Arena tiene un seminario per "Oltre il giardino"

A Genova esistono le condizioni per sperimentare nuovi modelli di rapporto tra ente locale e terzo settore, improntati all'alleanza

L’assessore ai servizi sociali del Comune, Roberta Papi, ha accolto la proposta di fare di Genova un laboratorio del nuovo paradigma.

“Questo – ha spiegato Mario Calbi del circolo “Oltre il giardino” – è il secondo appuntamento. il primo, con Tommaso Vitali, ha riguardato gli aspetti organizzativi, il terzo, con Ota De Leonardis riguarderà le strategie, mentre oggi ci focalizzeremo sugli aspetti giuridici del nuovo rapporto tra sfera pubblica e privato. Anche lo scorso anno era stato proposto un ciclo analogo, ma quest’anno è stato fatto insieme al Comune”.

Arena, ripensare i confini

“ Questo incontro genovese rappresenta un appuntamento importante e non episodico”. Così ha esordito Arena, che ha poi continuato: “Leggendo i contributi teorici del circolo ‘Oltre il giardino’ ci si accorge che siamo di fronte a riflessioni ‘alte’. Un’elaborazione analoga sta nascendo a Bolzano, ma anche in altri posti d’Italia. Genova può essere un punto di riferimento per mettere insieme gli enti locali e il terzo settore in un’ottica di alleanza”.

“L’idea di sussidiarietà ha dietro un modello di società diversa, una nuova forma di cittadinanza che ha effetti sulla partecipazione, sanando almeno in parte il divario tra potere e cittadini. Aiuta, insomma, la tenuta della democrazia”. Arena ha poi spiegato l’etimologia del termine sussidiarietà che deriva da subsidium. “Nell’antica Roma le legioni ‘fresche’ che erano nelle retrovie pronte a dare il cambio alle prime linee erano le legioni subsidiarie. Non, quindi, soldati di seconda scelta, ma anzi truppe esperte”.

Il riferimento forte è nella Costituzione, nell’articolo 118 ultimo comma. “Se al primo comma si introduce la sussidiarietà verticale – ha detto Arena – con l’ultimo si legittima la dimensione orizzontale. È una norma immediatamente precettiva che non richiede altre disposizioni per la sua applicazione (anche se possono rivelarsi opportune). Il 118 rimanda anche ai primi articoli della Costituzione, in particolare gli articoli 2 e 5. Il ponte tra l’articolo 118 e la prima parte della Coatituzione è nell’articolo 2, che anticipa implicitamente il principio di sussidiarietà quando riconosce il ruolo delle formazioni sociali”.

“La sussidiarietà è un principio relazionale tra amministiazioni e cittadini ed è, quindi, ambiguo. Ne sono state date molte interpretazioni, anche in questa campagna elettorale. Una lettura è quella che dice che se si attivano i privati il pubblico si ritira. La Bicamerale di D’Alema è caduta anche su questo. È il modello Lombardia, per intendersi. Questa lettura non tiene però conto del fatto che la società di oggi presenta una complessità così alta che non si può darle risposta solo attraverso le amministrazioni pubbliche”.

La complessità mette in crisi il paradigma bipolare che, come ha spiegato Arena, “come tutti i paradigmi, regge solo fintanto che è in grado di descrivere la realtà. Secondo questo modello esiste un interesse pubblico che si contrappone agli interessi ‘egoistici’ dei cittadini, che sono ‘incompetenti’ quanto all’interesse generale. Oggi questo paradigma non è più sufficiente perché le amministrazioni hanno bisogno dell’aiuto dei cittadini e dei soggetti sociali: è il modello dell’amministrazione condivisa. Un esempio è quello della raccolta differenziata, ma ne esistono moltissimi. Attraverso il 118 i cittadini possono prendersi cura dell’interesse generale diventando alleati dell’amministrazione. Non si condivide il potere, ma una funzione di cura dei beni comuni nell’interesse generale. Questo accade già spesso a livello locale, ma non viene riconosciuto come applicazione della sussidiarietà. L’amministrazione non è carente perché cerca l’aiuto dei cittadini, semplicemente non può da sola rispondere alle sfide della complessità”.

“Su questo – ha sottolineato Arena – si innesta la riflessione sul terzo settore. Finora ho sostenuto che laddove c’è compenso non si possa parlare di sussidiarietà, perché il sistema degli appalti appartiene a pieno titolo al paradigma bipolare. Quindi il terzo settore non è di per sé soggetto del 118. Tuttavia la crescente sofferenza nel rapporto tra amministrazioni e terzo settore segnala la necessità di un passaggio teorico verso il nuovo paradigma. Non subordinazione, quindi, anche se esiste una gerarchia. In questo rapporto è necessaria una chiave anche di tipo giuridico che legittimi le associazioni come alleate dell’amministrazione. Questo richiede, da un lato, umiltà nelle amministrazioni, che devono saper riconoscere i propri limiti, dall’altro, una selezione fra le associazioni disposte ad instaurare con le amministrazioni rapporti di alleanza fondati sulla condivisione degli obiettivi, non su un mero trasferimento di risorse finanziarie”.

Il cuore del ruolo delle pubbliche amministrazioni, ha continuato, “è nell’articolo 3 della Costituzione che si occupa di uguaglianza e che, al comma 2, afferma che l’uguaglianza formale va costruita in pratica rimuovendo gli ostacoli. È un progetto che rappresenta la ‘mission’ della Pa. Proprio nelle politiche sociali c’è la massima esplicazione dell’articolo 3 secondo comma. Ma il pieno sviluppo della persona umana, alla luce del 118, non è un obiettivo egoistico: è interesse della collettività. Dall’articolo 3 all’articolo 118 si compie il passaggio dal paradigma bipolare all’amministrazione condivisa. La Repubblica ha trovato degli alleati e i cittadini, quando si attivano, stanno già sviluppando la propria persona. Producono capitale sociale, che è fattore di sviluppo anche economico. È necessario mettere la persona al centro, valorizzando le competenze latenti”.

“Anche dove c’è compenso – ha concluso Arena – può esserci sussidiarietà, a patto che tutto il rapporto sia coerente con l’ottica dell’alleanza. Una collaborazione reale, insomma, per l’interesse generale.Si possono pensare strumenti giuridici ad hoc. Altrimenti il rischio è che il terzo settore si senta usato e che l’amministrazione si privi di un’alleanza importante. I rapporti paritari sono più difficili, ma anche più ricchi. Genova può essere il terreno di una sfida importante per spostare avanti una frontiera”.

Papi, i problemi di Genova

“Proviamo a calare il discorso sul caso Genova”. Questo l’obiettivo dell’intervento dell’assessore comunale ai servizi sociali Roberta Papi. “Progressivamente – ha spiegato – la Regione ha mutato la sua missione istituzionale: oggi c’è una tendenza alla gestione diretta dei servizi sociali. La legge regionale di applicazione della 328 ha, di fatto, annullato il comune di Genova che è stato diviso in sei distretti dei quali solo in due è capofila. I finanziamenti vengono dati direttamente ai distretti, togliendo un’identità in questo settore alla città. Il Comune non può fare la sua programmazione sociale e non può quindi rispondere ai bisogni e sviluppare la politica verso il terzo settore. Il tema del rapporto tra regioni e comuni, comunque, va molto al di là della realtà genovese e investe tutta Italia. I comuni diventano soggetti deboli nonostante siano i primi interlocutori dei cittadini”.

L’assessore non ha difficoltà a riconoscere che “Genova rientra nel paradigma bipolare: il terzo settore gestisce per il Comune una pluralità di servizi. E il terzo settore, in questa realtà, è ampio e frammentato, non tutto riconducibile alla cittadinanza attiva. Ci sono molte imprese che hanno un rapporto economico con il Comune e per le quali non si può ragionare in termini di sussidiarietà. Ma il problema si sta ponendo: è urgente stabilire una nuova relazione tra amministrazione e terzo settore. Il Comune deve riappropriarsi del governo del processo con responsabilità, ma passando dalla condivisione, non solo con il terzo settore. La responsabilità amministrativa condivisa deve portare a un allargamento della rete, con al centro la persona. Il lavoro è iniziato, ma non è facile”.

“Da parte del Comune – ha concluso l’assessore – c’è la disponibilità a prendere Genova come ‘laboratorio’, ricostruendo il rapporto con il terzo settore su nuove basi”.

Ripensare valori e missione

La mattinata è poi proseguita con una riflessione degli operatori e amministratori in gruppo. L’elaborazione è stata poi riportata in plenaria. Diverse le istanze emerse.

Il primo dei due gruppi si è posto una domanda di fondo: se la democrazia rappresentativa è alla base del paradigma bipolare, quale modello di democrazia regge quello sussidiario? Rispetto, invece, al confine tra sussidiarietà e volontariato, a Genova c’è esternalizzazione, quindi un rapporto di mercato tra imprese, dove i soggetti del sociale possono mettere in campo comportamenti arroganti, strumentali e predatori. Il problema della “mission”, quindi, non investe solo le amministrazioni, ma anche il terzo settore che, in alcuni casi, ha perso di vista i vaori.

Rispetto alla dialettica tra interessi e bisogni il gruppo si è chiesto chi li interpreta. Ma la domanda forte è stata quella di spazi collettivi di elaborazione che non siano troppo vicini agli esiti. E di regole e strumenti per chi la sussidiarietà la “fa” quotidianamente.

Un ultimo tema è quello della possibilità di essere soggetti della sussidiarietà per le imprese. L’impresa sociale è un soggetto “strano” che deve coniugare bilanci e valori. È importante la valutazione delle imprese sociali.

Anche il secondo gruppo di lavoro ha posto l’accento sulla necessità di rimettere in campo valori di idealità, sia per le pubbliche amministrazioni, sia per il terzo settore. A livello locale esiste una progettazione paritaria dei servizi, una formalizzazione delle reti, anche se a macchia di leopardo. Ciò che manca è il raccordo con il governo dei processi, anche in termini di comunicazione. Servirebbe un meccanismo in grado di portare le istanze territoriali al centro. Certamente servono momenti formativi su queste tematiche che coinvolgano sia gli attori centrali che quelli locali.

Un master sull’amministrazione condivisa

Gregorio Arena ha concluso i lavori tirando le fila rispetto a quanto emerso dall’elaborazione dei gruppi e lanciando un’idea: un master targato Labsus sull’amministrazione condivisa da tenersi a Genova nei prossimi mesi.

“Il tema della legittimazione ad operare nell’interesse generale – ha spiegato – si lega con la definizione di quest’ultimo, che non coincide più con l’interesse pubblico inteso unicamente come interesse dello Stato. Il ruolo delle amministrazioni, inoltre, non è solo esecutivo, ma anche interpretativo e applicativo delle norme. L’amministrazione deve essere efficace ed efficiente e solo i cittadini sono in grado di giudicare quanto realmente lo sia. Le pubbliche amministrazioni, quindi, devono giocarsi la propria legittimazione su due fronti: verso il governo e verso i cittadini. L’interesse pubblico, in questa accezione, è l’interesse della comunità”.

“La sussidiarietà – ha continuato – apre spazi di partecipazione ma svela anche le debolezze della democrazia rappresentativa. Il terzo settore, in Italia, muta identità, tanto che i volontari ‘puri’ ipotizzano la nascita di un ‘quarto settore’. Tuttavia è possibile discernere soggetto per soggetto, sia nella pubblica amministrazione, sia nel terzo settore. E trovare le realtà sulle quali lavorare per sperimentare nuovi strumenti giuridici”.

“Quello della comunicazione – ha risposto ancora – è un tema cruciale. Ormai la comunicazione pubblica è diventata una funzione proprio perché serve la collaborazione dei cittadini. Per far questo, non basta informarli, bisogna condividere con loro una visione della realtà che li induca a cambiare i propri comportamenti. È questo, appunto, l’obiettivo della comunicazione”.

“Gli spazi di riflessione – ha aggiunto in conclusione – si possono creare: Labsus può proporre, nella realtà di Genova, un master sull’amministrazione condivisa che coinvolga il comune, il terzo settore, le imprese, i cittadini. Lo sbocco è quello del laboratorio”.

L’idea è stata immediatamente colta dall’assessore Papi. “Il comune di Genova – ha detto – accoglie l’idea del master sull’amministrazione condivisa, propedeutico alla riflessione aperta sul modello di welfare già in preparazione. Inoltre vuole iniziare a ragionare sulle forme guridiche che possono dare vita a un nuovo rapporto tra Comune e terzo settore”.