All’incontro, che si è tenuto presso la sede romana della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, erano presenti, inoltre, Virgilio Dastoli (Rappresentanza in Italia della Commissione europea), Cesare Pinelli (università Sapienza di Roma), Daniela Piana (università di Bologna) e Giovanni Moro (Fondazione per la cittadinanza attiva). Tutte anime critiche e studiosi attenti che, partendo dal libro in esame, hanno offerto interessanti spunti di riflessione sui risvolti spesso preoccupanti dell’attuale momento storico-politico italiano.
Negli ultimi anni il tema della qualità della democrazia si è affermato nel mondo quale principale filone di ricerca politologica, assumendo in Italia alcuni tratti specifici. Il caso italiano ha ispirato una nutrita letteratura critica relativa ai temi del populismo, dell’antipolitica e della sfiducia nelle istituzioni, suggerendo la possibilità che l’Italia possa diventare una democrazia "senza qualità".
Marco Almagisti, nel suo libro, rintraccia gli elementi fondamentali della democrazia italiana nel rapporto fra culture politiche locali e istituzioni nazionali con particolare attenzione al ruolo di rappresentanza territoriale svolto dai partiti e ai continui cambiamenti sociali che nel tempo si sono susseguiti.
Che cos’è il capitale sociale?
Una democrazia, dice l’autore, si basa essenzialmente sul rapporto tra regole, procedure e quelle che lui chiama “eccedenze”: le eccedenze rappresentano il capitale sociale.
Il ruolo democratico dei cittadini, infatti, non trova la sua unica espressione nel pur fondamentale diritto di voto, ma anzitutto nel concorso alla formazione di quella cultura che deve necessariamente trovarsi alla base di un sistema politico, affinché questo possa svilupparsi e durare nel tempo. Una cultura che si forma a partire dai piccoli centri per poi influenzare aree più vaste radicandosi nei luoghi con una maggiore quantità di terreno fertile.
Riconoscere le autonomie locali, in quello che è stato uno dei compromessi della Costituente risultava, allora come adesso, una condicio sine qua non per un sano sviluppo della democrazia, assumendo il compito di controllare e “smistare” le tensioni sociali. L’impatto tra federalismo e capitale sociale è reciproco: il decentramento aiuta la democrazia, ma allo stesso tempo è solo una società attiva che porta, in maniera naturale, al decentramento.
Non mancano certo i problemi riassumibili in due punti essenziali:
- il divario di capitale sociale tra le regioni;
- il possibile effetto “scarica barile” delle tensioni dal centro alla periferia.
Cittadini-attori
Il capitale sociale è costituito da quelle regole implicite che, una volta interiorizzate, rendono possibile non solo la democrazia, ma anche lo stesso vivere civile. La soluzione dei piccoli grandi problemi, infatti, va ricercata e trovata prima che arrivi nelle grandi arene democratiche.
Le regole implicite, però, possono essere positive – come tutti ci auguriamo che siano – e, dunque, rappresentare una risorsa per lo sviluppo democratico, ma possono essere anche negative e mettere a repentaglio la buona salute di tutto il sistema.
Il problema è che il capitale sociale “non si fa”, ma deve crescere spontaneamente e svilupparsi sano e florido portando con sé la consapevolezza che gli uomini e le donne di uno Stato democratico, prima di essere elettori e cittadini, sono degli attori sociali. Attori dello “spettacolo” della democrazia della delega, a cui non basta più avere una parte secondaria che si esaurisce con la partecipazione al voto, ma che vogliono tornare ad essere i protagonisti di una democrazia fatta innanzitutto per e con loro.