“Io credo che, caduta storicamente la possibilità di configurare, sia pure in modo ideologico e molto problematico, una qualche nozione di interesse generale – che tuttavia accomunava partiti, coalizioni e vincolava l’agire individuale e l’indirizzo delle comunità nazionali e dei sistemi sociali contrapposti – siamo ora immersi in una dimensione che rende difficile pronunciare le ragioni del bene comune dell’umanità come vincolo per tutti i governanti in qualunque angolo del pianeta. Da nessuna parte si vede ancora la costruzione di una qualche maggioranza politica sulla base di un ‘massimo comun denominatore’ di questo tipo. …
Dov’è finito l’interesse generale?
Così nei singoli contesti nazionali il rito del voto democratico, per il fatto che con la scomparsa del ‘nemico ideologico’ s’è eclissata anche la tensione all’interesse generale, non è più la base per tentativi di sintesi politica, ma configura una nuova matematica dell’un per cento di voti in più rispetto alla coalizione avversa. …
Potremmo cadere in profondo pessimismo se dovessimo arrenderci alla riduzione elettoralistica delle democrazie, che tanto preme a un pensiero soltanto liberale, rilanciato con intenti egemonici. Non c’è solo l’idea vecchia che esaurito il rito del voto, i cittadini (maggioranza o minoranza, non importa) debbano tornare a casa e aspettare che i governi diano attuazione alle salvifiche promesse. C’è, a completamento delle spinte di passivizzazione o neutralizzazione di massa, l’odierna potenza dei media e la situazione di monopolio o quasimonopolio della comunicazione pubblica un po’ ovunque nel mondo.
Il bisogno di buona politica
Pessimismo dunque, se non potessimo constatare che la mossa della ‘passivizzazione’ delle forze civili di una società oggi non riesce più. E’ l’attivismo civico diffuso che rompe la spirale negativa. Decenni di pratica della partecipazione democratica, prima attraverso i partiti, poi in forme più libere e maggiormente aderenti alle realtà del territorio, hanno prodotto consapevolezze diffuse dell’importanza di non delegare ma esercitare il proprio potere per quanto possibile direttamente.
Il bisogno di buona politica è rientrato nella Costituzione con l’art. 118, quarto comma: il cittadino che con autonoma iniziativa realizza l’interesse generale cambia i termini del problema. Non organi rappresentativi del potere di maggioranza, ma cittadini comuni, quindi minoranze per definizione, possono agire per la realizzazione dell’interesse generale. Non ‘rivendicare da’, ma ‘agire per’ una autonoma e diretta realizzazione di beni comuni. Si tratta del riconoscimento di una inedita ‘sovranità pratica’ dell’attivismo civico: quando esso si manifesta, le istituzioni rappresentative sono obbligate a stargli dietro: ‘favorire’ tali iniziative, dice la norma, quindi accoglierle e accompagnarle positivamente.
Minoranze, ma fondamentali
L’introduzione di questo principio segna la cessazione del primato della politica rappresentativa e afferma, come mai prima nella storia, il primato del costituzionalismo democratico. I cittadini attivi sono per definizione minoranze; non sono quindi sostenuti da alcuna legittimazione rappresentativa. Non l’hanno cercata, né il ristretto numero consente di presumere alcunché in questa direzione. La loro legittimazione è data dalla corrispondenza dell’attività, che essi svolgono, a un interesse generale quale non può essere definito altro che dalla Costituzione. E’ l’aspetto oggettivo (risultato dell’attività) non quello soggettivo (attore particolarmente legittimato) quello che conta.
Cosicché, anche se le leggi, per le tendenze politiche e culturali che ho criticato, finiscono per corrispondere sempre più a soli interessi di maggioranza, il riferimento di iniziative civiche alla Costituzione, cioè al patto fondativo, permette di ricercare dal basso corrispondenza a valori comuni e fondanti della comunità. L’azione dei cittadini attivi, nella normativa che si sta affermando, si legittima per la concreta realizzazione di fini e beni comuni, valori e diritti universali e fondamentali, che le Costituzioni hanno depositato nella storia e che altalenanti governi e variabili maggioranze politiche abitualmente trascurano o, addirittura, con leggi fatte a colpi di maggioranza violano.
Il costituzionalismo democratico
Tutto ciò significa che, per imporre ai Governi il rispetto della Costituzione, il nuovo potere riconosciuto alla cittadinanza attiva apre un circuito virtuoso tra forze sociali diffuse e Costituzione. Se il costituzionalismo democratico è solo cultura separata di giuristi, professori e giudici, può facilmente soccombere alle irruenze, alle prepotenze, all’arbitrio della politica. Questo, ad esempio, si è visto nel nostro Paese, in occasione dei ripetuti tentativi di cambiare la Costituzione affidati a commissioni parlamentari bicamerali. Diversamente da quanto la migliore dottrina ha indicato i partiti hanno inteso di essere i soli depositari di un ‘potere costituente’ integro e illimitato. Con questo tipo di interpretazioni, il potere politico elude le regole e le garanzie che un secolare sviluppo del costituzionalismo ha inteso fissare, per mantenere il controllo sulla direzione di sviluppo delle vicende democratiche.
Democrazia e nuove forme di cittadinanza
Questo modo di porre il problema del cambiamento, sottoponendo a un controllo e a un indirizzo progressivo anche i poteri parlamentari, realizza un circuito nuovo e virtuoso tra tradizioni democratiche e nuove forze di cittadinanza. La mobilitazione anche minoritaria di queste fa dunque vivere le costituzioni, ne diventa forza propulsiva: tra impegno civico dei cittadini comuni e orientamento costituzionalmente garantista dei giudici – che appunto possono essere chiamati a valutare la corrispondenza dei singoli atti alla Costituzione – c’è una possibilità pià larga di circolazione positiva e inedita di valori e criteri costituzionali”.