“I contributi della mattinata cambiano il punto di vita rispetto a quanto visto ieri ha spiegato Ferla – e il tema è quello dei processi e degli strumenti”. Tra le suggestioni offerte ai relatori, Ferla si è soffermato sul rapporto tra democrazia rappresentativa e “democrazia diretta”, sulla differenza tra partecipazione e sussidiarietà e sul tema ancora aperto della rappresentanza.
“Nelle Pa e nei sindacati c’è ancora un radar che funziona secondo schemi passati – ha spiegato Ferla – e non coglie alcuni soggetti. Ma forse il problema non è nella realtà ma nel radar. Bisogna cambiare il modo di intercettare i soggetti che si muovono nella vita pubblica. Servono però dei criteri”.
Moro, due visioni contrapposte
“Il tema del mio intervento è come fare buon uso dei cittadini”. Così ha esordito Giovanni Moro, che si è poi concentrato sulla diversa percezione del problema da parte dell’amministrazione e dei cittadini.
“Esiste una relazione inversa tra impatto concreto delle organizzazioni dei cittadini e fiducia che raccolgono, altissima, e la scarsissima capacità di incidere nell’arena pubblica”.
“La sussidiarietà – ha spiegato moro – vive a livello costituzionale con il riconoscimento del valore dell’attivismo civico, e a livello operativo, dove però si confondono due approcci: la divisione del lavoro o l’approccio cooperativo”. Secondo Moro, bisogna dirsi che “i cittadini esistono anche senza la sussidiarietà: molte cose le fanno da soli o anche contro l’amministrazione. La sussidiarietà come interazione, esercizio comune e coordinato (in termini di dialogo strutturato, collaborazione o partnership) è specifica”.
Sugli stessi temi organizzazioni civiche e amministrazioni hanno visioni spesso divergenti. “Una ricerca sulle policy a livello europeo – ha raccontato Moro – dimostra il divario tra quello che fanno le organizzazioni effettivamente e quello che le amministrazioni pensano debbano fare. Si rischia di creare strade parallele che non si incontrano”.
Moro si è soffermato anche sul tema della rappresentanza, chiedendosi se è vero che è il contrario della partecipazione. “È difficile misurare la rappresentatività di associazioni che rappresentano chi non può esserci (disabili gravi, clandestini, ecc.). Ci sono moltissimi paradossi e molti rischi. L’applicazione dei criteri quantitativi è rischioso”.
Anche qui amministrazioni e cittadini hanno punti di vista diversi. “Le amministrazioni hanno i loro criteri. I cittadini sentono questi criteri formali sopravanzati da criteri ‘fantasma’”. Cosa si può fare allora? “Ripartire dalla distinzione tra rappresentanza e rilevanza”, è la risposta di Moro. “La rilevanza è un concetto contestuale. Si possono trovare criteri condivisi per scegliere le organizzazioni più adeguate per il problema che si deve affrontare”.
Sassoli de bianchi, trasparenza è efficienza
“Civicum è una fondazione indipendente che ha come missione lo sviluppo della partecipazione per avere una pubblica amministrazione più efficace e efficiente”. Questo il biglietto da visita di Federico Sassoli de Bianchi, che ha spiegato: “Civicum è nata quattro anni fa da imprenditori e professionisti che vedono il problema dello sviluppo dell’Italia proprio nella Pa”.
La fondazione si è concentrata sui temi della trasparenza e della comunicazione. “maggior trasparenza – ha detto il presidente – vuol dire efficacia ed efficienza: è una battaglia etica per liberare risorse per i più deboli. La Pa deve ritrovare anche nella comunicazione un senso alto di quello che fa. E i cittadini devono cominciare a sentirsi ‘azionisti’ dello stato”.
La proposta concreta che Civicum ha presentato è quella di un nuovo formato di bilancio comunale. “Come azionista – ha spiegato Sassoli de Bianchi – il primo diritto che hai è quello di avere un rendiconto. Può trasformarsi in qualcosa di comprensibile ma esaustivo (quindi oltre il bilancio sociale). Civicum ha condotto una ricerca su come lo fanno nel mondo e ha elaborato un modello ideale, presentato poi ai comuni”
Civicum è anche andata a vedere come sono i bilanci dei comuni italiani e quanto si discostano dal modello, dando “i voti”. In cima alla classifica ci sono Trento, Firenze e Roma, unici comuni che hanno la ‘sufficienza’ sulla comprensibilità del bilancio. “L’obiettivo – ha detto il presidente – è quello di ripetere l’indagine tra un anno e verificare i miglioramenti. Poi sui primi quattro comuni italiani (Milano, Napoli, Roma, Torino) è stato fatto un lavoro di analisi dei conti e dei servizi”.
Kostmayer, radiografia del cittadino americano
“Quando sono stato eletto al Congresso nel 1976), ho promosso una riunione sui grandi problemi dell’America – la guerra, l’economia eccetera. Ma una donna mi ha interrogato sulla raccolta del pattume”. Ha esordito con questo aneddoto Kostmayer che, oggi impegnato nella promozione civica, ha un passato in politica.
“L’idea di cittadinanza negli Usa rispetto a quella italiana è diversa – ha spiegato – perché c’è il mito dell’uguaglianza, mentre la società è stata fondata sugli schiavi. Al primo voto ha partecipato solo il 6% della popolazione: gli uomini bianchi. Donne, nativi e schiavi non avevano il diritto di voto”.
“Ma – ha sottolineato Kostmayer – l’idea di cittadinanza si è sviluppata nel tempo, come ha sottolineato Toqueville. È nata sull’idea che il governo è male: Reagan diceva che il governo non è la soluzione ma è il problema. Anche l’idea dell’assenza di leggi è un’idea di cittadinanza (wild west)”.
Altra caratteristica della società americana è quella dell’immigrazione e del suo ruolo. “A New York – ha spiegato Kostmayer – il 6% della popolazione è immigrata o figlia di immigrati. Bisogna conviverci, non perché ci amiamo, ma perché è funzionale. Gli americani sono molto orgogliosi di questa idea di praticità. Gli immigrati sono diventati parte della società statunitense”.
Ultima caratteristica, è quella del coinvolgimento politico. “L’atto che definisce la cittadinanza negli Usa è il voto, ha scritto un docente di Harvard. In Italia penso sia diverso, non c’è questo legame così forte tra cittadinanza e voto”.