Come per le sessioni precedenti, coordinate da Giglioni e Donati, la sessione del 16 ottobre ha visto una discussione tutt’altro che rituale su ogni caso presentato.
Evidentemente le domande sono state dettate principalmente dalla necessità di confrontarsi con esperienze simili, raccogliere idee, mutuare modelli.
Emilia Romagna, come sta la partecipazione?
La regione Emilia Romagna ha avviato un’azione di sistema per rilevare il grado di coinvolgimento e soddisfazione di tutti gli attori chiamati a partecipare ai tavoli di concertazione. L’iniziativa si è concretizzata con la creazione di nove focus group in ognuna delle province, con il coinvolgimento di varie categorie. Per analizzare i diversi aspetti, è stata utilizzata la griglia metodologica del Libro bianco sulla governance.
L’analisi si è concentrata sulle modalità e i temi del coinvolgimento partecipativo e ha evidenziato come i processi partecipativi abbiano privilegiato il livello dell’informazione piuttosto che la coprogettazione o il monitoraggio ex post.
Tra gli elementi interessanti emersi, il fatto che gli interlocutori sono spesso portatori di diverse ” identità ” in diversi tavoli (imprenditori e genitori, lavoratori e volontari). E l’intero quadro è a luci e ombre, tra innovazione e vecchi modelli. Anche all’interno dello stesso ente locale, esistono politiche diverse, più o meno inclusive. In generale emerge una discontinuità dell’offerta di partecipazione, che va dall’eccesso al silenzio.
Altro tema importante: la scarsa chiarezza dei livelli di partecipazione. C’è spesso ambiguità sui limiti della partecipazione e tempi lunghi di risposta anche dopo percorsi molto partecipati. A volte si segnala anche un eccesso di offerta di strumenti. Ma emergono anche aspetti positivi, soprattutto su fronte dello sviluppo del capitale sociale.
In generale, cosa chiedono i cittadini? Meno tavoli, ma più concreti. Chiedono poi di concentrare le questioni e dire con chiarezza quanto sarà recepito. Chiedono infine chiarezza dei ruoli.
Montebelluna e le famiglie ” normali ”
Le politiche pubbliche per la famiglia sono spesso concentrate sulle situazioni di disagio. Nel 24 il comune di Montebelluna (3mila abitanti), si è chiesto cosa poteva fare per le famiglie ” normali ” e ha aperto un dialogo con una cooperativa. L’idea è stata quella di favorire la partecipazione attiva delle famiglie alla costruzione delle politiche: dall’espressione dei bisogni fino all’individuazione delle soluzioni, dalla realizzazione degli interventi fino alla loro valutazione.
Attraverso una prima azione di promozione, si sono creati 15 focus group che hanno coinvolto cento famiglie nell’individuazione de gli ostacoli al benessere. La stessa assemblea ha poi stabilito una ‘priorizzazione’, che ha fatto emergere i sette ostacoli principali. Per ognuno è nato un gruppo di lavoro impegnato a cercare soluzioni concrete.
Un esempio: il gruppo ” seconda infanzia ” che riunisce famiglie con figli tra i 3 e i 1 anni. Il gruppo ha individuato tra gli ostacoli le difficoltà economiche e la difficoltà di fare rete tra famiglie. Le soluzioni? Un gruppo d’acquisto per la cancelleria scolastica che ha coinvolto famiglie, scuole e comune. Le stesse famiglie hanno condotto un’indagine tra i cartolai e redatto un listino. Il primo anno l’azione ha coinvolto 4 famiglie, il secondo anno 2 famiglie, per una spesa di circa 11mila euro di spesa.
In questo caso, il comune ha dato un supporto non economico ma di ‘difesa’ rispetto agli altri cartolai. In generale, il sostegno comunale è diverso per ogni azione. C’è anche un gruppo di coordinamento che riunisce comune, cooperativa e famiglie e ci sono regolari restituzioni in assemblea delle iniziative portate avanti dai singoli gruppi.
Dell’esperienza di Montebelluna, è stato evidenziato come qui non siano attivi i singoli cittadini quanto le famiglie, che sono corpi intermedi. Inoltre, questa modalità di gestione degli interventi verso le famiglie è diventata, negli anni, una vera politica pubblica.
I ” rifiuti responsabili ” del varesotto
Il caso, presentato dal sindaco del comune di Malgesso, ha interessato 38 comuni del varesotto (16mila abitanti) per l’elaborazione del piano dei rifiuti. L’obiettivo era quello di decidere dove istallare l’impianto di smaltimento e come farlo e si è scelto di avviare un processo partecipativo.
Complessivamente, sono state coinvolte 15 persone in un processo molto strutturato che si è aperto stabilendo le regole e gli obiettivi condivisi. I partecipanti sono stati informati su tutto il processo dei rifiuti e sulle politiche sottese, per poi arrivare a definire insieme localizzazione e tipologia del nuovo impianto. Sono anche stati affrontati gli aspetti post impianto. Si è scelto di far coincidere l’area della responsabilità (chi produce i rifiuti) con quella della decisione. E la decisione è stata approvata all’unanimità , utilizzando, per l’individuazione della località , il criterio dell’autocandidatura.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Al termine del percorso, è sorta una protesta sul territorio dove era stato individuato il sito e ci si è trovati a passare da una partecipazione strutturata alla gestione caotica di un conflitto. Nonostante il processo partecipativo avesse previsto varie figure (il tutore della sensibilità ambientale o gli animatori sul territorio), nonché una compensazione per la località individuata, non si è riusciti ad evitare il conflitto.
Il caso ha stimolato un’ampia discussione. Non c’è dubbio, ad esempio, che il successo di un percorso partecipativo è condizionato dal capitale sociale di partenza. Ancora: come misurare la rappresentatività dei partecipanti? E poi: se l’amministrazione ha fatto ogni sforzo per condividere le scelte deve cedere al conflitto o imporre una decisione, anche nel rispetto di chi ha partecipato?
La scelta pubblica è stata alla fine quella di recepire alcune indicazioni per arrivare a una decisione ancora più accettabile. Ma ha evidenziato che non esiste una partecipazione, ma molte partecipazioni: in questo caso, due mondi diversi sullo stesso problema nello stesso luogo.
A St Denis si abita ecologico
Tra i casi della sessione, anche un’esperienza francese, relativa al problema abitativo in un quartiere della città di St Denis. L’area è in ristrutturazione, il vecchio quartiere deve essere raso al suolo, ma le nuove abitazioni non sono alla portata degli abitanti. In un’assemblea di quartiere, l’amministrazione viene sollecitata a intervenire per garantire alloggi a basso costo.
L’amministrazione cerca esempi cui rifarsi e trova, nel nord della Francia, un modello interessante: la costruzione di alloggi in legno intorno ad una fabbrica di legnami destinati agli operai. Un’azione a basso budget che ha coinvolto gli operai nella costruzione. Da qui l’idea di realizzare a St Denis alloggi ecologici e a basso costo (serve meno di 1 euro al giorno per riscaldarli). L’amministrazione pone come condizione che gli abitanti partecipino
Il municipio mette a disposizione i terreni al prezzo simbolico di 1 euro per 65 anni per gli abitanti, che possono comprarlo oppure rinnovarne il noleggio. Si trova una società immobiliare che costruisce le case, ripagate dagli abitanti nel tempo. La scelta ‘ambientalista’ facilita il reperimento di finanziamenti che coprono circa il 3% della spesa. Alla fine, una casa costa 15mila euro per gli abitanti. Ne sono state costruite quattro: 2 per un affitto socilae (53 euro al mese), 2 per l’acquisto. Gli abitanti hanno stipulato un contratto con il municipio per evitare speculazioni.
Il progetto ha offerto anche un modello di collaborazione con le imprese. Adesso c’è un contratto per altre 12 case e uno studio per sviluppare questo progetto per gli alloggi collettivi, sentendo però sempre i bisogni degli abitanti. La riflessione va avanti perché si è creato un bisogno.
Il bilancio partecipato del Lazio
La regione Lazio, da quattro anni, ha attivato un doppio percorso di partecipazione: diretta sul bilancio regionale e di supporto ai comuni della regione per la redazione del proprio bilancio. La regione è un ente percepito come ‘distante’ dai cittadini, che non hanno ben chiare le sue funzioni. Si è scelto di fare una legge che rende obbligatoria la partecipazione sul bilancio, lasciando però che il regolamento sia modificabile ogni anno.
Il prima problema è stato quello di raggiungere tutti i cittadini. Sono state avviate procedure che vanno oltre alle assemblee. Quest’anno, alla conclusione del percorso, è stato creato un campione di 3 persone rappresentative della popolazione regionale (quindi anche dei cittadini non attivi), che ha il compito di scegliere tra le tre proposte che hanno raccolto il maggior consenso, quella che la regione inserirà in bilancio. La conclusione del percorso è quindi quella del recepimento di una proposta inserita in bilancio e finanziata con 5 milioni di euro.
Per quanto riguarda l’assistenza ai comuni, l’anno scorso ne sono stati coinvolti 8, quest’anno 14 (su 37 totali). Sono stati messi a disposizione 15 milioni di euro per opere pubbliche scelte dai cittadini e altrettanti per azioni di sviluppo locale. Ad oggi, 25 comuni che hanno attivato processi di partecipazione.
Ravenna, parte il treno dell’integrazione
Cosa fa l’amministrazione pubblica se un gruppo di cittadini, residenti e commercianti della zona stazione, lamenta un problema di degrado e illegalità diffusa nell’area, legndolo alla presenza di stranieri? Una possibile risposta è quella del comune di Ravenna, che è voluto andare a fondo al problema.
Obiettivo del progetto Citt@ttiva, avere mediatori di comunità costantemente in zona per cogliere le problematiche, creare una rete informale con le istituzioni, ridurre la percezione di insicurezza attraverso lo scambio tra residenti e stranieri, favorire la vitalizzazione dell’area che è stata abbandonata. Soprattutto, coinvolgere i cittadini nel miglioramento della zona attraverso un punto di ascolto.
Il progetto, del quale abbiamo già parlato sulle pagine di questo sito, è partito con una prima osservazione dell’area da parte della cooperativa incaricata. Si è passati poi allo sviluppo di comunità , con la creazione di un centro di cittadinanza attiva intorno alla stazione di Ravenna. Sono state individuate e sviluppate le risorse già presenti sul territorio. Per esempio, per arredare il centro, sono stati recuperati mobili vecchi e rotti che sono stati ristrutturati con le persone: un artista rumeno ha dato colore e vita ai vecchi oggetti, incarnando la metafora del cambiamento.
Con i testimoni significativi sono stati attivati 11 focus group coinvolgendo oltre cento persone: italiani, immigrati, uomini e donne, frequentatori ecc. A loro è stato chiesto di individuare i problemi, gli aspetti positivi, le proposte di miglioramento. I risultati sono stati documentati in un’assemblea molto partecipata al comune, nell’ambito della quale è nato un gruppo guida di 36 persone che si sono attivate.
Ad oggi hanno fatto due incontri: si tratta di processi lenti. Il caso evidenzia, insomma, come da una richiesta iniziale che individuava il problema nella sicurezza, si sia capito che il tema era invece quello dell’integrazione e del disagio sociale. Su questo sono stati creati sottogruppi di azione. E la sicurezza? Il problema è ‘risolto’ con il presidio civico. E si pensa anche a formare i vigili come mediatori.
Gli anziani di Spinea si aiutano
Come ‘sfruttare’ finanziamenti per stabilizzare le politiche: questo potrebbe essere il tema del caso relativo agli interventi sugli anziani nel comune di Spinea, che si sono avvalsi di fondi regionali per trovare un nuovo approccio ai problemi attraverso il contatto tra generazioni e l’auto-aiuto.
La comunità è stata riconosciuta come soggetto collettivo capace di interloquire con le amministrazioni e mettere in campo risorse. Il settore no profit è stato coinvolto nella progettazione, oltre che nella gestione. Il tavolo di coordinamento, che raggruppa associazioni e enti (comune e asl), ha lavorato alla promozione della cittadinanza attiva per i 6-65enni, i cosiddetti ” giovani anziani ” . Ma sono stati anche formati gli operatori sociali sullo sviluppo di comunità per creare una prassi professionale interna all’ente.
Tra le azioni portate avanti, l’auto-mutuo-aiuto, la cui applicazione per gli anziani è innovativa.I problemi di solitudine e comunicazione con la famiglia sono stati al centro delle discussioni, con il risultato di trasformare il disagio in risorsa. Oggi, gli anziani hanno acquisito lo strumento e lo usano da soli.
Una delle criticità evidenziate riguarda il ruolo del tavolo di coordinamento, che è rimasto imbrigliato nel progetto. Quando il progetto è finito, si è fatta fatica a trovare nuove ragioni per restare insieme. La questione è che la comunità non può essere data per scontata.
Gli ospedali dei cittadini
Cittadinanzattiva ha presentato in sessione l’esperienza ormai pluriennale dell’audit civico nella sanità , che è un’azione italiana particolarmente innovativa. L’obiettivo è quello di valutare l’azione delle aziende sanitarie per innovarne le politiche. I cittadini non sono solo ascoltati, ma impegnati in prima persona. Si vuole dare forma al punto di vista del cittadino e, insieme, rendere trasparente l’ospedale. E non sono le aziende che invitano i cittadini, ma loro che si propongono, in applicazione del 118 ultimo comma. Gli elementi analizzati sono l’orientamento ai cittadini, la promozione di politiche, il coinvolgimento dei cittadini.
Lo scopo è quello di incidere sulla realtà e i cittadini partecipano nell’equipe di valutazione. Si decide anche dove andare a rilevare i dati, che vengono poi analizzati dalla sede centrale e restituiti come profilo dell’azienda e come confronto con le altre aziende. Il processo produce cambiamenti reali: a Reggio Emilia si è creato gruppo di lavoro che ha continuato il monitoraggio; a Nuoro è stata introdotta la carta dei servizi e adottato l’audit annualmente; nella asl di Roma, tutte le criticità sono rientrate negli obiettivi di budget dell’anno successivo.
Certo, il processo è complesso e spesso i responsabili delle aziende non sono abituati a confrontarsi con i cittadini. Lo percepiscono come un’invasione di campo. Alcuni criticano come troppo parziale la valutazione, e su questo è in atto una riflessione dentro Cittadinanzattiva. Gli indicatori vengono rivisti tutti gli anni, ma non si vuole perdere l’unicità del sistema su tutto il territorio nazionale per non avvalorare l’idea di aree di serie A e B.