Obiettivo di questo intervento è inaugurare un percorso di riflessione attorno alla forza trasformativa dei patti di collaborazione, che parta dalle esperienze concrete promosse da Labsus nell’ambito della gestione e della cura dei beni comuni.
Un cambiamento strutturale
Ci sembra che il modello di Labsus attraversi alcune svolte cruciali che investono l’attuale trasformazione della società e delle istituzioni, ponendo le basi per una risposta in senso solidale e inclusivo alla crisi dei modelli di protezione sociale novecenteschi. Questi, sviluppatisi nell’ambito della stagione “sviluppista” del dopoguerra italiano, nel solco di una straordinaria stagione di rivendicazioni, hanno come soggetto di riferimento il cittadino lavoratore, maschio, eterosessuale. La crisi del modello fordista, nonché della soggettività lavorativa inquadrata tutto l’arco della vita entro una mansione determinata, unita ad una produttività diffusa connessa con l’automazione e l’estensione sempre più ampia dell’economia digitale, hanno determinato un’insufficienza strutturale del welfare assicurativo novecentesco, oltretutto oggetto, negli ultimi anni, di tagli e restrizioni nell’ambito delle politiche liberiste.
Quel modello di lavoro su cui poggiava il welfare assicurativo era inoltre legato a doppio filo alla proprietà, come principio cardine di regolazione non solo della produzione, ma anche della società. Alla base c’era la vendita della propria forza lavoro in cambio di un salario che assicurasse la sopravvivenza. Tale compravendita era tutt’altro che un atto spontaneo: piuttosto, era l’esito di una serie di processi materiali, che determinavano una strutturale asimmetria di risorse, nonché l’espropriazione della libertà delle soggettività lavorative e la loro inclusione entro i posti e le mansioni funzionali alla riproduzione capitalista.
Verso un nuovo modello di welfare?
Oggi quello scenario è radicalmente mutato, e i vecchi sistemi di welfare si rivelano del tutto insufficienti a far fronte alla crescente insicurezza sociale che investe un mondo in cui la dignità è ancora legata al salario, ma ad essere retribuite sono sempre meno persone.
I patti di collaborazione di Labsus ci sembrano offrire delle risposte inedite a parecchi cortocircuiti che attraversano lo scenario che abbiamo brevemente descritto. Ci sembra che tali esperienze incrocino una interessante riflessione di Stefano Rodotà, espressa, tra l’altro, in uno dei suoi ultimi libri: Solidarietà. In questo libro, Rodotà parlava di un “welfare bene comune”, “oltre lo stato e il mercato”, avanzando “una riflessione sullo Stato sociale che ne consideri l’irriducibilità alla sola azione di agenzie pubbliche”.
Stefano Rodotà rifletteva sulla possibilità di un welfare che potremmo definire “dal basso”, radicato nella solidarietà attiva, in collaborazione coi soggetti pubblici. Tale processo non deve però andare a favore di una deresponsabilizzazione dello Stato: piuttosto, quest’ultimo deve disporre un contesto adatto allo sviluppo di tali esperienze, cedendo delle prerogative e, al contempo, costruendo canali di partecipazione e di collaborazione.
La solidarietà, in questo quadro, può costituire l’ambito per la costruzione di un nuovo modello di cittadinanza inclusiva, al di là del cittadino lavoratore bianco maschio, eterosessuale, che rischia oggi di essere sempre più escludente.
Il caso di Terni: una via possibile
A Terni è stato promosso da Labsus un patto di collaborazione per la rigenerazione del Parco Anallergico. Fra i soggetti coinvolti c’è l’Arci, che ha proposto il coinvolgimento di alcuni ragazzi di origine straniera. L’associazione è infatti affidataria della gestione del progetto di accoglienza integrata della rete SPRAR (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati), per la categoria minori non accompagnati. L’idea è quella di “sviluppare un luogo di aggregazione giovanile in cui i nuovi abitanti del quartiere possano integrarsi con il resto della cittadinanza e di co-progettazione permanente, poiché è prevista la costituzione di un laboratorio urbano al quale parteciperanno i referenti del Patto e tutti gli altri soggetti che vorranno aderire. Si potranno così promuovere iniziative ricreative e interculturali, dallo sport alla musica, nel pieno rispetto dell’ambiente e delle norme di sicurezza”.
In questo quadro, la collaborazione non è soltanto una risposta all’insicurezza sociale, subordinata alla centralità del mercato. Piuttosto essa si configura come principio per un nuovo modo di convivenza e di relazione, riscrivendo, dal basso, la possibilità di vivere dignitosamente, autodeterminarsi e cooperare. È una sfida dal carattere inedito, perché non è demandabile all’abilità di un tecnico o di un sovrano illuminato. Indispensabile, piuttosto, è riuscire a ripensare il proprio stare insieme, assumendo il bene comune come processo tutto da scrivere, piuttosto che come un dato a priori.