I quesiti alla Sezione lombarda della Corte dei conti
Il Sindaco di un Comune lombardo ha recentemente trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti tre quesiti relativi all’interpretazione e all’applicazione di due delle disposizioni che hanno introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del “baratto amministrativo”, ben noto oramai ai lettori di Labsus, e inerenti l’applicazione e l’estensione della disciplina in relazione alle ordinarie attività degli enti locali nella materia dell’acquisizione delle entrate (tributarie ed extratributarie).
Con il primo quesito è stato chiesto se nell’ipotesi di baratto amministrativo ” sia consentito (ed eventualmente a che condizioni) l’adempimento dei debiti tributari pregressi relativi ad entrate comunali, mediante l’effettuazione di attività sostitutive del pagamento riconducibili ad una delle attività sussidiarie contemplate dagli articoli 24 [del D.L. n. 133/2014] e 190 [D.Lgs n.50/2016] ” .
Il secondo quesito ha mirato a conoscere se il baratto amministrativo ” possa essere limitato soltanto ad attività , servizi ed iniziative programmate e progettate dal Comune e finanziati in bilancio, escludendo, quindi, in materia, l’iniziativa autonoma del cittadino insolvente incolpevole ” .
Con il terzo e ultimo quesito, il Comune ha chiesto alla Corte se è possibile ricorrere legittimamente al baratto amministrativo anche per trovare soddisfazione per propri crediti non tributari (ad es. crediti per rette, tariffe di servizi, canoni, multe e sanzioni) in connessione ai quali si ponga il sopra richiamato problema dell’insolvenza incolpevole, eventualmente ricorrendo anche alla previsione dell’art. 1197 c.c. (datio in solutum) o dell’art. 1965 c.c. (transazione).
Le risposte della Corte
La Corte risponde negativamente al primo quesito, rinviando a un proprio parere emesso pochi mesi or sono (delibera del 24 giugno 2016, n. 172). In particolare, per quanto concerne le spettanze tributarie già dovute all’amministrazione comunale (da intendersi quali entrate fiscali proprie, o derivate, il cui gettito è destinato a beneficio dell’ente locale) la riduzione delle imposte non si può applicare per quanto concerne i debiti pregressi confluiti nella massa dei residui attivi accertati dall’Ente locale (del resto, la normativa in commento prescrive una stretta correlazione tra ” tipologia di prestazione lavorativa da svolgere ed il tributo da ridurre o da esentare ” ).
Quanto al secondo quesito, in considerazione delle regole di contabilità pubblica e della disciplina riferita all’acquisto di beni, servizi e lavori che le amministrazioni pubbliche sono tenute a seguire anche in relazione alla previsione dell’art. 97 della Costituzione, deve ritenersi che il baratto amministrativo sia utilizzabile nei soli casi nei quali l’Ente locale ha preliminarmente disciplinato l’istituto (tramite l’approvazione di un proprio regolamento), ovvero:
– i relativi casi concreti di attuazione,
– i tipi di crediti ai quali applicarlo,
– la natura e l’individuazione dei lavori e servizi, nonché
– le modalità di individuazione dei soggetti che possono avvalersi dell’istituto.
In sostanza, deve escludersi che il singolo cittadino, anche se insolvente senza colpa alcuna, possa proporre l’effettuazione di interventi che non rientrino nella programmazione dell’ente locale.
In merito infine al terzo quesito, la Sezione evidenzia come la possibilità di ricorrere agli istituti civilistici della datio in solutum o della transazione da parte delle amministrazioni locali esuli dalla disciplina del baratto amministrativo (essendone pertanto estranea), ponendosi invece sul diverso piano della capacità di agire e dell’osservanza delle regole della contabilità pubblica ( ” il baratto amministrativo, cosìcome disciplinato dalla recente legislazione, opera su un piano diverso dagli istituti del codice civile della datio in solutum e della transazione ” ). Del resto, non trova alcuna sorta di tipizzazione, quello che verrebbe a configurarsi come un ” baratto transattivo ” .
Il commento
Alla luce di questa ennesima conferma interpretativa giunta dalla sezione lombarda della Corte dei conti, che segue quella emessa da altre sezioni regionali, non sembra residuare più alcun dubbio circa la necessità – per l’ente locale che intenda utilizzare l’istituto del baratto amministrativo – di dotarsi di un apposito regolamento, contenente una disciplina puntuale della materia.
In assenza di provvedimento comunale, nessuno spazio per il baratto amministrativo.
Non pochi i comuni, peraltro, che in questi anni hanno adottato delibere in materia (incluse alcune città metropolitane), essendo scarsa però allo stato l’effettiva incidenza sul tessuto locale interessato. Questo sembra essere dovuto da un lato dall’ancora ridotto lasso di tempo decorso dall’entrata in vigore di questa nuova misura, e dall’altro – si ritiene – dalle inestricabili criticità che l’attuazione di una tale misura porta con sé. Non v’è dubbio che un ruolo, in relazione a tale ultimo aspetto, lo possa aver giocato (e ancora lo giocherà ) anche la scarsa attrattività dell’istituto, che porta il segno indelebile di strumento legato a doppio filo alla necessità esistente in capo a un soggetto di adempiere a proprie obbligazioni verso il Comune. Se questo è il fine ultimo (… unico?), chiaro come non possano trovare alcuno spazio i richiami da più parti mossi, inclusi quelli sollevati da Labsus, in merito all’esistenza (e alla necessità della ricerca) di un tempo delle opportunità , per la creazione di uno spirito utile a costruire un percorso di crescita condivisa all’interno della comunità di appartenenza.
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