La sfida della valutazione nei servizi di pubblica utilità  negli enti
Il disegno di legge delega per la riforma dei servizi pubblici locali si caratterizza per tre elementi che fanno capo ai tre articoli dei quali si compone. Il primo, è costituito dalla riaffermazione della competenza statale in tema di concorrenza con la quale si motiva l’intervento sui servizi pubblici a rilevanza economica. Il rispetto dei principi di libero ingresso degli operatori e di prestazioni di base con carattere di universalità ne definiscono le finalità.

Di rilievo è l’attribuzione agli enti locali, quale funzione fondamentale, dell’individuazione dei servizi necessari alla collettività che devono rispondere a requisiti di accessibilità, continuità e non discriminazione, di qualità e sicurezza. La norma individua altresì come modalità preferenziale di esercizio delle funzioni pubbliche in tale ambito l’adozione di misure di regolazione nel rispetto dei principi di concorrenza e di sussidiarietà orizzontale.

Merito di questa prima parte della delega è l’aver tratto dall’ordinamento principi e finalità, averli posti in collegamento, organizzati e finalizzati ad una nuova disciplina dei servizi locali. Il secondo elemento va individuato nelle vere e proprie innovazioni che la delega è chiamata ad attuare nelle norme vigenti che possono essere ricondotte essenzialmente all’attribuzione del carattere di eccezionalità agli affidamenti diretti (in house o a società miste) dei servizi locali.

Carattere di eccezionalità sottolineato dall’obbligo di motivazione che incombe sull’ente locale che decida di farvi ricorso, sulla verifica cui tali motivazioni devono essere sottoposte da parte delle autorità di regolazione di settore o da parte dell’Autorità garante della concorrenza, sull’impegno dell’ente locale a superare con un apposito programma le motivazioni dell’affidamento diretto e, infine, anche dalla limitazione dell’operatività delle società titolari di affidamento diretto all’ambito territoriale ed istituzionale entro il quale e dal quale l’affidamento si svolge e proviene.

Dal collegamento fra i due elementi deriva inoltre l’indirizzo di perseguire la razionalizzazione dei servizi anche attraverso la gestione integrata e l’estensione territoriale e di definire una disciplina unitaria per tutti i servizi modificando le normative settoriali attualmente vigenti Rilevante è la riaffermazione della proprietà pubblica delle reti ed innovativa la prescrizione che debba essere pubblica la gestione dei servizi idrici pur non essendo chiaro, in realtà, se e quanto ci si debba discostare dalla normativa vigente che già prevede la proprietà pubblica delle reti e se sia o meno consentita la partecipazione di società private alla gestione delle acque.

Il terzo elemento è costituito dalla previsione di modalità specifiche di tutela degli utenti. Fra queste, carattere innovativo riveste l’obbligo che impone ai gestori l’adozione di una carta dei servizi con un contenuto minimo predefinito dalla norma di delega e che la stessa sia adottata in conformità ad intese con associazioni di consumatori ed imprenditoriali.

Innovativa è anche la previsione che l’affidamento permanga a condizione che sia riscontrato periodicamente il gradimento degli utenti e che siano adottate particolari forme di vigilanza sia su tale attività di riscontro che sull’adozione delle carte dei servizi.

Dal disegno di legge delega emerge chiara l’intenzione del Governo di apportare modifiche alla disciplina in materia di servizi locali senza riscriverla interamente, ma imprimendole un indirizzo che ne muta sostanzialmente la valenza. Come ben documentato dalle rilevazioni di questi anni, infatti, la proprietà delle aziende di gestione dei servizi locali vede una preponderante presenza degli enti locali così come prevalente è l’affidamento diretto.

L’intreccio nello stesso soggetto – l’ente locale – della qualità di azionista, responsabile politico e istituzionale del servizio, regolatore crea una situazione nella quale vi è una evidente commistione fra interessi diversi in capo allo stesso soggetto con il rischio che questi scelga di volta in volta quale privilegiare in base alle proprie convenienze.

Si tratta di una situazione favorita dalla normativa vigente che, consentendo l’affidamento diretto (o in house) dei servizi, ha scelto, di fatto, di limitare l’impatto delle norme che prevedono il ricorso alle gare pubbliche per l’affidamento dei servizi.

Si è in presenza, quindi, di una inversione di tendenza definita nei suoi elementi fondamentali, ma che dovrà essere attuata con decreti delegati per l’emanazione dei quali, tuttavia, viene previsto un tempo che contraddice alla linearità dei principi e criteri direttivi. Infatti, pur trattandosi di una materia di particolare rilievo in più ambiti – economico, sociale, istituzionale – non sembra che i termini di un anno per adottare i decreti e due anni per effettuare eventuali interventi correttivi rispondano ad una oggettiva complessità delle normative da definire.

Si ha piuttosto l’impressione che si voglia evitare un confronto troppo duro con i soggetti istituzionali ed economici interessati alla nuova disciplina e, contemporaneamente, preparare il mercato per la nascita di nuovi soggetti in grado di competere per la gestione dei servizi.

Se il nucleo essenziale della normativa che dovrà essere adottata per l’affidamento dei servizi risiede nel rendere l’affidamento diretto così difficoltoso e penalizzante dal rendere la procedura competitiva più conveniente per tutti (salvo le dovute eccezioni), il nucleo di quella relativa alla tutela degli utenti sta nel rendere obbligatoria l’adozione della carta dei servizi previo l’assenso delle associazioni dei consumatori e degli imprenditori e nel legarla a precisi riscontri sulla soddisfazione degli utenti e ad un sistema di controllo esattamente “puntato” a vigilare questi due aspetti.

L’innovazione rispetto alla disciplina attuale è notevole e si caratterizza per la semplicità con la quale affronta due temi: la funzione delle carte dei servizi e il ruolo delle associazioni dei consumatori. Non si tratta certamente di temi nuovi, ma le difficoltà e la disattenzione con la quale sono stati considerati da molto tempo (l’introduzione delle carte dei servizi risale al 1994 e la disciplina delle associazioni dei consumatori al 1998) testimonia della difficoltà di affermare che ai principi di partecipazione espressi da numerose norme in tema di servizi pubblici occorresse dare un senso concreto.

Per stabilire che le carte non devono essere un atto unilaterale del gestore, ma costituire un patto con gli utenti concluso attraverso intese con le associazioni dei cittadini ci sono voluti anni. Per questo bisogna fare oggi ciò che è necessario e maturo senza aspettare altre legislature. E’ preferibile, quindi, impegnarsi adesso per completare la normativa in gestazione con altre semplici misure: stabilire un legame fra contratti e carte di servizio, adottare una procedura di partecipazione anche per i contratti, coinvolgere nella funzione di controllo i cittadini non con sondaggi, ma con la partecipazione diretta delle associazioni.

Per quest’ultimo aspetto le norme vigenti già affermano il principio che debba esserci la partecipazione degli utenti “nelle forme, anche associative riconosciute dalla legge, alle procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi” che presiedono all’erogazione dei servizi pubblici (D.Lgs. n. 286/1999, art. 11, c.1).

Principio che si è tradotto, di fatto e non sempre, nella semplice consultazione delle associazioni. Per integrare il principio di sussidiarietà più volte richiamato nel disegno di legge delega sembra necessario, invece, definire una compartecipazione dei cittadini alle funzioni che spettano agli organismi pubblici e, in particolare, a quella di vigilanza