Lo scorso 19 marzo, al grido unanime di “Roma non si vende!”, oltre ventimila persone hanno manifestato il proprio dissenso unendosi in corteo. Ma la protesta di piazza è soltanto un primo passo: #DecideRoma si delinea già come un movimento composito, come un percorso condiviso con un programma emergente – la Carta di Roma Comune – da scrivere insieme, per decidere insieme.
In principio era la delibera
Il casus belli è da ricondurre alla famigerata delibera n.140, approvata dalla giunta Marino nell’aprile dell’anno scorso. Obiettivo dichiarato, quello di procedere al riordino di una parte del patrimonio immobiliare di Roma Capitale, in quanto il precedente “Regolamento delle concessioni” (datato 1983) è considerato “non più in linea con il quadro normativo vigente”. E non in linea, evidentemente, con le esigenze di bilancio dell’amministrazione capitolina: con lo scopo di verificare la “redditività del patrimonio” , tra il 2013 e il 2014 furono avviati una serie di sopralluoghi e di controlli amministrativi per verificare eventuali morosità o contratti scaduti.
Eppure la stessa delibera, per quanto contraddittoria – vedi l’obiettivo di “valutare il Patrimonio di Roma Capitale come Bene comune” – prevede tra le sue “priorità” quella di dare “riconoscimento” a quegli utilizzatori che “svolgono servizi d’interesse pubblico e che pertanto utilizzano il bene con modalità compatibili con la sua destinazione” o che “hanno avviato una procedura finalizzata al recupero e alla riqualificazione della disponibilità del bene, che ritorna a disposizione della comunità“.
Il commissario Tronca, sollecitato anche dal piano di rientro economico previsto dal DUP (Documento Unico di Programmazione 2016-2018), ha ora resa effettiva la delibera: molte realtà stanno ricevendo, o hanno già ricevuto, una richiesta di sgombero “forzato o bonario” – nonché la richiesta delle indennità di occupazioni di tutti gli anni di permanenza – cui seguirà la messa a bando dell’immobile occupato.
La Carta di Roma Comune
Nata il 23 aprile scorso, la Carta di Roma Comune vuole innanzitutto opporre al diritto concepito solo come uno strumento autoritario repressivo, imposto dall’alto, un diritto “vivente”: un diritto che “nasce nella società e che non può essere catturato dagli apparati statali”. Si tratta dunque di una proposta normativa, ispirata a 10 principi fondamentali finalizzati a garantire l’uso comune del patrimonio pubblico. Nelle parole di #DecideRoma, la Carta si inserisce “nel più ampio movimento di riconoscimento dei Beni Comuni Urbani da parte di decine e decine di Comuni italiani”.
Nel testo c’è dunque un riferimento esplicito al Regolamento per l’amministrazione condivisa (ed uno, se vogliamo, implicito al ruolo ricoperto da Labsus in questo processo), pur individuando come modello più vicino il Regolamento di Chieri (qui per un’analisi delle differenze) e sposando una lettura per alcuni aspetti differente del concetto di beni comuni, tendenzialmente ispirata all’elaborazione che ne hanno fatto giuristi come Ugo Mattei, Stefano Rodotà, Maria Rosaria Marella. Principio fondante è l’autonomia, in tutta la profondità del suo senso etimologico – darsi le regole da sé –, e posto alla base di una “interpretazione radicale” del principio di sussidiarietà sancito all’art. 118 della nostra Costituzione.
Un’assemblea cittadina per l’«autogoverno»
Egregio candidato sindaco,
Roma – probabilmente te ne sarai accorto – è una città al collasso. Le giunte che si sono alternate negli ultimi anni hanno contribuito, con ostinazione, a svuotare ogni idea e ogni pratica di gestione della cosa pubblica e del bene comune…
Così recita l’incipit della lettera rivolta ai candidati sindaco da parte di #DecideRoma, invitandoli caldamente a partecipare all’assemblea pubblica di oggi 14 maggio, e sottolineando la propria indipendenza da ogni proposta politico-elettorale. “Autogoverno è la parola più ricorrente, nelle nostre assemblee e nei nostri spazi di socialità, di cultura e di welfare autogestito”, si legge nella lettera. L’assemblea sarà anche l’occasione per proporre da parte di Roma Comune una soluzione transitoria, ovvero “una proposta basata sull’affidamento in custodia, almeno fino a quando le regole non verranno – democraticamente e pubblicamente – riscritte con facoltà d’uso, agli unici soggetti in grado di custodire al meglio questi beni immobili: e cioè esattamente le comunità ed i soggetti che li hanno custoditi, li hanno resi fruibili, li hanno aperti, li hanno mantenuti, li hanno resi utili, vi hanno erogato servizi“.
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