” E’ sempre più richiesta, da parte del pubblico, questa partecipazione e secondo me le biblioteche, anche le migliori, anche le più efficienti, dovrebbero aprirsi alla partecipazione del pubblico perché il sapere non sta più solo nei libri, il sapere sta nelle persone. Più le persone stanno insieme, e si scambiano saperi reciproci, più la società può crescere, più la biblioteca cresce”.
Mi rendo conto immediatamente di quanti punti di contatto ci siano con il modello dell’amministrazione condivisa dei beni comuni, ad esempio la volontà di creare comunità attraverso lo scambio reciproco di idee e la condivisione di capacità , professionalità e proposte.
Due giorni dopo sono a Trento, nell’ufficio della dott.ssa Parrotto (qui il suo blog), per intervistarla.
Inevitabilmente la prima domanda che le rivolgo è: qual è la sua idea di biblioteca?
Penso che la biblioteca debba essere un luogo neutrale aperto alle esigenze di chiunque. Una biblioteca deve pensare a quelli che sono i servizi di lettura e di informazione ma deve essere anche uno spazio in cui le persone si sentono libere di esprimersi e di essere se stesse senza che nessuno chieda loro qualcosa. Abbiamo ad esempio un signore che viene qui e fa i ritratti delle persone che passano, c’è chi viene qui perché ha un paio di ore libere e vuole stare tranquillo in un posto senza obblighi, senza dover pagare, senza dover fare per forza qualcosa di specifico.
E’ chiaro che il sapere tradizionale si è sempre manifestato in forma scritta; la riflessione che sto facendo ma naturalmente non sono la sola a ragionare in questa direzione, è che sempre più le persone hanno imparato ad apprendere condividendo. Nell’ipotesi più tradizionale, una volta chi voleva coltivare un orto o fare qualche attività manuale come restaurare un mobile, veniva in biblioteca, prendeva un libro sulla coltivazione degli orti o sul restauro, lo portava a casa, studiava e iniziava a mettere in pratica ciò che aveva imparato. Ora quelle stesse persone vanno su youtube, scelgono un tutorial sulla coltivazione o sul restauro e imparano. La persona che ha realizzato il tutorial su youtube non è necessariamente un autore che ha scritto un manuale con tanto di lauree e specializzazioni, non è una figura autorevole che ha scritto un libro, è una persona che sa fare bene qualcosa, magari non sa fare bene altro ma quella attività specifica la conosce molto bene. I nostri contadini sanno fare molto bene delle cose ma magari non scrivono libri.
Chiunque possiede un pezzo di sapere che può venir fuori solo condividendo, solo se qualcuno va a prenderselo. Le biblioteche secondo me hanno un grande ruolo perché possono essere il luogo di questo scambio, che non avviene solo tra le persone ma anche attraverso quello che facciamo con Wikipedia o con i progetti digitali. Noi mettiamo a disposizione delle informazioni o dei documenti di cui tutti possono usufruire come lettori, ma gli utenti stessi possono anche partecipare nell’arricchire queste informazioni. La biblioteca si pone da un lato come luogo ospitante , dall’altro come garante perché da sempre è il posto dove le informazioni sono controllate, organizzate e messe a disposizione. Credo che questa interpretazione di sapere allargata sia un’esigenza molto sentita dal nostro pubblico.
Il vostro ruolo cosìsi trasforma radicalmente.
Noi stiamo vivendo infatti una crisi d’identità fortissima, però non è vero che quella del bibliotecario è una professione che sta tramontando perché stanno tramontando i libri. Finché noi crediamo che il sapere stia soltanto nei libri allora forse sì, ma non è più così, la conoscenza si sta spostando, è nella rete è nelle persone. Quindi sempre di più c’è bisogno di figure che sappiano come destreggiarsi, dare informazioni e formare gli utenti affinché seguano delle strade virtuose per orientarsi attraverso le informazioni. Dall’altro lato i bibliotecari devono contribuire a creare la conoscenza, come sta accadendo per il progetto con Wikipedia. Una volta noi bibliotecari, prima di comprare un’enciclopedia, passavamo molto tempo a valutarla, a vedere se andava bene, se era adatta alle esigenze dei nostri utenti, se addirittura andava bene il formato, abbiamo scelto ad esempio di non comprare un’enciclopedia perché non era un formato fotocopiabile. Tutto quel tempo che impiegavamo nello scegliere le enciclopedie, che ora nessuno più ci chiede perché gli utenti vanno su Wikipedia e non vengono nemmeno in biblioteca, dovremmo impiegarlo per fornire di fonti attendibili le voci di Wikipedia. Noi abbiamo tutto l’interesse che Wikipedia sia un’enciclopedia di qualità perché i nostri utenti vanno lìa prendere le informazioni e probabilmente non andranno da nessuna altra parte per tutta la vita. E allora il nostro ruolo, visto che lavoriamo con la qualità dell’informazione, è proprio quello di tenerla aggiornata, di fornire fonti autorevoli e attendibili e controllare che non ci siano errori. Non si potrà arrivare al sogno che tutti i bibliotecari siano wikipediani ma credo che questo sia un indirizzo importante che si deve muovere parallelamente ad esempio alla formazione dei nostri utenti facendo in modo che chiunque, secondo il proprio livello e la propria voglia di contribuire, possa farlo.
Recentemente presso la Biblioteca comunale di Trento è stato avviato il progetto ” Creare e diffondere conoscenza con strumenti digitali collaborativi: la biblioteca e Wikipedia ” . Può spiegarci di cosa si tratta?
Il progetto è partito a settembre, prima la biblioteca di Trento non aveva una voce su Wikipedia. Questo progetto prevede che venga creata una voce della biblioteca e dei personaggi che hanno contribuito alla sua storia su Wikipedia; questa è una biblioteca storica che ha oltre 150 anni. La seconda parte del progetto, più sperimentale, consiste nel digitalizzare delle guide del viaggiatore della città di Trento realizzate nell’800. Finora sono stati digitalizzati 3 testi; sono descrizioni di Trento e del suo territorio in pubblico dominio (l’autore è morto da più di 70 anni e quindi i testi sono utilizzabili liberamente). Noi abbiamo digitalizzato questi testi e li abbiamo caricati su Wikisource che è una ‘sorella minore’ di Wikipedia, una biblioteca digitale in cui chiunque può inserire dei testi. L’aspetto interessante è che i testi non vengono restituiti solo in formato immagine ma il testo è ri-utilizzabile; se ne può fare un e-book, un’antologia di scritti, se ne può fare quello che si vuole. Il bello del pubblico dominio è questo. Noi come biblioteca dobbiamo fornire informazioni organizzate in modo da poter essere utilizzate in qualunque modo, da chiunque desideri farlo. Siamo a buon punto. I testi inseriti hanno una scansione OCR che non sempre è corretta, l’aspetto collaborativo di Wikisource consiste, oltre al fatto che chiunque può contribuire caricando dei testi non vincolati da diritti d’autore, anche nel fatto che chiunque può collegarsi, rileggere il testo, fare il confronto e validare che quella pagina è corretta. C’è una comunità molto attiva che sta lavorando anche sui nostri testi. Ad esempio uno dei 3 testi che abbiamo inserito è stato subito riletto da un utente che non conosciamo ma che ha avuto voglia di farlo. Chiunque quindi può fare la propria parte anche controllando se la “e” ha l’accento oppure no, già questo vuol dire dare il proprio contributo, poi c’è anche lo studioso che può scrivere il paragrafo su un autore. Wikipedia però permette a tutti di fare la propria parte. Un aspetto molto interessante consiste nella possibilità di creare anche delle interconnessioni tra testi. Noi non sappiamo cosa abbia in testa l’utente ma gli forniamo tutte le possibilità per poterlo fare.
Tornando al progetto, si apre ora la seconda fase che prevede la creazione, tramite la nostra volontaria, delle voci delle donne (scrittrici, intellettuali) del territorio trentino. Noi partiamo dalle fonti che abbiamo in biblioteca; stiamo digitalizzando anche alcuni testi di queste autrici trentine.
E’ stata offerta una posizione per il servizio civile?
Sì, il progetto è legato al progetto di servizio civile. Considerati tutti gli impegni dei bibliotecari non saremmo riusciti a portare avanti un progetto cosìgrande da soli, ci piaceva poi l’idea di poter contare su una persona giovane che abbia una visione innovativa. Nelle biblioteche, come nel resto degli enti pubblici, non si assume più e siamo tutti un po’ avanti come età anagrafica. Abbiamo fatto un bando al quale hanno risposto 7/8 ragazzi, abbiamo fatto una selezione e la ragazza che abbiamo scelto lavorerà e farà formazione per un anno nell’ambito di questo progetto. Il tutto in collaborazione con Wikimedia Italia che ha provveduto anche alla formazione della persona, alla quale tra l’altro è stato riconosciuto lo status di “wikipediano in residenza”, cioè un wikipediano esperto che può essere assunto da un ente per curare delle collezioni su Wikipedia o formare il personale di un ente.
In che modo concretamente una biblioteca può essere gestita in modo condiviso?
Non è facile, stiamo cercando di farlo anche con un altro progetto. Siamo partiti dal presupposto che nella migliore delle ipotesi una biblioteca intercetta il 20/25 % del bacino di utenza. Il restante 75% perché non viene in biblioteca? Cosa fa? Stiamo quindi portando avanti un percorso di gestione condivisa in una biblioteca nel quartiere Madonna Bianca a Trento che ha già una piccola tradizione di attività condivise (doposcuola bambini , gestione campetto di calcio). Da qualche anno, anche accompagnati dal Comune, si è costituito un tavolo informale di cittadini, di cooperative che lavorano sul territorio, di commercianti, che ha colto la presenza della biblioteca come uno spazio di neutralità in cui è possibile intervenire. Non avevano bisogno di una sede ma di un luogo dove fare qualcosa, un luogo riconosciuto da tutti come un posto comune. Il percorso è in una fase di progettazione secondo il Regolamento per l’amministrazione dei beni comuni che è stato approvato a Trento. Siamo a buon punto nella strutturazione di un patto di collaborazione; ci sono già stati diversi incontri con l’amministrazione e con i cittadini. La condivisione del sapere anche in questo caso è importante, ad esempio in questa biblioteca vorrebbero organizzare dei corsi di italiano per stranieri (nel quartiere il 12% della popolazione è straniero, di 55 nazionalità diverse). La biblioteca in tutto questo non viene meno ai suoi doveri, ma cerchiamo di aprirla a queste esigenze, fidandoci dei cittadini perché siamo certi che possano emergere delle forze fresche per animare il quartiere e aumentare la frequentazione della biblioteca con nuove attività . Dobbiamo essere consapevoli che la lettura non è più l’esigenza primaria delle persone. In un quartiere come quello è necessario un presidio di lettura, ma non è più sufficiente.
Credo inoltre che un cittadino coinvolto nella comunità rappresenti un presidio di democrazia; in questo caso, occupandosi della gestione di una biblioteca, sente quel luogo come un bene proprio non solo per il fatto che paga le tasse.
Questa iniziativa sarebbe possibile senza un Regolamento comunale per l’amministrazione condivisa dei beni comuni?
No, credo che il progetto sarebbe stato realizzabile in forme diverse cioè attraverso la gestione tramite associazioni. Noi ad esempio abbiamo 3 punti di prestito, che si trovano in territori decentrati, ed alcune associazioni che ci hanno chiesto di poter gestire una piccola biblioteca. Pur essendo esperienze che funzionano bene, in realtà quelle non sono propriamente biblioteche, sono luoghi dove ci sono dei libri e dove vengono organizzate delle attività da un’associazione. Il Comune di Trento ha assegnato questi spazi ad un’associazione; ed è chiaro che il potenziale di partecipazione di un’associazione è spesso limitato perché il singolo deve identificarsi con l’associazione prima di partecipare. Il Regolamento per i beni comuni rappresenta un salto di qualità incredibile in questo senso.
In che modo secondo lei l’amministrazione condivisa può aiutare i dipendenti e gli amministratori pubblici?
Il fatto che ci sia un patto condiviso aiuta perché ciascuno ha dato il proprio contributo; è uno strumento leggero, flessibile e facilmente gestibile. Noi ci accordiamo su alcuni punti, sui principi fondamentali, all’interno di questa cornice si possono esprimere delle potenzialità enormi.
Ho letto tutto d’un fiato il suo articolo ” In biblioteca per appartenere a un mondo ” .
Il problema è che purtroppo sembra un racconto di fantascienza perché le biblioteche spesso non corrispondono all’immagine che emerge dalle sue parole.
Il percorso per permettere la convivenza in biblioteca con persone che vivono situazioni di marginalità sociale è difficile, nessuno dice che è facile ma il fatto che sia difficile non deve costituire un alibi.
Ho letto ad esempio che la biblioteca Sormani ha organizzato un gruppo di lavoro, con l’aiuto del servizio sociale, che aiuta i senza tetto ad emanciparsi dal loro status. Questo perchè c’era un problema di accettazione da parte della comunità della forte presenza di senza tetto in biblioteca. Ecco questa mi sembra un’azione che si può fare. Troppo spesso ci nascondiamo dietro a 3 cose: non ho tempo, non ho soldi, non so farlo. Non ho tempo? Cerco qualcuno che possa aiutarmi nel farlo, ad esempio il progetto di servizio civile. Non ho soldi? Nel nostro caso abbiamo trovato delle risorse interne, quelle riservate alla digitalizzazione. Non so farlo? Siamo il luogo dell’apprendimento per eccellenza e non possiamo dire che non sappiamo farlo. Lo troviamo un modo per farlo, in questo caso abbiamo coinvolto i wikipediani che ci hanno insegnato.
Io questo lo racconto a tutti i miei colleghi perché credo che, nel nostro piccolo, abbiamo dato un contributo.
Anche perché se le biblioteche continueranno a lavorare secondo il modello tradizionale, rispondendo solo all’esigenza del prestito dei libri, senza innovarsi, non dureranno più di 10 anni. Ogni giorno ci sono nuove domande che arrivano dall’esterno e dobbiamo cercare di dare loro una risposta osservando, cercando di capire e dotandoci di strumenti e servizi nuovi. Tutte le esigenze che riguardano l’informazione e la conoscenza hanno la stessa dignità di risposta dell’esigenza della lettura. Come biblioteca abbiamo sempre organizzato delle iniziative di promozione della lettura, ora dobbiamo proporre anche iniziative di promozione della conoscenza e dei modi in cui le persone possono apprendere, ad esempio corsi e laboratori di alfabetizzazione informatica.
Oltre ad una ricca offerta di libri, ci può dire le caratteristiche indispensabili che dovrebbe avere una biblioteca per essere considerata anche un luogo dove praticare l’integrazione e rafforzare i legami sociali?
Evidentemente dovrebbero essere caratteristiche che al momento la maggior parte delle biblioteche non hanno.
Prima di tutto c’è bisogno che la biblioteca abbia degli spazi neutrali e flessibili, organizzati in modo tale che, fatte salve le aule di studio per l’uso tradizionale delle biblioteche, i cittadini si possano muovere in base alle proprie inclinazioni. Devono esserci degli spazi molto funzionali, non serve fare lo spazio videogiochi ecc.. ma permettere agli utenti di trovarsi a proprio agio in qualsiasi spazio all’interno della biblioteca. La biblioteca infatti deve permettere di far emergere la propria individualità rimanendo però sempre in un ambito collettivo. A questo si collega inevitabilmente il secondo aspetto: una mentalità aperta dei bibliotecari. Mi rendo conto di essere un po’ visionaria ma i bibliotecari devono saper osservare il pubblico e imparare da ciò che vedono, dialogare con tutti e mediare anche fra gli usi apparentemente contrastanti di spazi e servizi, che possono creare conflitto tra utenti, usando la relazione (sia dei bibliotecari con gli utenti, sia di tutte le parti della comunità che partecipa) come strumento di convivenza fra le legittime esigenze di chiunque entri in biblioteca Quando ci si interroga sulla professionalità dei bibliotecari questo è un aspetto importantissimo.
LEGGI ANCHE:
- Little Free Library: le mini biblioteche di quartiere
- Bookcrossing a Villanova di Bagnacavallo (RA)
- Una biblioteca condominiale a Milano
- Cittadini azionisti delle biblioteche scolastiche
- Il cinema Avorio a Roma si trasforma in biblioteca autogestita