Le Community enterprises descritte nel libro di Le Xuan e Tricarico hanno la caratteristica fondamentale di delimitare il proprio ambito d’intervento ad una specifica comunità locale, in aree territorialmente definite. Il termine enterprise definisce la natura imprenditoriale di queste organizzazioni che hanno come scopo il reinvestimento dei profitti nel perseguimento di obiettivi sociali che sono rivolti alla comunità di riferimento. In generale, le social enterprise agiscono in diversi settori: commerciale, finanziario, servizi alla persona, ecc.. Le Community enterprise invece strutturano il loro business per rispondere ad un bisogno specifico di un’area. Nel corso degli anni queste imprese si sono sviluppate in diversi contesti britannici con differenti percorsi di crescita e fornendo servizi che spesso venivano in precedenza erogati dallo Stato.
La nascita di questo genere d’imprese è frutto del lungo processo di riforma che ha investito il Regno Unito negli ultimi decenni e del contributo di governi di vari colori politici. Il primo significativo passaggio di riforma è avvenuto con i governi guidati dalla Thatcher che hanno spinto verso un approccio nella produzione dei servizi alle persone orientato ad una maggior presenza dei privati attraverso una serie di atti di deregolamentazione. Sotto i governi Blair la spinta verso questi processi è stata continua. Attraverso il programma New deal for Communities, si sono promosse le organizzazioni di comunità rendendole protagoniste dei processi di rigenerazione urbana. In ultimo, l’attuale governo Cameron ha continuato questo percorso inserendo le Community enterprises all’interno dell’ampio programma di riforma della governance territoriale denominato ” From the Big State to the Big Society ” . Il dibattito sulla Big Society è stato già affrontato da Labsus in un articolo del prof. Christian Iaione che metteva in evidenza ombre e luci di questa politica pubblica inglese.
E’ evidente quindi come queste realtà abbiano sempre trovato i favori della politica britannica essendo degli strumenti di produzione e gestione dei servizi capaci di dare una chiara lettura e un’efficace risposta ai problemi delle comunità locali.
Fondamentale in tutto questo è stato trovare il modo di dare a queste realtà mezzi e strumenti per potersi assicurare un auto-sostegno senza l’intervento statale. Le risorse affidate alle imprese di comunità sono, per la maggior parte dei casi, spazi residuali e immobili abbandonati come scuole, biblioteche, palazzi ed edifici dismessi che risultavano solo un enorme costo per il pubblico.
Il compito di queste organizzazioni è stato quello di riqualificare questi spazi e farli rivivere con servizi ed attività economiche per i bisogni della comunità di riferimento. Questo processo di passaggio dei mezzi, nella maggior parte dei casi a titolo gratuito, è detto acquiring asset process.
Nella ricerca di Le Xuan e Tricarico vengono poi presentati due case studies che riportano le esperienze del Eldonian village di Liverpool e del Westway Development Trust di Londra. La prima è una cooperativa di residenti che gestisce le proprie abitazioni di edilizia popolare nate nell’ex area industriale di Vauxhall creando uno stretto rapporto tra cittadini e autorità pubbliche già dalle fasi di progettazione. Uno processo durato 25 anni che ha trovato coronamento con il World Habitat Award assegnatogli dalle Nazioni Unite nel 2004. La seconda è stata invece la prima Community enterprise di Londra, nata a seguito delle proteste avvenute nel 1964 nel quartiere di North Kensington, per la costruzione di un’autostrada. L’accordo raggiunto tra i residenti, per la maggior parte caraibici e facenti parte della working class, e le autorità pubbliche, fu che gli spazi sotto le sopraelevate sarebbero stati di competenza di un’apposita organizzazione creata con lo scopo di fornire servizi, assistenza e nuovi posti di lavoro al quartiere.