Alla presentazione sono intervenuti, oltre all’autore, Marco Cammelli, Andrea Carandini e Roberto Cecchi, arricchendo la riflessione sulla gestione del patrimonio culturale italiano attraverso un’analisi diacronica.
Il libro fa esplicito riferimento all’articolo 9 della Costituzione italiana che parla di tutela del patrimonio culturale e di ‘promozione della cultura’, cioè di valorizzazione: ” Stato, regioni, comuni, università , associazionismo culturale, singoli cittadini per il bene comune hanno di fronte i marioli di sempre e la conservazione culturale scontenta del presente e paurosa del futuro. ” Secondo l’autore il patrimonio culturale necessita di una nuova valorizzazione attraverso l’azione congiunta dei soggetti pubblici e privati che vogliano affrontare questa sfida.
Riforma del sistema di tutela del patrimonio
“Parrebbe un libro nato per dar contro al sistema delle sovrintendenze – secondo Roberto Cecchi – invece esso sottolinea la necessità di ridurre gli aspetti autoreferenziali, corporativi, per mirare ad organismi a forte vocazione inclusiva, capaci di garantire ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, ovvero in grado di coordinare autorevolmente tutte le istituzioni pubbliche e private che si vogliono dare questa sfida. Quindi in realtà tende a riconoscere il valore dell’amministrazione dei beni culturali a condizione però che essa cambi, si modifichi.”
I cittadini infatti sentono questo loro patrimonio come qualcosa di lontano, inaccessibile, superfluo, quasi un lusso per ricchi.
Manacorda parla addirittura di tradimento della Costituzione operata in questi decenni dalla gestione ministeriale del patrimonio, accentrata e discrezionale, di soprusi della pubblica amministrazione guidata da una stretta cerchia di addetti. Le tante inefficienze dei beni culturali non dipenderebbero quindi dalla mancanze di risorse, intese come fondi e personale, ma dall’assetto dell’amministrazione dei beni culturali che richiede rimedi di natura radicale.
A fronte di questa diagnosi, Manacorda chiede che il patrimonio torni ai cittadini e propone per la tutela e valorizzazione una sorta di terza via: proteggere il patrimonio dandogli nuova vita, aprendo ad una gestione privata del sistema dei beni culturali anche soprattutto nei confronti del terzo settore, attraverso un regime di limpida attribuzione di ruoli.
Pluralismo democratico e uso sociale del bene comune
Andrea Carandini sottolinea come si debba creare un pluralismo nel concorrere al bene comune, uscendo quindi dal modello monolitico francese, del rappresentante unico del popolo, ed andare verso una società nella quale c’è lo Stato che è l’organizzazione di tutti, ma ci sono sono anche altri soggetti che possono concorrere alla tutela del patrimonio culturale. ” In questo ci si ricollega al pensiero di Tocqueville, di Dahl e di altri teorici della democrazia ” , sostiene il noto archeologo. Poi continua: “C’è la necessità di un atteggiamento olistico che tenga conto di molti fattori: la comunicazione, la gestione, la valorizzazione, la manutenzione, al di là dei soggetti che li gestiscono, e grazie ad una regia unica. Lo Stato infatti riceve il sussidio verticale delle Regioni e dei Comuni, ma riceve anche la sussidiarietà orizzontale da parte delle libere associazioni e quindi può essere molto più forte.”
Secondo il famoso archeologo “si potrà cosìunire cultura e godimento, ovvero superare un’idea funerea, vetusta di cultura, vissuta invece come come enjoyment. Dobbiamo riconoscere i diversi bisogni delle persone per migliorare l’offerta. Il FAI prima si occupava solo degli studiosi di storia dell’arte, cioè dell’élite culturale. Ora cerchiamo invece di coinvolgere tutti, coprendo un ventaglio di bisogni. Questa è veramente una gestione democratica e non elitaria. Si passerà cosìda una gestione burocratica dei servizi ad un’idea di impresa, anche dello Stato, e quindi un’apertura della gestione anche alle organizzazioni della società civile, avendo un atteggiamento aperto, sempre sotto la sovrintendenza dello Stato. ”
Il libro pensa quindi un nuovo ‘servizio di tutela’ del patrimonio culturale, che richiede la partecipazione di più attori e un ribaltamento di rapporti fra pubblica amministrazione e cittadinanza.
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