Le parole costruiscono il mondo in cui viviamo. Sono quel ponte tra dentro e fuori, tra quello che sentiamo e percepiamo di noi e quello che vorremmo poter essere. Sono quel racconto di ciò che abbiamo vissuto e delle persone che abbiamo incrociato, sono parole di storie, di sogni, sono parole di vite. Quando abbiamo deciso di co-progettare, con i pezzi di comunità presenti sul territorio, il servizio di campo estivo durante il mese di agosto (mese sguarnito di risposte tradizionali di welfare per le madri braccianti), ci siamo rese conto che avevamo bisogno di una traccia di lavoro che ci potesse restituire la complessità e gli intenti da cui eravamo partite e soprattutto lo scenario sul quale volevamo costruire tutto il lavoro.
Ed è proprio immaginando parole altre che è nato il campo estivo Raccontami un’altra storia, che con questi bambini e bambine, con queste ragazze e ragazzi, sta provando a scrivere e a raccontare un’altra storia possibile. All’interno del campo, poi, abbiamo costruito per i più piccoli, uno spazio di lavoro più intimo e profondo: il laboratorio “Io, tu e l’altro/a”.
Il laboratorio “Io, tu e l’altro/a”
Un luogo/spazio che una volta a settimana accoglie i più piccoli in un lavoro, che attraverso la lettura di fiabe scelte, prova a sostenere l’elaborazione di vissuti precoci di separazione e difficoltà, che spesso vivono a causa della tipologia di lavoro delle madri.
Abbiamo scelto la metodologia delle fiabe, perché esse da sempre rappresentano una metafora dell’esperienza umana, raffigurando concetti astratti presenti nella vita, come la gioia ed il dolore, il bisogno e la separazione, etc etc. La fiaba, dunque, facilita il processo di crescita, di integrazione dell’io, di emancipazione, proprio perché mette ordine ai diversi aspetti del mondo interiore, sia quelli consci che quelli inconsci. Quindi anche in questo caso, abbiamo pensato, che un intervento del genere potesse avere la doppia valenza: da una parte alleggerire il carico di frustrazione che le madri vivono rispetto al lavoro di cura e all’incapacità di adempiere secondo le aspettative sociali, dall’altro un modo per lavorare in maniera più puntuale ed attenta su quelle che saranno le “parole del futuro”.
Perché come diceva Danilo Dolci:
[…] C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
Ed è proprio questo che stiamo provando a fare: stiamo provando ad essere al loro fianco, senza nascondere l’assurdo ma allo stesso tempo provando a sognare tutto quello che c’è da sognare per non arrendersi.
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