Protocollo d'intesa tra Governo e Demanio

"Nel giro di un paio di anni - assicura il viceministro all'Economia, Vincenzo Visco - il Demanio non avrà  più aziende confiscate che saranno tutte assegnate"

Quasi 8 aziende per circa 5 lavoratori, e altri 3 si aggiungeranno nelle prossime settimane: è questo il bacino dei destinatari degli interventi previsti dal protocollo d’intesa sottoscritto questo mese da Ministero del Lavoro, Ministero del Tesoro, Agenzia del Demanio e Italia Lavoro. Si tratta delle imprese confiscate alla criminalità organizzata, alcune ancora attive e da rilanciare, altre ormai decotte e prive di prospettiva, se non fosse che è urgente disporre misure di salvaguardia dell’occupazione che comunque hanno creato. "Si tratta – spiega Elisabetta Spitz, direttore del Demanio – di circa 8 aziende, presenti in diversi settori (costruzioni, calcestruzzi, agroalimentare, turismo) alle quali oggi possiamo garantire assistenza". Un impegno che porterà nel giro di pochi anni a riportarle a nuova vita. "Nel giro di un paio di anni – assicura il viceministro all’Economia, Vincenzo Visco – il Demanio non avrà più aziende confiscate che saranno tutte assegnate". In base alla legge n. 575/65 ("Disposizioni contro la mafia"), il Tribunale, su proposta del questore o del Procuratore della Repubblica, può disporre il sequestro e la confisca antimafia di beni mobili e immobili. La legge 575 è stata implementata dalla più nota "Rognoni-La Torre" (legge n. 646/82), prevedendo misure di prevenzione a carattere patrimoniale. Il campo d’azione è delicato, e tante sono state negli anni le lentezze della burocrazia. Tuttavia i risultati sono arrivati, grazie soprattutto all’impegno di una forte rete istituzionale e del privato sociale. Un limpido esempio di sussidiarietà. Sui terreni confiscati sono nate diverse cooperative formate da giovani, che hanno rimesso in produzione beni agricoli per oltre 5 ettari, convertiti al biologico e che complessivamente fatturano più di 1 milione di euro di prodotti agricoli. Le difficoltà più rilevanti si sono incontrate nella gestione delle aziende confiscate. La legge affida all’Agenzia del Demanio la loro gestione fino alla destinazione dei beni tramite la nomina di amministratori giudiziari che ne diventano i curatori, ma non permette interventi diretti su aspetti come il mantenimento dell’impresa dentro il mercato produttivo, la salvaguardia dell’occupazione, l’accesso al credito. Sono centinaia i lavoratori a rischio disoccupazione a seguito della confisca: nonostante il delicato e accurato lavoro del Demanio, garantire i livelli occupazionali è difficile, e spesso si arriva alla liquidazione delle aziende, con drammatiche conseguenze. Con l’accordo firmato oggi parte innanzitutto un’attività di ricognizione dell’esistente; e successivamente, interventi a sostegno dei lavoratori e di rilancio delle aziende ancora in condizione di sopravvivere, ma non solo. Destinatarie degli interventi, infatti, sono: aziende in stato di crisi per cui è necessario intervenire con azioni di reimpiego e sostegno al reddito per i lavoratori; aziende in stato di pre -crisi per cui è necessario intervenire con azioni che prevedono l’utilizzo di ammortizzatori sociali e/o percorsi formativi a sostegno dei lavoratori; aziende già consolidate e/o in fase di sviluppo in cui è possibile intervenire con l’erogazione di incentivi per l’assunzione di nuovi lavoratori e/o la diversificazione di nuovi settori d’intervento, percorsi formativi, assistenza tecnica per la pianificazione di piani d’impresa e, laddove se ne ravvedano le condizioni, start up per la creazione di cooperative dei lavoratori delle aziende. "Vogliamo combattere – aggiunge il ministro del Lavoro, Cesare Damiano – quella terra di confine dove si mescolano lavoro nero, malavita e capitali di copertura". Con un ulteriore valore aggiunto: dare un segnale forte. Come quello dei giovani del Mezzogiorno che grazie ai beni restituiti alle collettività hanno potuto costituire delle cooperative rimettendo in produzione beni agricoli e "provocando nel contempo – spiegano dal Lavoro – una rottura culturale con il processo socio-economico gestito dalla criminalità organizzata".