Il mondo del lavoro è cambiato. Robotizzazione, precarietà , delocalizzazioni, informatizzazione sono alcune delle parole che usiamo per descrivere questi cambiamenti. Dietro questi cambiamenti però ci sono storie: quelle delle persone e dei luoghi che questi cambiamenti li hanno vissuti e li vivono ogni giorno in prima persona. àˆ il caso dell’ex stabilimento RSI a Roma e dei suoi occupanti, ossia di Officine Zero.
E’ la storia di un grande stabilimento industriale, a pochi metri dalla stazione Tiburtina a Roma, specializzato nella cura dei vagoni letto che, con la scomparsa dei wagon lits, ha chiuso. Nel 2010 la cassa integrazione e nel 2012 l’occupazione dello stabilimento da parte di ex operai supportati, a partire dal giugno del 2013, da una rete sociale composta da precari, studenti e cittadini attivi. In questi 5 anni di occupazione sono nate le Officine Zero composte da un co-working, una falegnameria, una tappezzeria, un decina di artigiani e uno studentato. La sfida è chiara, unire il tema della rigenerazione urbana e quello del lavoro. Il futuro però è ancora incerto. Nel 2013 l’azienda è definitivamente fallita e i 17 mila metri quadrati dello stabilimento sono in vendita, ma fino ad ora nessuno ha deciso di comprare.
“Noi siamo un’occupazione, quindi nostro malgrado siamo in una situazione di illegalità “, ci spiega Alessandro, uno dei volontari. “Il curatore fallimentare ha beneficiato della nostra occupazione perché abbiamo garantito quel minimo di manutenzione necessaria ai locali per rimanere in piedi; in cambio non ha mai forzato la mano per farci sgombrare. Officine Zero è un progetto di riqualificazione urbana e lavorativa”, continua Alessandro, “coinvolge artigiani, lavoratori autonomi, precari e studenti. Vogliamo mettere insieme un mondo del lavoro che attraverso l’economia collaborativa generi nuove forme di produzione e di lavoro. Il mercato del lavoro è cambiato: ci sono freelance che hanno bisogno di un luogo di lavoro, ma ci sono anche persone che a 40 o 50 anni escono dalle aziende, chi suo malgrado e chi per scelta, e che sono portatori di competenze che spesso rimangono inutilizzate. Noi vogliamo andare oltre il concetto di coworking inteso come semplice ufficio condiviso, vogliamo creare un luogo dove si integrino le competenze e ci si aggiorni vicendevolmente. Un luogo che sia stimolante e che produca valore” .
Il progetto: un’opportunità per soluzioni alternative
Da questo punto di vista gli spazi dell’ex Rsi sono perfetti, “la nostra struttura ha lo spazio per creare un vero e proprio centro polifunzionale. Ci ispiriamo al modello della Multifactory” , ossia un modello di rigenerazione che mette sotto uno stesso tetto diverse realtà produttive, autonome ed eterogenee, cercando così di favorire innovazione sociale e produttiva. “Ci sono tanti spazi strutturati per un’organizzazione del lavoro che non c’è più. Officine Zero è un luogo dove vogliamo sperimentare metodi lavorativi e di relazione nuovi. E’ un luogo di possibilità che vogliamo proteggere per dare l’esempio e la prova che cambiare è possibile”. Innovare partendo dalle cose semplici: “non possiamo ragionare in maniera tradizionale, vogliamo puntare sulla Circular Economy perché rappresenta un’opportunità per trovare soluzioni alternative a problemi comuni, come quello del consumo elettrico o quello della ristrutturazione. Un esempio? Il tetto cade a pezzi, potremmo semplicemente ripararlo oppure potremmo approfittarne per installarci un pannello fotovoltaico e risolvere due problemi in una volta sola”.
La strada da percorrere però è ancora lunga: “Attualmente stiamo lavorando su tre fronti: il primo è il municipio, dal quale vorremmo veder riconosciuto il nostro valore sociale attraverso una delibera di riconoscimento di utilità pubblica. Questo spazio dovrebbe essere restituito alla collettività e al quartiere. Stiamo parlando di uno spazio con molto verde in una zona in cui di parchi ce ne sono pochi, per questo abbiamo iniziato un percorso partecipato per la progettazione del verde. Il secondo fronte è quello del curatore fallimentare. Stiamo cercando un compratore per lo spazio. L’ideale sarebbe trovare una fondazione che decida di portare avanti il progetto di Officine Zero. Altrove queste cose si fanno qui invece esiste il rischio concreto di una speculazione edilizia. Il terzo fronte è quello della progettazione vera e propria. Vogliamo vincere un bando e trovare i fondi per andare avanti. Da questo punto di vista siamo sostenuti da un importante studio di urbanisti e da uno di europrogettisti”. Le istituzioni, sia il municipio che la regione, stanno provando a dare una mano, anche se il confronto non è facilissimo perché spesso nemmeno l’amministrazione conosce gli strumenti normativi per riuscire a fare cose di questo tipo. Certo il fatto di avere un progetto focalizzato sul lavoro ci dà una credibilità che ci aiuta a trattare”.