L’incontro, tenutosi presso la sede della facoltà di Scienze politiche, si proponeva di infondere il messaggio positivo per cui la recessione può diventare un’opportunità di cambiamento verso uno sviluppo sostenibile. Per questo motivo ospite indiscusso è stato un grande esperto della green economy, presidente della Foundation on Economic Trends e della Greenhouse Crisis Foundation, nonché scrittore affermato, l’americano Jeremy Rifkin.
La Sapienza ha già dimostrato di possedere una certa sensibilità su queste tematiche. Ha, infatti, introdotto un vero e proprio corso di laurea in “Cooperazione e sviluppo” e ha conferito una laurea honoris causa a Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace e padre del microcredito.
Le banche tornino a fare credito
Dopo i saluti delle autorità accademiche, la parola è passata a Fabio Salviato, presidente di Banca Popolare Etica. Salviato ha iniziato il suo discorso presentando innanzitutto lo scopo principale di Banca Etica, ovvero quello di occuparsi dei cosiddette organizzazioni o soggetti a “rischio massimo”, finanziando quei progetti che una banca “normale” non finanzierebbe mai senza adeguate garanzie.
Il presidente, però, con dati alla mano ha dimostrato che in una situazione di crisi come quella attuale, in cui la maggior parte delle banche presenta tassi di sofferenza altissimi, quello di Banca Etica non sembra essere così grave. Le realtà sociali di cui questa banca fuori dal comune si occupa, quindi, non sono né così rischiosi, né tantomeno infruttuosi.
Il problema delle banche è, secondo Salviati, quello di aver perso con il tempo il loro ruolo principale di fare credito: la banca deve tornare a “fare banca” mettendo fine, o quantomeno limitando il processo di finanziarizzazione che la vede sempre più coinvolta.
E’ per questo che risulta necessaria e fondamentale l’introduzione di nuove regole valide per tutti che abbiamo alla base i principi di trasparenza, tracciabilità e controllo. Una scommessa per i prossimi dieci anni: lo sviluppo di nuove realtà imprenditoriali e sociali per un futuro migliore.
Rifkin e la terza rivoluzione industriale
La seconda parte del seminario è stata dedicata a una lunga e stimolante intervista all’ospite internazionale Jeremy Rifkin, condotta da Lucio Caracciolo, direttore di “Limes” (rivista italiana di geopolitica).
La tesi principale sostenuta da Rifkin è quella della “terza rivoluzione industriale e di un’Europa sociale”: secondo l’economista americano, infatti, l’epoca dei combustibili fossili che ha segnato la seconda rivoluzione industriale, è finita.
Gli Stati si devono riorganizzare per affrontare un mutamento epocale che ha sullo sfondo la salvezza del pianeta dalla minaccia del riscaldamento globale. Le previsioni fatte dagli esperti sono infauste, e dicono che entro la fine di questo secolo, in conseguenza delle attività umane, la temperatura globale sarà aumenteta probabilmente di tre gradi Celsius, per arrivare a un livello non più raggiunto dal pianeta Terra da ben tre milioni di anni. Gli scienziati ci avvertono che un cambiamento climatico di questa portata metterà a repentaglio la stessa civiltà umana e il futuro del pianeta.
Il tramonto dell’era del carbonio
Secondo Rifkin, due sono gli obiettivi da raggiungere con la massima sollecitudine possibile:
• la massimizzazione dell’utilizzo delle energie rinnovabili (energia solare, eolica, termica, da biomasse e da onde del mare);
• la transizione all’era dell’energia da idrogeno. L’idrogeno è il più leggero degli elementi, il più abbondante nell’universo, che utilizzato come fonte energetica non da luogo a scorie né a sottoprodotti. Quella dell’idrogeno è la partita finale da vincere per entrare nell’era del dopo-carbonio.
La storia la fanno i grandi o i piccoli?
Questo il quesito posto alla platea dall’ultimo oratore della giornata, il presidente del Comitato etico di Banca Etica, Leonardo Becchetti. Il più delle volte, si ha l’idea che a fare la storia siano i “grandi”, i potenti, e in parte è vero. Ma se ognuno di noi iniziasse a credere nel cambiamento, a mettersi in rete per attivarsi e concorrere a costruire qualcosa, a quel punto, i “grandi”, non potrebbero far altro che prenderne atto. Da soli sembra impossibile, insieme si può fare.