Un’associazione chiede all’Agenzia del Demanio la concessione dell’isola di Poveglia per un periodo limitato, pari a sei anni, perché intende realizzare un progetto di recupero di aree abbandonate, sia pure limitatamente alle parti non edificate e a due piccoli edifici. A tal proposito, si rende disponibile a impegnare anche una consistente somma di denaro per svolgere le necessarie attività, integrate anche dall’intervento volontario degli associati. L’Agenzia del Demanio, però, dopo aver consultato la Direzione generale, rifiuta il rilascio della concessione in ragione della necessità di valutare insieme alla neocostituita giunta comunale quale destino delineare per il bene oggetto dell’istanza.
La Direzione regionale veneta dell’Agenzia, infatti, aveva prospettato alla Direzione generale centrale di Stato la possibilità di manifestazioni di interesse all’acquisto da parte di altri soggetti e aveva chiesto se non fosse opportuno procedere attraverso l’emanazione di un bando aperto. A sua volta la Direzione generale centrale di Stato dell’Agenzia, evidentemente anch’essa incerta sul da farsi, aveva suggerito l’opportunità di svolgere prima una consultazione con la neocostituita giunta comunale per prendere la decisione finale e quindi l’opportunità di rifiutare la concessione per non pregiudicare esiti alternativi dell’assegnazione dell’isola.
Cosa ha deciso il giudice
Ebbene, il giudice amministrativo dichiara illegittimo il rifiuto per difetto di motivazione. Osserva, infatti, il giudice che le ragioni addotte dall’Agenzia appaiono solo apparenti dal momento che il temporaneo uso della richiesta avanzata dall’associazione non preclude qualunque destinazione alternativa dell’isola, soprattutto se si considerano i tempi ordinari delle procedure di privatizzazione ma anche delle altre procedure che richiedono l’emissione di un bando. D’altra parte, osserva il giudice, anche ad ammettere che un impiego alternativo possa essere perseguito nelle more dell’esercizio della concessione, nulla avrebbe comunque impedito all’amministrazione di agire in via di autotutela e quindi riprendere possesso del bene per realizzare altri obiettivi. Pertanto, la motivazione addotta del rifiuto non pare davvero essere capace di esprimere una coerente logica spiegazione dell’interesse pubblico protetto.
Allo stesso tempo, però, il giudice respinge la domanda di condanna promossa per ottenere immediatamente dal giudice il rilascio della concessione a carico dell’amministrazione, perché ritiene comunque quella una valutazione discrezionale che può essere esercitata solo dall’Agenzia. In definitiva, il giudice annulla il rifiuto del rilascio della concessione ma rimette all’amministrazione comunque il compito di rivalutare l’istanza, senza che questa rivalutazione debba per forza concludersi nel senso di accogliere la domanda dell’associazione.
Perché la sentenza ci interessa
Il caso è molto interessante, perché consente di annotare alcuni aspetti.
Per prima cosa, merita di essere osservato che la procedura di concessione temporanea di beni per utilità generale è considerata alternativa sia alla procedura di bando sia ad eventuali altre procedure di privatizzazione e, come tale, può essere presa in considerazione dall’amministrazione. È naturalmente possibile rifiutare per l’amministrazione la domanda di rilascio della concessione, ma solo se vi è alla base una motivazione solida che chiarisca in modo rilevante perché il rifiuto consenta di proteggere altri meritevoli interessi pubblici. Motivazioni generiche di possibili altre destinazioni non sono sufficienti. In questo modo il giudice sembra dire due cose: queste procedure sono tra loro autonome e diverse e la scelta di quale adottare deve essere suffragata da ragioni evidenti che trovano fondamento in puntuali circostanze di fatto e di diritto.
La seconda osservazione interessante è l’importanza che il giudice attribuisce alla temporaneità della concessione. In sostanza, il fatto che la concessione sarebbe stata comunque provvisoria attenua le ragioni addotte dall’amministrazione per opporre rifiuto. La provvisorietà sembra delinearsi come un elemento positivo, sia perché permette nelle more di eventuali altre procedure di non lasciare ancora in abbandono il bene e di promuoverne il recupero, sia perché permette comunque a quegli interventi di non diventare irreversibili.
Infine, il giudice mette in evidenza correttamente il carattere discrezionale della decisione dell’amministrazione, il che, da un lato, impedisce al giudice di emettere una condanna ad eseguire a carico dell’amministrazione e, dall’altro, consente comunque di esercitare in qualunque momento un’azione in autotutela successiva, anche se evidentemente anche quella dovrà essere eventualmente ben motivata.
Il caso dell’isola di Poveglia traccia dunque coordinate assai utili e interessanti per costruire un diritto al riuso e alla rigenerazione di beni per finalità di interesse generale.
Foto in anteprima di Alice Tumiati