Partecipazione, deliberazione, empowerment
“La discussione nell’ambito della sessione di lavoro è stata molto partecipata e deliberativa”. Così ha esordito alla tavola rotonda finale Donatella Della Porta, dell’Università di Firenze, che oggi ha coordinato il gruppo sulla partecipazione. Le esperienze affrontate erano molto diverse, “ma ci sono tre aspetti – ha continuato Della Porta – che si intrecciano alle tre R del titolo: partecipazione, deliberazione, empowerment”.
Rispetto alla partecipazione, Della Porta ha evidenziato come sia difficile coinvolgere alcuni gruppi. In positivo è però emerso che gli esperimenti riescono a crescere sul lungo periodo. “La sfida – ha detto ancora – sembra essere quella di collegare queste esperienze ad altre forme di partecipazione, anche non convenzionali. Il rischio è di accrescere l’ineguaglianza: non tutti hanno tempo e risorse per partecipare”.
Sulla deliberazione, Della Porta ha sottolineato che “è un tentativo recente quello di inventare anche un metodo per la formazione di opinioni. La comunicazione e l’informazione sono spesso dall’alto verso il basso. I tentativi di sviluppare strumenti orizzontali sono in fase iniziale”. È però necessario trovare un equilibrio tra apertura e regole.
Infine, il tema dell’efficacia delle esperienze partecipative. “I cittadini – ha spiegato Della Porta – sono chiamati a partecipare ma possono restare delusi rispetto poi alle decisioni che arrivano da altri circuiti. Ci sono circuiti più forti, anche di rappresentanza”. Ma in qualche modo “queste esperienze creano istituzioni nuove che promuovono nuovi esperimenti. Si creano ‘risorse’ di partecipazione”.
Pittaluga, concertare con chi?
“Dalla discussione di oggi emerge la presenza di un reticolo di esperienze territoriali che dimostrano che la politica non sta bene, specie nelle sue forme tradizionali di rappresentanza”. Così ha esordito Alfonso Pittaluga, assessore al comune di Genova.
“Preferisco parlare di concertazione, più che di partecipazione – ha continuato l’assessore – che a livello locale si fa, anche con interlocutori nuovi (per esempio le associazioni dei consumatori. Esiste però il problema delle rappresentanze, anche con i comitati dei cittadini, che spesso non rappresentano interessi che collimano”.
Secondo Pittaluga, “è evidente una propensione alla partecipazione. Serve forse una codificazione di queste forme che si attuano con diverse modalità. Un’agenda di queste forme sarebbe molto utile”.
Piccinini, misurare la rappresentatività
“Bisogna distinguere la concertazione nazionale dalla partecipazione locale”. Ha detto Morena Piccinini, segretario confederale della Cgil. “La prima ha subito alterne vicende e oggi è tramontata. Oggi c’è la teorizzazione che della concertazione non c’è più bisogno, nonostante la situazione di emergenza. Non è che non ci sia l’ascolto, ma solo di alcuni e non alla pari: è corporativa”. Per quanto riguarda l’ambito delle amministrazioni locali, Piccinini vede una maggior continuità di rapporti. “Ovunque il buon governo ha coinciso con la partecipazione e condivisione, oltre il momento del voto”.
Oggi ci sono però problemi nuovi, legti anche all’allargamento delle competenze delle amministrazioni locali. “È molto positivo che le amministrazioni locali sentano la necessità di ascoltare il cittadino – ha detto Piccinini – ma il fatto che non ci siano filtri funziona fino al punto in cui il rapporto diretto non diventa strumento o alibi per non coinvolgere più la rappresentanza organizzata”.
Piccinini ha poi fatto un parallelo tra l’esigenza dell’amministrazione e quella delle organizzazioni rappresentative di veridicare l’efficacia quotidiana dei propri atti. “Bisogna riuscire a rendere conto ai diretti interessati anche sul piano locale, dove è molto più difficile. Le regole sono più lasche e il tema della misurazione della rappresentanza e del mandato è centrale”.
“Dietro tutto questo – ha concluso – c’è la reale misurazione della rappresentanza. In passato il quadro era semplice, oggi è frammentario. E il rischio è quello della corporativizzazione”
Nora, partecipazione e regole
“Le Agende 21 nascono come idea all’interno del programma delle Nazioni Unite, contemporaneamente alle proposte non convenzionali del Forum sociale. Sono due mondi che basano il loro successo sulla partecipazione, ma ancora in termini paralleli. È tempo che si trovi una sintesi ma non una semplificazione, sapendo che la partecipazione non è un fine ma un mezzo”
Così Eriuccio Nora, del coordinamento Agende 21 italiane. “Le Nazioni Unite – ha spiegato – hanno capito la necessità delle comunità locali. Le comunità, in modo partecipato, promuovono piani d’azione per lo sviluppo sostenibile nel XXI secolo. Nel principio di responsabilità si chiede a tutti i partners di fare la loro parte insieme al comune”.
In queste esperienze “la partecipazione non è facoltativa: se il piano non è partecipato, non entra in Agenda 21. Bisogna convenire preliminarmente su alcuni valori e obiettivi strategici. Perché i processi partecipativi funzionino devono partire da obiettivi comuni e condivisi”. Senza dimenticare la conoscenza “La partecipazione – ha affermato Nora – non fa miracoli. La conoscenza e i saperi scientifici e tecnici hanno pari importanza, come la conoscenza del territorio. Questi meccanismi non burocratizzano il processo ma ne aumentano le possibilità di successo e l’efficacia”.