Che la cooperazione sia una realtà importante in Italia è ormai un concetto assodato. Ma in che termini il movimento cooperativo risulta necessario e rilevante per la crescita economica e sociale del nostro Paese, specie in un momento di forte crisi come quello che stiamo vivendo da qualche anno?
La risposta a questa domanda può essere trovata analizzando le informazione che emergono dal rapporto Euricse. I dati della ricerca, provenienti da varie fonti (archivi INPS, archivi Banca d’Italia, censimenti ISTAT, indagini campionarie, ecc..), sono perlopiù riferiti all’anno 2013, ultimo anno per cui si ha una sufficiente completezza di informazioni. Il rapporto, poi, opera una comparazione con i dati relativi al periodo 2008-2011, in modo tale da poter riflettere sui comportamenti e sulle reazioni delle cooperative italiane davanti alle difficoltà di questi anni di crisi.
Ma partiamo dall’inizio.
Cosa significa ” cooperazione ” ?
Il mondo della cooperazione è ampio e variegato, ma, in generale, si può dire che è l’insieme di particolari forme di impresa, che non rivolgono la loro azione verso l’obiettivo primario del profitto, bensìsono costituite da ” persone che si accordano volontariamente per gestire attività , anche economicamente rilevanti (in generale, si tratta della produzione in modo continuo e professionale di beni e servizi), contribuendo alla loro realizzazione con proprie risorse, secondo logiche di reciprocità e di condivisione dei costi e dei risultati, privilegiando la soddisfazione dei bisogni alla realizzazione di un guadagno monetario ” (definizione dal rapporto).
Come si evince da questo Terzo rapporto Euricse, la cooperazione in Italia è un fenomeno molto importante: al 2013, unendo i dati delle varie fonti, si stimavano circa 70.000 cooperative attive, di cui 376 banche di credito cooperativo e 1904 consorzi.
In realtà , ad oggi, nonostante sia spesso auspicata una maggiore diffusione delle cooperative in vista delle loro potenzialità economiche e di risoluzione delle difficoltà sociali, e nonostante queste potenzialità siano amplificate in un contesto come quello italiano in cui gli interventi pubblici riguardanti tali problematiche sembrano essere sempre portati avanti con fatica, pare ancora radicata la concezione che l’impresa capitalistica, nella sua logica di profitto, sia più efficiente rispetto alle organizzazioni no-profit, quali le società cooperative e le altre forme di imprenditorialità sociale. Tuttavia, dai risultati che emergono dai dati raccolti nel rapporto, la realtà appare diversa.
Il contributo economico ed occupazionale della cooperazione
Se una società non persegue l’obiettivo del profitto non significa che essa non sia in grado di contribuire in maniera positiva al circuito economico di cui fa parte.
Nel 2013 l’apporto stimato della cooperazione italiana sul prodotto interno lordo è pari all’8,5%, equivalente a circa 136,5 miliardi di euro di fatturato, suddiviso in 90,7 miliardi di euro provenienti dalle cooperative e 17,6 miliardi fatturati dai consorzi. Un dato sostanziale, che assume ancor più rilevanza se si pensa che questi valori non tengono conto della produzione economica generata dalle banche di credito cooperativo e se si tiene conto del fatto che al momento dell’estrazione dei dati non per tutte le cooperative era disponibile il bilancio.
Questi risultati sono stati raggiunti grazie ad un ventennio di continua crescita della realtà cooperativa, in netta controtendenza rispetto al resto del sistema economico italiano (e non solo) colpito come è noto, a partire dal 2008, da un brusco rallentamento della crescita. Le cooperative, infatti, hanno reagito alla crisi in modo diverso rispetto alle altre forme d’impresa: è come se si fossero ” fatte carico ” della crisi stessa, specie in particolari settori, e ciò è stato possibile proprio grazie alla loro particolare forma proprietaria e di governance, non cosìstrettamente connesse alle oscillazioni dei mercati. Basti pensare che, secondo i dati censuari, tra il 2001 ed il 2011 le cooperative attive sono cresciute del 15%, contro un aumento del totale delle imprese dell’8,5%.
Ovviamente la crisi ha avuto non ha lasciato del tutto indifferenti questo tipo di organizzazioni. Ci sono state delle ripercussioni negative anche in alcuni settori della cooperazione, Malgrado ciò , è possibile la tendenza anticiclica ed anticongiunturale del settore.
Per quanto riguarda il ruolo svolto dalle cooperative nello sviluppo occupazionale del nostro paese, i dati sono rilevanti tanto quanto quelli del settore economico, se non di più. A fine 2013 erano occupati 1.257.213 lavoratori nella cooperazione italiana, la maggior parte dei quali impiegata a tempo indeterminato. E, anche sotto questo aspetto, nonostante la crisi si sia fatta sentire nei settori maggiormente colpiti, le dinamiche occupazionali delle cooperative sono state migliori di quelle delle altre forme di impresa in tutti i settori di attività .
Le nuove frontiere della cooperazione: in particolare le cooperative ” di comunità ”
Assieme alle cooperative tra dipendenti (“worker buyout”, WBO) e alle cooperative che gestiscono beni confiscati alla criminalità organizzata, le cooperative ” di comunità ” rappresentano le nuove frontiere della cooperazione; si stanno sviluppando ed evolvendo negli ultimi decenni, in particolare a partire dagli anni ’90, e sono caratterizzate da una più marcata base sociale rispetto alle tipologie tradizionali; esse sono, cioè, più orientate al soddisfacimento di interessi generali, comuni all’intera collettività , piuttosto che di un particolare gruppo di individui, quali ad esempio i soci.
Tali nuove modalità di organizzazione spiccano nel panorama della cooperazione per tutta una serie di motivi: per la loro rilevanza economica e di partecipazione civile,ad esempio; o per la crescente attenzione loro dedicata sia dal movimento cooperativo che dall’opinione pubblica, oppure ancora a seguito dell’interesse che suscitano a livello europeo ed internazionale.
Ma cosa sono le cooperative ” di comunità ” ? Sono quella forma di organizzazione di tipo cooperativo che ha il fine di realizzare e gestire beni e servizi destinati ad un’intera collettività . Con lo sviluppo delle cooperative di comunità , si va, quindi, al di là di quello che è considerato, da sempre, uno dei principi fondamentali della cooperazione, ossia il soddisfacimento dei bisogni dei soli soci, o comunque al perseguimento di interessi di gruppi ristretti di soggetti (il più delle volte, soggetti svantaggiati).
Cooperative di comunità e beni comuni
Questa nuova forma di cooperativa, come si legge nel rapporto, ha assunto rilevanza soprattutto dal momento in cui si è cominciato a parlarne in relazione al tema dei beni comuni, di cui potrebbero diventare soggetti gestori. Si riflette, quindi, sulla possibilità che un gruppo di cittadini organizzati in forma cooperativa, possa direttamente produrre beni utili all’intera comunità , soprattutto in un contesto, come quello italiano, in cui le pubbliche amministrazioni hanno sempre più difficoltà a finanziarli.
Questo, d’altro canto, significa stravolgere le concezioni che in passato hanno mosso la cooperazione stessa, cioè il prendersi cura dei suoi soci. E tale nuovo tipo di visione apre la porta a tutta una serie di possibilità , questioni ed interrogativi che col tempo dovranno necessariamente essere risolti (quali attività potranno svolgere le cooperative di comunità , mediante quali meccanismi di governance, su quali basi sociali, ecc.), affinchè questa innovativa gestione dei beni comuni si sviluppi appieno.
Sicuramente, uno degli aspetti più rilevanti di questo nascente sistema è l‘importanza che assume la partecipazione nei cittadini nella persecuzione di interessi comuni.
In realtà , cooperative di questo tipo hanno origini più lontane. Molte erano infatti, prima di questi recenti sviluppi, le cooperative che grazie alla loro azione volta al perseguimento degli interessi dei propri soci, garantivano comunque un benessere all’intera collettività , grazie all’universalità dei servizi forniti (anche se concentrate in un numero molto limitato di settori, tra i quali, sicuramente il più importante quello dell’energia). Tuttavia questo ” benessere esterno ” era prodotto involontariamente (cioè non era lo scopo esplicito e primario della cooperativa). Poi, però, ” nella seconda metà del secolo hanno iniziato a nascere cooperative che si proponevano di agire nell’interesse generale, cioè quelle che vengono definite cooperative di pubblica utilità (public benefit cooperatives). In esse lo scopo di creare benefici per la società diviene un obiettivo esplicito. ”
Uno dei più importanti esempi di cooperativa di comunità , sono sicuramente le cooperative sociali italiane (per approfondimenti, si veda il rapporto).
Il ruolo dei cittadini attivi
Oggi, comunque, il concetto di cooperativa ” di comunità ” racchiude in sé una grande varietà di tipologie, e la definizione di limiti entro cui far convergere i diversi modelli non sempre è cosìsemplice. In estrema sintesi, si può dire che gli elementi che devono necessariamente essere alla base di una cooperativa per poter essere definita ” di comunità ” devono essere: il controllo della cooperativa stessa da parte dei cittadini (ossia della comunità , individuata in generale su base territoriale); la gestione o l’offerta di beni di comunità (cioè di quei beni di interesse generale per quella specifica comunità ); ed infine la garanzia che tutti i cittadini possano accedere alla cooperativa in maniera non discriminatoria. Da questi elementi, inoltre, si capisce quanto le cooperative di comunità siano vicine al fenomeno della cittadinanza attiva. In particolare, come si ricorda nel rapporto, ” nelle cooperative di comunità la partecipazione dei cittadini acquista particolari connotati. Le cooperative di comunità sono imprese e la partecipazione dei cittadini avviene attraverso un’organizzazione controllata direttamente da essi. I processi produttivi di servizi come, ad esempio, l’assistenza sanitaria, la fornitura di acqua e di energia elettrica, ed altri ancora, sono complessi e richiedono un capitale fisico consistente, un’amministrazione, una gestione professionale, cioè tutti gli elementi tipici dell’impresa moderna. In una parola, richiedono un’organizzazione di impresa. La cooperativa di comunità diventa strumento di partecipazione dei cittadini alla gestione di tali servizi: attraverso di essa i cittadini cessano di essere semplici elettori e diventano imprenditori ” .
LEGGI ANCHE:
- Rapporto sulla protezione internazionale 2015
- Nel paesino toscano di Leccio cittadini attivi per il Castello di Sammezzano
- Il Cantiere di bellezza e i modelli di rigenerazione urbana