La 'civicness' nel belpaese

La fiducia nelle istituzioni non è cosa che si dà  per virtù ma che si riceve per merito

L’ultimo rapporto sulla “civicness” degli italiani – promosso da Comieco e Legambiente e già segnalato nei giorni scorsi da Labsus – cerca di fare il punto sulla cultura civica nel belpaese.

Quali indicatori?

Il compito è assai difficile, in realtà, e non tanto a causa del consolidato cliché dell’italiano profittattore e familista. Il vero impaccio sta nella difficoltà di individuare gli indicatori corretti per la stessa definizione di ‘civicness’. E ciò porta all’errore di pensare che il senso civico, nel modo in cui lo intendiamo in Italia, sia la stessa cosa della civicness, come la intendono nei paesi anglosassoni. Il rapporto in esame purtroppo non fa sufficiente chiarezza su questi punti e presenta almeno due rischi.

Oltre le virtù civiche

Il primo rischio riguarda la possibile riduzione della civicness – e, di conseguenza, dell’esercizio della cittadinanza – alle virtù civiche. L’esercizio della cittadinanza oggi – anche alla luce di ricerche scientifiche importanti come quella di Aaron Wildavsky – è qualcosa di diverso. Essere cittadini, il più delle volte, non è necessariamente il frutto di un particolare impegno morale. Spesso si tratta, più semplicemente, di un modo di essere (cioè di un fatto) che può essere ispirato anche dall’interesse individuale legittimo (per esempio, a tenere pulita la strada su cui si affaccia la nostra abitazione). La cittadinanza concreta, quindi, non è per forza una virtù civica, o almeno non lo è principalmente. Inoltre, ricondurre l’esercizio della cittadinanza alle virtù significa renderla, in molti casi, un obiettivo impossibile: non esiste, infatti, nella realtà, la figura del cittadino modello.

Il boom delle donazioni

Peraltro, se proprio si volesse restare sul piano dei comportamenti virtuosi, basterebbe segnalare la non sufficiente importanza assegnata dal rapporto al boom delle donazioni che in questi anni gli italiani hanno effettuato. Secondo quanto segnalano i rapporti dell’IRES, l’istituto di ricerche delle Acli, i cittadini italiani hanno sovente messo le mani al proprio portafoglio con l’obiettivo di sostenere delle buone cause: si va dalla ricerca contro il cancro al sostegno ai medici che lavorano in situazioni di frontiera come nel caso di guerre o carestie, al sostegno all’edificazione di strutture fondamentali come scuole e ospedali nei paesi poveri, all’adozione a distanza di bambini del terzo mondo in situazioni di estrema difficoltà, ecc.

La fiducia nelle istituzioni fa parte del senso civico?

Altro rischio si corre quando tra gli indicatori della civicness si consideri la fiducia nelle istituzioni. Ma ci potremmo chiedere: la fiducia nelle istituzioni dipende dal senso civico dei cittadini o dai comportamenti e dal rendimento delle istituzioni? Tutte le ricerche e le classifiche degli ultimi anni riconoscono questa fiducia solo alle istituzioni che davvero sono percepite come vicine alle persone o come custodi dell’etica pubblica (basti pensare al Presidente della Repubblica o alle forze dell’ordine). Sappiamo bene, invece, che la credibilità di partiti e sindacati così come quella di governo e parlamento è colata a picco negli ultimi anni. E che in queste settimane i limiti della classe dirigente italiana sono sottoposti a critiche feroci da parte della popolazione. Il che dimostra che i cittadini si formano – e sarebbe ben strano il contrario – convinzioni proprie sulla base di un giudizio basato su dati concreti. E che la fiducia non è cosa che si dà per virtù ma che si riceve per merito. Non è un caso, dunque, come dimostra anche il Civil Society Index realizzato in Italia da Cittadinanzattiva in collaborazione col network globale di Civicus, se continua a crescere la fiducia nelle organizzazioni civiche (associazioni di volontariato, movimenti di tutela dei cittadini, associazioni ambientaliste).

La partecipazione civica è il fatto nuovo

E qui si tocca un tema di grande rilievo, quello della partecipazione civica (e, di conseguenza, del ruolo delle organizzazioni della società civile). Si tratta di un fenomeno in rapida ascesa in Italia, da ormai più di trent’anni. Tanto forte da provocare – come i lettori di Labsus ben sanno – novità significative nell’ordinamento giuridico: basti pensare alla legislazione sulle diverse tipologie di cittadinanza attiva presenti in Italia o alla riforma dell’amministrazione pubblica a partire dal riconoscimento di un ruolo attivo del cittadino sia nell’accesso alle informazioni che nell’attuazione delle politiche pubbliche. Completa e rafforza il quadro l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale nella Costituzione italiana. Questo principio riconosce un fenomeno sociale emergente: lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei cittadini singoli o associati. In sostanza, lo stesso legislatore, su pressione dei cittadini attivi, ha ritenuto di dover rappresentare anche sul piano giuridico una trasformazione profonda della cultura (e della prassi) civica italiana.

Il cittadino oltre gli stereotipi negativi

Fino a pochi anni fa lo status dei cittadini era quello di soggetti esclusivamente interessati al proprio ‘particulare’. Né i cittadini potevano vantare competenze circa la soluzione di problemi di interesse pubblico. Soltanto l’amministrazione pubblica aveva il potere di definire e tutelare l’interesse generale. Ora, il fatto che i cittadini si emancipino da questo ruolo negativo è una grande novità. Un paese nel quale la cittadinanza attiva cresce fino a concorrere con le istituzioni all’esercizio di funzioni di interesse pubblico, è un paese che può vantare una cultura civica in buona salute. E che oggi sta perfino stretta in una legislazione confusa e incompleta che attende di essere intelligentemente riformata.

Una nuova domanda di politica

Il filo di questo breve ragionamento ci permette, forse, di leggere in una luce diversa le polemiche sulla ‘casta’ di queste settimane. Non potrebbe darsi che la feroce critica rivolta ai limiti di questa classe dirigente sia semplicemente il frutto di crescita della ‘civicness’? Non ci troviamo, forse, di fronte ad una cittadinanza matura, responsabile, competente che non è più disponibile ad accettare una classe politica evidentemente incapace di rappresentarla e di offrire modelli alti di comportamento e di efficienza? E se l’antipolitica di questi mesi fosse una domanda di politica di più alto profilo, più adeguata alla cultura nuova di questo paese?