Ferretti concentra la ricerca su Matera, città dichiarata ” patrimonio dell’umanità ” dall’UNESCO. Ad oggi l’antica città della Basilicata manca di un Regolamento e sarebbe interessante immaginare quali potenziali di sviluppo potrebbe facilitare questo strumento, agevolando la libera creatività dei suoi cittadini portatori di tradizioni millenarie e custodi di ricchezze artistiche e paesaggistiche.
Introduzione dell’autore
Il dibattito contemporaneo, ferve intorno al tema della rivitalizzazione dei centri urbani periferici e delle aree rurali. Un sempre maggiore numero di studi accademici e strategie politiche enfatizza il ruolo della cultura come veicolo di sviluppo locale. Nonostante la bontà di molte politiche, un numero considerevole di esse propone approcci strumentali alle problematiche urbane, ” stressando ” obiettivi di efficienza e crescita economica, a discapito di una profonda comprensione delle dinamiche locali e di una valorizzare delle qualità culturali e sociali di un territorio. Seguendo il percorso tracciato da filosofi, economisti e sociologi come Aristotele, Putnam, Klamer, Nussbaum e McCloskey, questo studio tenta di affrontare il tema della rivitalizzazione delle aree rurali attraverso un approccio di tipo culturale, enfatizzando l’importanza del capitale civico, culturale e sociale all’interno di un’economia urbana. La ricerca prende in considerazione il caso di Matera, capoluogo di provincia lucano e Capitale della Cultura Europea 2019, investigando le politiche di sviluppo adottate e i processi ” bottom-up ” che contribuiscono alla creazione di un ambiente creativo.
La ricerca di un’anima
” La voce delle città invisibili ” è un gioco di parole, che ci permette di cogliere con facilità il cuore di questa ricerca, il desiderio celato dietro la riflessione accademica. ” Le città invisibili ” è infatti il titolo di un romanzo di Italo Calvino, pubblicato nel 1972, in cui l’autore, tra sogno e memoria, rievoca lo spirito delle città , quella voce silenziosa che vivifica le sue strade. L’anima delle città , parafrasando Calvino, è una metafora potente che ci ricorda il ruolo imprescindibile dell’essere umano nell’attribuire significato alle mura inanimate di una città . In sostanza, Calvino rammenta la centralità della componente umana, silente motore dell’inanimato.
Le città parlano. Esse comunicano attraverso la loro anima. Quest’affascinante concetto può essere tradotto come quell’insieme di beni immateriali condivisi da una comunità o da un gruppo sociale che distinguono o, per meglio dire, conferiscono significato all’elemento materiale. In altri termini quindi, le città invisibili possono essere tradotte con la locuzione ” identità culturale ” , cioè quella combinazione unica di elementi intangibili, di pratiche e valori che rendono unica la città e animano la sua diversità , il suo modo di esistere.
Parlare concretamente di valori è un esercizio complesso e a volte frustrante. Esso è un gioco affascinante di logica che comincia proprio dall’essere umano, dalla sua natura e dalle sue caratteristiche imprescindibili, e che si sviluppa attraverso la realizzazione di sé e dei propri valori. In questa continua lotta esistenziale, l’uomo fissa i tratti della propria identità , cosicché ogni sua singola azione rievochi in qualche modo quella ricerca esistenziale e ne attribuisca significato. I valori sono quindi cellule di significato all’interno di quella rete che Clifford Geertz chiamava ” Web of Significances ” , cioè quel tessuto di contenuti in grado di rendere appropriate le azioni dei singoli cosìcome delle comunità . Secondo Arjo Klamer, gli essere umani sono signifying people; cioè attribuiscono valore a ciò che fanno e richiedono un ambiente culturale per dare senso alle azioni che svolgono. In estrema sintesi, l’intreccio dei valori espressi in tali contesti contribuisce a definire, come sostiene il noto antropologo, una identità culturale o la cultura di un luogo.
La voce delle città invisibili
Le città invisibili di Calvino dunque rivendicano quella componente immateriale, che abbiamo definito anima, e che altro non è che la sostanza di cui è fatta la stessa città vivente, altrimenti espressione residuale di forme architettoniche vuote. Questa riflessione ci aiuta a spostare la nostra attenzione verso la miriade di città spopolate e ignorate dalla globalizzazione, che appaiono disperse in un paesaggio rurale, distanti e scollegate dai grandi agglomerati urbani. Il loro intorpidirsi coincide spesso con un processo di atrofia culturale che coinvolge il capitale umano e sociale locale, provocando una perdita di senso e uno svilimento della comunità e della propria rete di valori.
Il disfacimento di questi capitali è in parte la conseguenza di una profonda trasformazione dei tessuti metropolitani e del prevalere delle grandi agglomerazioni urbane sulle realtà circostanti e minori. Per quanto il problema possa sembrare marginale, il processo di urbanizzazione ed emigrazione rurale avviene in maniera trasversale. L’Unione europea dedica una parte considerevole della sua attenzione al problema, incoraggiando soluzioni creative. La dinamica migratoria abbraccia varie necessità : la ricerca di ambienti creativi, di soluzioni lavorative, di condizioni di vita migliori sono stati per anni alcune delle motivazioni principali dei moti migratori urbani.
Questo processo sembra inarrestabile e non trova un freno efficace in grado di rallentarne il corso; e ciò va a discapito non solo delle realtà rurali, ma delle stesse metropoli, inadatte e incapaci di accogliere quantità ingenti di capitale umano. I risultati sono evidenti su più fronti: il fenomeno degli slums, per rimanere in tema puramente urbanistico, i processi di gentrificazione, la stessa minaccia autoritaria ai nostri sistemi democratici, indeboliti dallo squilibrio culturale esistente tra grandi centri e periferie. Il problema affligge molte delle nostre democrazie, dalla Spagna all’Inghilterra fino all’Italia. Quale destino immaginare per queste città che accentuano la distanza dalle comunità originarie e disperdono il loro capitale umano, la loro identità culturale e con essi la loro voce?
La rivincita della creatività ?
Negli ultimi anni la cultura, intesa come settore creativo, sembra essere un balsamo efficace ai problemi che affliggono i nostri centri abitati. Una strategia che tenga conto della cultura come volano di sviluppo è spesso utilizzata da amministrazioni locali e dall’Unione europea con l’obiettivo di favorire la crescita economica, sociale e culturale delle comunità . In questo caso il termine culturale si riferisce a ciò che concerne l’educazione e la trasmissione di saperi, intendendo cosìquell’insieme di conoscenze raggiunte nelle arti, nelle scienze, nelle tecnologie e nella politica da un determinato gruppo sociale. La strategia della ” Città creativa ” (Florida 2002, Howkins 2001, Scott 2000) è stata sperimentata per anni in forme e modalità differenti con l’obiettivo ambizioso di fare della cultura un motore di sviluppo locale. Diversi tentativi sono stati fatti per dimostrare che alcune economie crescono meglio con la presenza di quella che Florida definisce la creative class. Di conseguenza, i governi locali tendono a loro volta a servirsi di programmi diretti ad attirare investimenti e specifiche categorie socio-economiche, come turisti e creativi per competere sul piano della cosiddetta globalized creative economy. Questi obiettivi sono auspicabilmente la premessa per una crescita sostenibile della vivibilità e delle condizioni locali di benessere socio-economico.
Le politiche adottate, però, si rivelano spesso connotate dagli stessi limiti che caratterizzano i piani di sviluppo locale orientati a una visione tecnica o ” neoliberale ” della cultura. Se creatività e innovazione sono condizioni imprescindibili di progresso, la domanda è: in che modo le comunità di riferimento possono usufruire dello sviluppo auspicato? Una stima esagerata dei risultati economici della cultura e della creatività non inficia di per sé la loro utilità , ma quantomeno suggerisce la necessità di orientare le politiche urbane verso obiettivi sostanziali, come per esempio lo sviluppo del patrimonio culturale della propria comunità , l’inclusione sociale, l’integrazione, la valorizzazione delle risorse locali, usando un sistema differente di valutazione dei processi e dei risultati. Gli indicatori attualmente in uso, infatti, spesso non sono in grado di effettuare adeguate valutazioni, limitando di fatto il processo di valorizzazione.
Il caso di studio: Matera, capitale europea della cultura 2019
Nello studio presentato, questo tipo di approccio viene preso in considerazione per valutare il caso di Matera, Capitale europea della Cultura 2019. La politica adottata dal capoluogo di provincia lucano nasce infatti da uno sforzo condiviso fra amministrazione e comunità per sfruttare la cultura come volano di crescita della città . La creazione di un ambiente creativo, base per uno sviluppo urbano, richiede pratiche comuni e partecipative in tutte le fasi del progetto per mettere a frutto una strategia in grado di valorizzare le qualità locali. Partecipazione e collaborazione sono esercizi fondamentali per veicolare gli interessi individuali verso l’interesse comune e condiviso, che si identifichi con la stessa comunità . Ciò consente di utilizzare al meglio le risorse locali e territoriali esistenti. Istituzioni, imprenditori, associazioni e più in generale cittadini e società civile sono responsabilizzati e coinvolti in una ricerca più consapevole del bene comune.
L’approccio culturale può essere un veicolo se, prima ancora di parlare d’imprese creative e innovazione, si tiene a mente la centralità che capitale culturale e sociale hanno per la stabilizzazione di un’economia sana (R.D. Putnam). E’ innanzitutto importante chiarire quali obiettivi conseguire a livello politico. Una strategia disegnata per ottenere uno sviluppo territoriale attraverso la cultura deve essere in grado di facilitare processi dal basso e pratiche comuni. Molti degli operatori culturali nel materano, come Casa Netural, il Collettivo Fara, lo Studio Antani, giusto per menzionarne alcuni, dimostrano di avere capacità e preparazione per trasformare processi partecipativi in pratiche creative comuni, in grado di produrre coesione sociale e creare nuove economie culturali. Per far si che la creazione di questo capitale non venga disperso o che rimanga marginale al progetto, è evidente che il disegno politico deve essere in grado di cogliere il senso profondo di uno sviluppo organico in grado di fornire gli strumenti necessari a una strategia inclusiva e lungimirante. In questo momento, ” Matera 2019 ” sembra essere una strategia più focalizzata sulla valorizzazione delle risorse culturali locali per l’attrazione di capitali esteri ed economie turistiche. Questa prospettiva sembra andare contro un tipo di progettazione condivisa in grado di individuare la ricerca del bene comune e il riconoscimento di pratiche inclusive attraverso la cultura, un processo già in atto presso gli operatori locali.
Matera dimostra quindi che i processi politici, economici e sociali hanno bisogno di essere innovati, superando la ripartizione bipolare tradizionale che vede contrapposti amministratori e amministrati, attraverso la ricerca di pratiche inclusive di tipo economico e di politiche organiche funzionali a valorizzare il patrimonio culturale in un clima di collaborazione e condivisione delle risorse.
Nuovi schemi d’interazione: la responsabilità collettiva e l’economia della cultura
Un ” ecosistema ” sano e dinamico si fonda su un ambiente intessuto di relazioni costruttive, di identità e pratiche culturali condivise oltre che di un civismo responsabile. Anche l’azione e l’impresa economica, come del resto ogni pratica riconducibile all’essere umano, dovrebbero essere conformi al suo sistema di valori e ribadire la centralità del contesto culturale di riferimento. Una strategia politica vincente, non può perciò prescindere dalla creazione di un forte capitale civico e dalla valorizzazione degli attributi e delle peculiarità culturali e sociali esistenti. Un processo di tale portata richiede inevitabilmente uno sforzo di responsabilità collettiva che impegni l’intera comunità alla realizzazione dell’interesse generale e il coinvolgimento di tutte le risorse territoriali.
La traduzione in chiave urbanistica delle parole di Calvino, nel saggio ” Se Venezia muore ” di Salvatore Settis (2015), ci consente cosìdi ripensare e riformulare in chiave culturale lo sviluppo degli ecosistemi rurali. Ciò che preme segnalare è la necessità di mutare prospettiva e sovvertirei sistemi di governance e le politiche tradizionali, cercando di assumere una visione nuova e meno ” tecnocratica ” . La ricerca di contenuto potrebbe essere facilmente definita da un bambino come il bisogno di guardare all’anima delle cose, alla rete di significati. Questo lavoro intende trasferire il rapporto dialettico e spesso difficile fra economia e cultura su un piano d’interazione al fine di individuare una strategia condivisa, riscoprendo nelle pratiche partecipative e nel coinvolgimento civico a tutti i livelli, uno strumento per realizzare un ambiente di comunità vitale e vivace, qual è la città , attraverso un uso responsabile e creativo dell’azione e delle forze economiche.
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