Sussidirietà e sicurezza
Due concetti formalmente lontani ma che sulla base di un’analisi più approfondita si aprono e si inseriscono sostanzialmente all’interno di un rapporto dialettico non solo ipotizzabile ma anche possibile. L’analisi, non prescindendo da considerazioni di ordine giuridico in relazione al principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 u.c. Cost.), si muove in direzione di valutazioni di ordine antropologico e filosofico che hanno “sostenuto” l’impianto teorico proposto, nonché stimolato le considerazioni avanzate nel corso del dibattito.
Che cosa è la sicurezza? Il cittadino che rapporto ha con la sicurezza? E quali le esperienze, i modelli attuati ed attuabili concretamente rilevanti rispetto a tale problema?
Intorno a tali quesiti si è articolato il contributo di Stefano Pratesi.
Problema della paura
L’analisi ha posto come nodo prioritario il problema della paura, visto come elemento caratterizzante il tema della sicurezza: la gestione “politica” di questa, infatti, non può non considerare quella contemporanea forma di paura “anomica” che non consente di riconoscere il pericolo in maniera precisa (la paura mimetica), un pericolo che viene solo vagamente dallo Stato (la paura organizzata) o è solo altrettanto vagamente riconducibile all’altro (la paura anarchica).
Il paradigma del contemporaneo non si trova solo di fronte ad una nuova categoria di paura dai contorni più sfumati, ma risulta anche fortemente condizionato da un modello di libertà che “intrappola” i singoli individui esaurendosi in un insieme di sfere di intangibilità (“la mia libertà finisce dove finisce la tua”- Kant). Per parlare di sussidiarietà è necessario uscire dalle trappole.
In tale prospettiva, il problema della sicurezza giunge allo scontro con un simile sistema di libertà in cui si sottovaluta la dimensione attiva e “societaria” del limite, la quale consentirebbe, invece, di parlare di sussidiarietà come condizione per uscire dalla trappola delle autonomie.
Tale problema, inoltre, necessiterà di una dimensione propriamente politica, intesa come cosa di tutti, che agisce mediando tra procedura e realtà: la sicurezza, pertanto, non configurerà un sistema che l’istituzione applica sul territorio, ma un sistema che il cittadino vive senza subire, e quindi come partecipazione ed unione.
Tale problema, inoltre, necessiterà di una dimensione propriamente politica, intesa come cosa di tutti, che agisce mediando tra procedura e realtà: la sicurezza, pertanto, non configurerà un sistema che l’istituzione applica sul territorio, ma un sistema che il cittadino vive senza subire, e quindi come partecipazione ed unione.
In tale sistema partecipativo, il paradigma fiduciario si impone come necessario, privo di valenza “amicale”, da non confondersi con la fraternità. Il sistema non autonormante ragiona su aspettative e necessita di controlli mediante autovalutazioni, espressioni di garanzia di un processo comune di definizione degli indici.
Le componenti della sicurezza
La riflessione si è spostata sull’analisi delle componenti della sicurezza e su come queste consentano il dialogo sussidiarietà-sicurezza. La diagnostica, dato che arriva direttamente dalle istituzioni per la soluzione del problema, diventa un momento fondamentale in un sistema di controllo soprattutto in una prospettiva di prevenzione. Essa è fondata sull’esperienza e la partecipazione e rappresenta un momento fondamentale che permette il dialogo tra sicurezza e sussidiarietà. Necessita di una fase di informazione che viene elaborata dalle istituzioni e che nella sua dimensione preventiva diventa informazione di ritorno sul territorio, in cui il linguaggio rappresenta un elemento fondamentale di comunicazione. La prevenzione, pertanto, si fonda sull’informazione capillare e sulla reale presenza sul territorio, su una comunicazione efficace nel tentativo di interrompere il protocollo criminale.
In tale prospettiva, si è argomentato sulla dimensione “sussidiaria-partecipata” nelle varie forme del controllo sul territorio (il caso della “policia comunitaria”, con esperienze di coordinamento sull’attività di controllo svolte in parallelo dai cittadini; il caso argentino della guardia urbana ed il rischio di militarizzazione in Guatemala con l’esperienza dei cittadini armati).
Si accoglie, dunque, la sfida per cui un sistema di controllo diverso del territorio sia possibile riconoscendo, tuttavia, che la dialettica sicurezza-partecipazione non sia realizzabile sulla base di mere procedure.
Si accoglie, dunque, la sfida per cui un sistema di controllo diverso del territorio sia possibile riconoscendo, tuttavia, che la dialettica sicurezza-partecipazione non sia realizzabile sulla base di mere procedure.
Fabio Giglioni: l’aspetto della difesa popolare non violenta
Durante il dibattito che è seguito alla relazione, Fabio Giglioni ha approfondito l’aspetto della difesa popolare non violenta come possibile espressione di sussidiarietà orizzontale e in relazione al tema della sicurezza.
La difesa popolare non violenta ha, pertanto, una connessione con la sussidiarietà orizzontale? E se possibile, in che modo?
La risposta sembrerebbe negativa nella dimensione internazionale in quanto si tratta di manifestazioni di partecipazione della popolazione civile contro il potere dispotico. Pensiamo alla lotta di Solidarnosc in Polonia, all’indipendenza delle repubbliche baltiche dall’URSS o alla campagna di disobbedienza contro il governo dei militari in Thailandia nel 1992.
La risposta sembrerebbe negativa nella dimensione internazionale in quanto si tratta di manifestazioni di partecipazione della popolazione civile contro il potere dispotico. Pensiamo alla lotta di Solidarnosc in Polonia, all’indipendenza delle repubbliche baltiche dall’URSS o alla campagna di disobbedienza contro il governo dei militari in Thailandia nel 1992.
In tale prospettiva è evidente che la difesa popolare non violenta si discosta dal tema della sicurezza per la sua dimensione non militare e di contestazione nei riguardi di un’autorità costituita. Tuttavia, le azioni di difesa popolare non violenta non si limitano ad una realtà di non collaborazione-contrapposizione con il potere: la dimensione collaborativa infatti è possibile, basti pensare alle esperienze di cooperazione internazionale o di servizio civile internazionale in cui si conserva un rapporto di collaborazione con le autorità pubbliche ed internazionali.
L’esperienza italiana si distingue positivamente rispetto a tali tipi di esperienze: il tema della difesa popolare non violenta trova, infatti, non solo un riconoscimento istituzionale ma anche normativo, “secondo la regola gandhiana per cui si disobbedisce alla regola per costruirne insieme una migliore”. Oltre gli artt. 11 e 52 della Costituzione, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che le modalità di difesa della patria sono plurime (sent. 164/1985, riconfermata da ultimo nella sent. 228/24). Il legislatore italiano, mentre interviene da un lato in abolizione della leva militare (sentenza n. 228/24), dall’altro opera un rafforzamento del servizio civile (L. n. 64/21). Il quadro giuridico e normativo appare, dunque, molto avanzato in un contesto di riconsiderazione di ruoli e funzioni in cui non mancano istanze di collaborazione, un dato che, tuttavia, non comporta la coincidenza con l’aspetto pratico.
Mariella Gramaglia: concetto di paura
E’ intervenuta poi l’Assessore alle Politiche per la semplificazione, la comunicazione e le pari opportunità del Comune di Roma Mariella Gramaglia, che ha fornito il suo contributo sul concetto di paura con particolare attenzione alle problematiche dell’immigrazione, esprimendo l’impegno politico a “dissipare gli stereotipi”. La paura è connessa sempre di più ad un pericolo verso il simile e il prevedibile, in cui è lo stesso cittadino a “distinguere l’immigrato tollerabile e non”. Da qui l’impegno a lavorare sulla costruzione di un percorso di cittadinanza integrata ed interculturale.
Lidio Maresca: paura mimetica
Lidio Maresca ha messo in evidenza il concetto di paura mimetica anche rispetto a quei soggetti che dovrebbero garantire la sicurezza. La realtà che si vive, al contrario, è quella di incostante insicurezza che favorisce una situazione di irregolarità.
Daniele Donati: vicinanza tra la politica della sicurezza e il potere della legalità.
Daniele Donati a sua volta ha riconosciuto la vicinanza tra la politica della sicurezza e il potere della legalità. Mentre il potere della legalità è un fenomeno di tipo verticale, la politica della sicurezza intesa come partecipazione è un fenomeno tendenzialmente orizzontale e “terreno possibile della sussidiarietà”.
Daniela Bolognino: la regione Calabria abbandonata dallo Stato
Daniela Bolognino, in tal senso, ha fornito la testimonianza della Regione Calabria dove si segnala un senso di abbandono da parte dello Stato, avvertito talvolta come nemico da parte della collettività. Il caso dei ragazzi di Locri rappresenta un segnale di ottimismo, sicuramente non risolutivo ma perlomeno “di catalizzazione dell’attenzione”.
Vittorio Ferla: fiducia o amicizia?
Vittorio Ferla nel suo intervento ha posto l’accento su tre punti: la fiducia propria dei rapporti formali, distinta dall’amicizia; il ruolo delle istituzioni che è puramente “ornamentale” nel Sud del Paese e la possibile rilevanza dell’aspetto dell’edilizia e dell’urbanistica nel problema della sicurezza.
Franco Tumino: imprese private e sicurezza pubblica
Franco Tumino infine, in accordo con alcuni partecipanti ha proposto una riflessione sul tema della sicurezza in relazione alla libertà di impresa e all’intervento “sussidiario” delle stesse nella gestione della sicurezza pubblica.
L’incontro nelle sue articolazioni ha cercato di concettualizzare l’idea di sussidiarietà ponendo le basi per uno studio più approfondito e più ampio sul tema della sicurezza collettiva, che appare sicuramente di grande interesse e rilevanza pratica.
In allegato la relazione "sussidiarietà e sicurezza" di Stefano Pratesi.