo abitativo sul territorio italiano ad integrare i rom in un progetto di autorganizzazione ” .
Anche Metropoliz nasce nella periferia di Roma, anch’esso nel quartiere di Tor Sapienza ed è oggi spazio di incontro e di mediazione culturale aperto alla città intera, ospitando al proprio interno anche un museo, il MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove, che accoglie installazioni, murales e tante altre opere d’arte.
Nel documentario De Finis e Boni propongono agli abitanti dello stabile di costruire un razzo per andare a vivere sulla luna, che metaforicamente diventa il luogo di incontro tra la città e Metropoliz.
Tutti questi esempi, sviluppatisi in contesti anche molto diversi fra loro, sono la prova che una società eterogenea e variegata è possibile, ma è necessario l’impegno di tutti per fronteggiare l’emarginazione; è quindi sicuramente indispensabile, da una parte fornire tutti gli strumenti necessari perché il cittadino straniero possa avere coscienza e conoscenza dei propri diritti e doveri, dall’altra però è necessario promuovere una cultura dell’accoglienza.
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