C’è tempo fino a fine novembre per visitare la Biennale dell’Architettura di Venezia. Questa edizione, la quindicesima, è da non perdere. Il padiglione Italia è dedicato ai beni comuni. Il catalogo è un fumetto edito da Becco Giallo. Gli stimoli per riflettere sul rapporto tra architettura e cittadinanza attiva sono tanti. E l’invito a passare dalle parole ai fatti è diretto.
Quello dell’architettura deve apparire uno strano universo, a chi non lo conosce troppo. Chi scrive lo conosce abbastanza bene da raccontare un falso dilemma che lo caratterizza da tempo. Noi, come tanti altri studenti di architettura più vecchi e più giovani di noi, siamo state messe di fronte a alla seguente alternativa: da un lato c’è l’Architettura di qualità e dall’altro lato l’architettura come esito di un processo partecipativo aperto a tutti.
Sciogliere il dilemma
Non è questa la sede per srotolare tutte le argomentazioni pro e contro l’una e l’altra posizione. Certamente la scelta del progettista cileno Alejandro Aravena come direttore di questa biennale è stata a questo proposito geniale: il progetto Quinta Monroy, che una dozzina di anni fa lo ha reso globalmente celebre, scioglie il dilemma. Dovendo realizzare residenze pubbliche per un centinaio di famiglie, egli decise di progettarle costruendole solo a metà , e facendo sìche venissero completate dagli abitanti.
I critici d’architettura la chiamano flessibilità , ma noi vorremmo qui interpretarla come sussidiarietà .
In architettura questo non si traduce esclusivamente nella collaborazione tra pubblico e privato nel rispondere al bisogno abitativo, e più in generale alla crisi immobiliare. C’è di più. Dopo aver consultato i futuri abitanti Aravena basò il progetto sul loro coinvolgimento nella realizzazione dello stesso. Scoprendo che le famiglie svantaggiate di Iquique potevano essere beneficiarie attive, a patto di riuscire a canalizzare le loro energie creative. L’Architettura si fa con le comunità . Un paradigma partecipativo per la progettazione architettonica, fondato sul presupposto che la sussidiarietà nel progetto di architettura voglia anche dire valorizzare e riconoscere le unicità dei modi di vivere, le conoscenze locali dei territori, la pluralità dei bisogni. E nel farsi in modo collaborativo, l’architettura produce alleanze, costruisce identità , sviluppa competenze. L’Architettura fa comunità .
Taking care: pensare ai beni comuni
Con un direttore così, i curatori del padiglione Italia – TAMassociati – hanno proposto di raccontare al pubblico questo modo di fare architettura. Un processo di ricerca-azione, sviluppato in tre sezioni, ” Pensare ” , ” Incontrare ” e ” Agire ” in cui si prova a descrivere il bene comune a partire da tre domande precise: al visitatore ” dove riconoscerlo, se attorno a noi ” ; alle istituzioni ” come valorizzarlo, anche con risorse limitate ” ; ai progettisti ” quando produrlo, attraverso l’architettura ” .
Nella sezione Pensare, ci hanno chiesto di contribuire a mettere a fuoco concetti e significati: questo invito è stato per Labsus una bella sorpresa e un importante riconoscimento. Nel gruppo di esperti – architetti, urbanisti, cooperativisti, critici dell’arte, studiosi di semiotica, critici dell’architettura e altri – chiamati a costruire una ” mappa del bene comune ” , abbiamo portato il nostro carico di ” professioniste riflessive ” : architetti e urbaniste, da sempre convinte che l’architettura sia un’eccezionale piattaforma di coordinamento collettivo, attraverso la quale concretizzare nello spazio pratiche collaborative di cittadinanza attiva. La cornice dell’amministrazione condivisa costituisce per noi l’opportunità unica di trasformare esperienze episodiche in prassi.
Nuovi spazi urbani di collaborazione
Proprio i beni comuni urbani e territoriali, quei beni attorno ai quali si riconosce una comunità di azione, di affinità , sono straordinari laboratori di amministrazione condivisa. Infatti, in questa prospettiva di pratica diffusa, le aree verdi delle nostra città , gli edifici dismessi, gli spazi pubblici in degrado, la vita di quartiere diventano ambiti collettivi. In essi, attraverso i ” patti di collaborazione ” , le comunità di cittadini organizzano iniziative che sono insieme di inclusione sociale e di miglioramento dei luoghi. E’ nell’azione coordinata di soggetti diversi, nella messa in pratica di alleanze sorprendenti, che si definiscono i beni comuni urbani. Ed è in quelle stesse pratiche che si riesce a superare la tradizionale dicotomia pubblico-privato, sostituendo ai meccanismi della competizione, forme nuove ed ibride di gestione della risorsa suolo, delle dotazioni urbane, fondate sulla collaborazione. Un cambio epocale nelle dinamiche economiche ed amministrative sui cui da sempre si è costruita la città .
Incontrare
La scelta dei curatori è stata coraggiosa, perché decide di raccontare l’architettura nella sua complessità , nel suo farsi. Una selezione di 20 progetti di architettura, tutti realizzati da progettisti italiani, in Italia o all’estero, guida il visitatore nello scoprire ” come riconoscere i beni comuni intorno a noi ” . I progetti scelti raccontano storie; raccontano come soggetti diversi – non solo architetti dunque, ma operatori del terzo settore, gruppi informali di cittadini, studenti – che, se co-autori del progetto, possono creare spazi e luoghi utili alla collettività , valorizzando dunque non solo l’opera edificata, ma anche il processo.
La galleria di scatti fotografici si sviluppa in 10 campi di indagine: legalità , salute, abitare, ambiente, istruzione, cultura, gioco, scienza, alimentazione, lavoro. Questi progetti danno forma visibile ai Beni Comuni in Italia.
Agire
Ma Taking Care è innanzitutto un’azione. Un manifesto per ripensare un’architettura sociale. E’ mettere in pratica un dialogo generativo tra il mondo dell’architettura e il ” multiverso mondo ” dell’impegno quotidiano dell’associazionismo, del protagonismo sociale, con lo scopo di costruire un laboratorio di sperimentazione e cambiamento.
Nella sezione Agire della mostra, gli enunciati teorici e gli esempi italiani di beni comuni, trovano forma concreta in 5 dispositivi mobili: 5 laboratori per il cambiamento, pensati per sperimentare sul territorio italiano, come il progetto collaborativo possa innescare impatto sociale in altrettante 5 aree marginali del nostro paese. Si tratta di moduli carrabili, pensati per vivere fuori dal Padiglione Italia, progettati da 5 studi di architettura italiani in collaborazione con 5 associazioni da sempre impegnate nella lotta contro il degrado urbano, sociale ed ambientale: AIB (Associazione Italiana Biblioteche), Emergency, Legambiente, Libera, UISP (Unione Italiana Sport Per tutti).
Taking Care – periferie in azione è dunque anche un progetto di crowdfunding civico, un processo di engagement di comunità , anche economico, che possa condurre alla costruzione dei dispositivi, che messi su strada, possano diventare concreti strumenti di tutela e riscatto sociale.
L’architettura è di tutti
” Il Padiglione Italia alla Biennale ha ricevuto un generale apprezzamento ” ci dice Massimo Lepore di TAMassociati, ” e credo sia la misura come nel nostro paese stia crescendo una nuova attenzione ai temi del sociale ” .
Un successo dimostrato anche dai primi risultati ottenuti con la campagna di crowdfundig civico, che ha raccolto ad oggi quasi 100.000 euro, risorse sufficienti a realizzare i primi due dispositivi: un ambulatorio di emergenza, ” Healthbox ” , nato dalla collaborazione tra Matilde Cassani ed Emer-gency, pronto già in tempo per la chiusura della Biennale, il 27 Novembre; e una palestra, ” Spor-tbox ” , esito della collaborazione tra UISP e studio Nowa, che verrà realizzato nei mesi a seguire.
E’ un passo importante. Ma c’è ancora molto lavoro da fare e la sfida è arrivare a realizzare tutti e 5 i dispositivi ” agenti di cambiamento ” . I TAM Associati ci dimostrano che è possibile ” prendersi cura ” del nostro territorio, delle nostre città , in modo attivo. E che possiamo farlo senza dimenticare la qualità del progetto, ma anzi portando al centro le competenze diffuse, per creare ” valore sociale ” allargando la base della partecipazione. Il crowdfunding è dunque ancora aperto al sito di Periferie in Azione e noi di Labsus vi invitiamo apertamente a partecipare alla raccolta fondi e diventare attori di questo cambiamento.
” L’architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti ”
Cosìdiceva Giancarlo De Carlo nel testo del 1972, L’architettura della partecipazione. E TAMassociati ha voluto ricordarcelo proprio dentro la Biennale di Architettura di questo anno. Superando i confini specialistici ed elitisti di una mostra di architettura, i curatori ci ricordano ancora una volta che l’architettura è di tutti, è bene comune in sé, quando nasce dalla e per la società .
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