Qual’è l’obiettivo di una efficace comunicazione? Incidere sui comportamenti, modificarli, adeguarli agli obiettivi strategici di chi comunica. Se si fa una bella campagna pubblica rivolta ai giovani per l’uso del preservativo per la prevenzione e la lotta contro l’Aids e, come risultato, le indagini, segnalano che i giovani hanno chiaro che l’Aids viene trasmesso sessualmente e che la prevenzione la si può ottenere usando il preservativo si potrebbe pensare di aver fatto una buona comunicazione. Ma quando la stessa indagine rivela che i giovani continuano a far sesso senza utilizzare il preservativo bisogna porsi una domanda. La comunicazione è stata efficace? Ha raggiunto il suo obiettivo?
Sosteneva Federico Spantigati, fondatore di Correnti e principale pensatore italiano degli anni Novanta sul ruolo e la responsabilità della comunicazione, che la comunicazione è comportamento. Il compito della comunicazione non si esaurisce nell’informare (in questo caso si parla più correttamente di informazione) ma consiste nella responsabilità di ottenere comportamenti in linea con l’obiettivo della comunicazione.
Tornando alla nostra campagna di prevenzione dell’Aids, l’obiettivo si limitava a ottenere la consapevolezza dei giovani sul pericolo di diffusione dell’infezione o, ben più ambiziosamente, ad attivare comportamenti utili a ridurre la diffusione dell’Aids? L’uso di "limitava" e "ambiziosamente" indica, e non in maniera subliminale, l’opinione di chi sta scrivendo. L’informazione è diversa dalla comunicazione: la prima ha il compito di informare; la seconda di cambiare i comportamenti e le abitudini.
Modificare i comportamenti
Questo è un primo assunto per chi si occupa di comunicazione nei processi di sussidiarietà. Il risultato della comunicazione è di ottenere comportamenti attivi "virtuosi" da parte sia delle amministrazioni, che dei cittadini.
La sussidiarietà si misura sui fatti e sugli obiettivi specifici raggiunti. Non mira alla rappresentanza, ma al risultato concreto.
Se non altro per simmetria etica, una comunicazione responsabile deve prendere spunto dai comportamenti della fonte (cioé di chi comunica) evitando di nascondere, negare o camuffare modi di operare che, per pudore o opportunità, e meglio non far conoscere. Insomma non si può comunicare l’opposto di ciò che si fa. Ma qui siamo ben avanti: parliamo di un obiettivo che ci si deve porre come risultato della capacità strategica del proprio agire di comunicatori all’interno della nostra organizzazione.
Secondo assunto: la comunicazione si identifica e qualifica non per la fonte ma per l’obiettivo che si pone.
Qual’è l’obiettivo fondamentale delle amministrazioni pubbliche, la ragione d’essere, il principio etico che le legittima? La cura e la manutenzione del bene comune!
Lo Stato democratico è legittimato in quanto custode, tutore e promotore del bene comune, dell’interesse generale. Quando lo Stato non cura l’interesse generale, ma l’interesse particolare, la democrazia si trasforma in plutocrazia, aristocrazia, teocrazia.
La crisi della politica, strumentalmente definita dai media amplificatori del pensiero dell’establishment politico come l’antipolitica, nasce dal predominio e dall’invadenza degli interessi della casta, delle caste, delle corporazioni sulla tutela del bene comune.
La comunicazione di interesse generale
Esiste la comunicazione pubblica? Se poniamo questa domanda ad Alessandro Rovinetti, segretario generale dell’Associazione italiana della comunicazione pubblica ed istituzionale, possiamo facilmente immaginare una risposta affermativa.
Diversa potrebbe essere la risposta se la domanda venisse formulata a studiosi di comunicazione.
La comunicazione pubblica nasce come diritto di cittadinanza di una comunicazione con interessi ed obiettivi diversi dall’unica comunicazione che, una ventina d’anni fa, faceva letteratura: la comunicazione d’impresa.
Di fronte al bisogno di definire una professionalità più articolata e sofisticata a chi doveva comunicare nelle amministrazioni pubbliche, verso la fine degli anni Ottanta, si incominciarono ad importare modelli e strumenti di chi aveva studiato di più sul tema: le imprese private. Ben presto diventò evidente che scimmiottare metodologie non era sufficiente. Diversi erano gli obiettivi tra chi comunicava in’un impresa e chi doveva comunicare per conto di una istituzione pubblica. Da questa “presa di coscienza” si fece strada un diritto di autonomia metodologica e strategica da parte dello Stato comunicatore. Alla comunicazione d’impresa si affiancò la comunicazione pubblica.
Ma quello che deve caratterizzare la comunicazione non è la fonte ma l’obiettivo della comunicazione.
Se lo Stato democratico ha come ragion d’essere la tutela del bene comune e dell’interesse generale, questo è anche l’elemento che deve caratterizzare la comunicazione delle amministrazioni pubbliche. In linea con questa impostazione Gregorio Arena, docente di diritto amministrativo dell’Università di Trento e oggi presidente di Labsus, agli inizi degli anni Novanta curò una ricerca nazionale per il Cnr sull’organizzazione e il funzionamento della pubblica amministrazione. Il risultato di questa ricerca fu l’elaborazione del concetto di "comunicazione di interesse generale". Rileggiamo la premessa di Valeria Quaglione del libro "La comunicazione di interesse generale" edito da Il mulino, 1995: “Di fronte ai mutamenti di identità e di ruolo delle pubbliche amministrazioni si viene manifestando una crescente necessità da parte delle istituzioni di interpretare in modo originale le metodologie proprie della comunicazione d’impresa, adeguando politiche e strategie al fine di realizzare una comunicazione d’interesse per i cittadini“.
…comunicazione d’interesse per i cittadini, comunicazione d’interesse per le amministrazioni pubbliche; comunicazione d’interesse generale!
La comunicazione deve generare e modificare i comportamenti a favore della tutela dell’interesse generale.
Il governo delle interdipendenze
Nell’ambito della gestione delle politiche (policy) delle amministrazioni pubbliche, la comunicazione si rivela una leva strategica perché incide sui comportamenti dei diversi pubblici dell’amministrazione e della società. Una comunicazione efficace è un processo circolare che aiuta la gestione dei conflitti e il governo delle interdipendenze.
La comunicazione delle amministrazioni pubbliche è, oggi, sottoposta a un processo di grande cambiamento guidato dallo sviluppo evolutivo delle amministrazioni che, man mano che lasciano alle loro spalle (e non è mai troppo presto) il modello bipolare amministratore – amministrato, si introducono nel nuovo modello dell’amministrazione condivisa.
È per questo che non è più opportuno parlare di “comunicazione pubblica”, in quanto di appannaggio dei soggetti pubblici, ma è necessario parlare di “comunicazione di interesse generale” legata al nuovo modello del governo delle interdipendenze, dell’amministrazione condivisa.
Gestire oggi la comunicazione in una amministrazione pubblica significa “avere consapevolezza“ dei nuovi paradigmi dell’amministrazione stessa, che hanno trovato una loro formulazione costituzionale con l’introduzione, nel 21, dei concetti di sussidiarietà verticale e orizzontale e che pongono al centro dell’interesse generale i beni comuni.
L’effetto di queste riflessioni implica una piena consapevolezza non solo che l’ente pubblico comunica nell’interesse generale, ma che anche gli altri soggetti sociali (le organizzazioni di interesse, gli shareholders, gli stakeholders, e i cittadini) non solo sono legittimati, ma hanno il dovere civile di farlo.
La dimensione dell’ascolto, dell’interazione e della retroazione, del feed back diventa centrale nella ripianificazione continua della comunicazione. Tra gli strumenti più innovativi per aprire un dialogo con tutti gli attori territoriali vanno annoverati i cosiddetti “social networks” in rete. Piattaforme che consentono lo scambio, il confronto, la condivisione “in diretta” del lavoro, nonché la gestione della programmazione strategica stessa, come dimostrano alcune esperienze già realizzate.