Nello schema dell’opera di Manacorda, alla premessa che ne illustra la genesi non segue immediatamente un proprio lemmario, posposto, bensìun approfondimento intitolato ” Istruzioni ed ostruzioni ” : è questa la parte deputata a creare il confronto con il libro di Montanari, citato ampiamente, evidenziandone pregiudizi, carenze, contraddizioni, aporie. Nessuna vacua diatriba tra accademici, ma un terreno di confronto su quello che ha da essere il contesto culturale italiano: le istruzioni sono ciò che ne agevolano lo sviluppo, le ostruzioni ciò che lo ostacolano. In particolare, a Montanari è rimproverata una tendenza alla laudatio temporis acti che si risolve in una strenua difesa del ruolo dello Stato quale tutore dei beni culturali: a questa concezione, Manacorda replica con una visione meno integralista e più favorevole ad un’evoluzione del settore, conciliando esigenze di utenti ed addetti al settore, anche a costo di sperimentazioni comportanti iniziative fragili o discutibili purché accessibili a tutti.
Una visione liberale
Verrebbe da dire: finalmente una visione liberale! Di questo infatti si tratta: tanto si reclama maggiore libertà di agire per i ricercatori, svincolati dalle pastoie di una macchina burocratica cieca ed incapace di sviluppare una visione organica (si vedano le riflessioni riportate in spunti quali quelli dedicati a gestione, specializzazione, università ), quanto si fa presente l’importanza di creare un’offerta appetibile per coloro che intendano approcciarsi da profani al mondo della cultura, rendendoli partecipi e coinvolti (si confrontino lemmi come divulgazione, fotografare, marketing, turismo). Si travalica il misoneismo e si sdogana una cultura in grado di essere punto centrale della società italiana, a cui la gente possa avvicinarsi senza timore reverenziale e che possa considerarsi fondamentale per le politiche della nostra Repubblica.
Tra critiche e proposte
Una cultura in grado pure di essere presa in considerazione dall’economia e di generare indotto. Ben lungi dal considerare il patrimonio culturale come un giacimento da sfruttare cinicamente, Manacorda tuttavia chiede a gran voce che il mondo accademico scenda dall’empireo e si confronti con quelle che sono le esigenze terrene, fatte di attrazione delle masse e di circolazione di valori, certamente immateriali ma anche economici. Il rimprovero di una cosìsentita fobia della volgarizzazione e del vil denaro nei confronti degli studiosi più intransigenti, quale parrebbe essere Montanari, presuppone che questi ultimi siano asceti professanti un totale disprezzo per soldi e pubblico. Ciò che voleva esprimere Montanari nella sua opera sembrava altro, cioè richiamare al primo posto la purezza del bene culturale evitandone la contaminazione con uno sfruttamento massiccio, senza per questo negare che, una volta assunta questa coscienza, esso possa essere un valido strumento di coesione sociale.
Tuttavia, al di là della pars destruens verso l’atteggiamento ultraconservatore, quel che maggiormente coinvolge del pensiero di Manacorda è la sua volontà di creare una collaborazione che porti a risultati positivi, tramite un dialogo che, scaturendo da specialisti di settori diversi, si allarghi a creare un’alleanza di innovatori che coinvolga tutti quegli italiani che legittimamente si sentono proprietari del patrimonio comune costituito dai beni culturali, e non soggetti estranei ad esso e pertanto disinteressati ad effettuare qualunque forma di investimento in tal direzione. A tutti quei cittadini che si vogliano fare costruttori del destino della loro nazione occorre dare fiducia, ingrediente fondamentale, insieme a coraggio e prudenza, tra quelli individuati dall’autore per la definizione di una terza via d’azione concreta rispetto alle vagheggiate istruzioni ed alle dannate ostruzioni: da qui partono le contro-istruzioni perché davvero l’Italia possa tornare agli italiani.
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