Ad introdurre i lavori e le relazioni è stato il coordinatore nazionale del Prin, nonché Presidente di labsus, Gregorio Arena.
Il Prof. Arena ha subito posto l’accento sull’eventualità di spostare l’attenzione in maniera particolare sulla democrazia deliberativa rispetto a quella partecipativa.
La democrazia deliberativa investe l’intero modo dei cittadini di stare nella società, rappresentando di per sé un modello innovativo di continuo confronto di diversi punti di vista.
La proposta ha suscitato alcune perplessità soprattutto perché, si è detto, che per concentrarsi maggiormente su uno dei due concetti, bisognerebbe innanzitutto averne chiara e approfondirne la differenza e con essa le diverse sfaccettature.
Unità operativa “Luiss”
Gian Candido De Martin, in rappresentanza dell’unità operativa dell’università Luiss di Roma, ha esposto il lavoro e gli studi fatti in materia Prin, parlando innanzitutto della necessità di tener conto dei due diversi modelli di democrazia.
Assumendo come sfondo l’approccio federalista, risulta necessario fare due considerazioni.
In primo luogo l’esigenza di alzare il tasso di legittimazione, e in secondo luogo, fare i conti con l’incapacità dell’uomo contemporaneo di percepire l’interesse generale.
Fondamentale a tal proposito risulta essere il ruolo dei gruppi di interesse.
Il Prof. De Martin, inoltre introduce il tema della Cittadinanza sociale, ovvero, di quello status che non si ottiene dallo Stato, ma che si acquisisce semplicemente vivendo in una determinata realtà ed interessandosi ai beni comuni che la caratterizzano.
Sarà proprio la cittadinanza sociale l’argomento sul quale sarà incentrato il convegno che si svolgerà alla Luiss il prossimo 6 novembre sulle fonti della democrazia partecipativa.
Il convegno consterà di due parti: una dedicata agli aspetti generali nella quale si farà il punto sulla distinzione concettuale tra democrazia partecipativa e deliberativa; l’altra, essenzialmente dedicata alla cittadinanza sociale.
Speaker esterni saranno: Sebastiano Maffettone, Raffaele Bifulco, Guido Sirianni, Giuseppe Cotturri e Giovanni Moro.
Le conclusioni saranno affidate a Gregorio Arena.
Unità operativa di Perugia
Dopo Gian Candido De Martin, a prendere la parola in rappresentanza dell’unità operativa dell’università di Perugia, è stata Alessandra Valastro.
La Prof.ssa Valastro ha iniziato la sua relazione parlando di come il concetto di partecipazione sia andato ampliandosi sempre più: non più singoli procedimenti, ma una costellazione di politiche pubbliche.
Questa “costellazione” pone il problema di trovare delle regole che disciplinino e legittimino la partecipazione.
Attualmente ci si trova davanti tanti scampoli deliberativi che però sono al di fuori di un disegno organico. In realtà un processo regolativo è in atto, e la particolarità sta proprio nel carattere reticolare e spontaneo con cui vanno emergendo questi pezzi di regolazione.
Secondo Alessandra Valastro bisognerebbe prendere la guida di questo processo regolativo superando l’empirismo che connota i tentativi finora realizzati, arrivando finalmente alla costruzione di regole a regime.
C’è stata una sperimentazione spontanea normativa; ora si tratta di passare ad un’analisi sistematica.
Lo si deve fare secondo tre linee:
- innanzitutto partendo da un approccio federalista;
- in secondo luogo, facendo riferimento alle politiche pubbliche;
- infine, occupandosi di pretese partecipative, della questione dei diritti e delle garanzie costituzionali, con una particolare attenzione ad una eventuale gradazione nella partecipazione.
Parlando di diritti partecipativi non si può non fare riferimento ad un intreccio di diritti individuali, politici e sociali.
La libertà si acquista partecipando a gruppi…la sovranità, ci dice Esposito, è in chi la esercita.
Ma quali sono gli oggetti della partecipazione?
Se ne possono indicare almeno tre.
Si può parlare, infatti, di partecipazione ai processi politico-normativi, di partecipazione all’elaborazione di norme tecniche e di partecipazione alla funzione di controllo.
Questi ed altri temi saranno affrontati nel convegno che si terrà a Perugia l’11 e il 12 marzo del prossimo anno, al quale interverranno ospiti e studiosi italiani e stranieri, puntando alla comparazione dei diversi modelli di partecipazione e delle diverse esperienze democratiche.
Unità operativa “Bocconi”
L’ultimo intervento è stato quello di Fabrizio Fracchia, in rappresentanza dell’unità operativa dell’università “Bocconi” di Milano che si occupa del tema dell’ambiente, in quanto cartina di tornasole del diritto pubblico.
Lo studio della materia ambientale risulta essere importante ai fini della mission del Prin.
E’infatti proprio sull’ambiente che si riflettono tutte le ambiguità e i rischi di una partecipazione sbilanciata.
In più, come fa notare Gregorio Arena, molti casi di partecipazione e di recupero di sovranità da parte dei cittadini, riguardano proprio l’impatto ambientale e lo sviluppo sostenibile.
Quando si tratta di diritti essenziali al proseguimento della specie umana sulla Terra, i cittadini si dimostrano pronti a revocare quella delega in bianco data alle istituzioni.
Il Prof. Fracchia pone all’attenzione di un pubblico interessato e incuriosito dall’argomento, i suoi studi in materia di evoluzione del diritto dell’ambiente, che saranno oggetto di una sua prossima pubblicazione.
Non sarebbe più sufficiente, ci dice Fracchia, parlare di diritto dell’ambiente, ma di diritto allo sviluppo sostenibile, o meglio, lo sviluppo sostenibile rappresenterebbe la matrice del diritto dell’ambiente.
Ma cosa si intende con l’aggettivo “sostenibile”?
Si vuole far riferimento a quello sviluppo che, pur portando con sé miglioramenti ed innovazione tecnologica e rispondendo alle esigenze delle generazioni presenti, possa preservare quelle future.
Non più e non solo, quindi, un diritto all’ambiente unilateralmente protetto e a carattere difensivo, ma anche e soprattutto un interesse allo sviluppo, ma ad uno sviluppo sostenibile.
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato codificato dal cosiddetto Codice dell’ambiente del 26 nel quale ritroviamo una sorta di codice di comportamento per le amministrazioni pubbliche che devono dare “prioritaria considerazione all’interesse ambientale”.
Il rischio, ma nello stesso tempo la sfida per il giurista è quella di non delegare la definizione di questi concetti alla politica o alla economia.
La materia in esame ha evidentemente una forte valenza etica…Ma quale modello etico bisogna utilizzare?
Quattro sono i modelli possibili o immaginabili di rapporto fra etica e ambiente.
- Il primo è il modello deontologico, che prevede una regola astratta da rispettare e che non ammette deroghe di sorta: un dovere generale di rispettare l’ambiente; tutto o niente. E’un modello che può diventare pericoloso perché porta ad un ambientalismo troppo polarizzato.
- Poi, c’è il modello utilitaristico che si basa su un bilancio di vantaggi e svantaggi che però paga nel tempo un’ignoranza informativa e conoscitiva riguardo agli effetti che in futuro ci saranno rispetto agli interventi presenti sull’ambiente.
- Un altro modello è quello contrattualistico che si fonda su di una continua negoziazione. Il problema, in questo caso, è che i posteri e gli animali purtroppo non siedono al tavolo delle trattative.
- Infine, quello che Fabrizio Fracchia indica come l’unico modello perseguibile, quello areteico, ovvero, incentrato sulla virtù: in una situazione di incertezza e di ignoranza sulle risorse, si fa ciò che farebbe l’uomo virtuoso secondo quello che può anche essere definito modello aristotelico. Le virtù non sono uguali per tutti ed implicano un principio di differenziazione.
Le scelte di sviluppo sostenibile sono scelte che devono essere fatte dal soggetto pubblico rispettivamente nei panni di politico e amministratore.
Ma sia la politica che l’amministrazione spesso non sono proprio dei modelli di virtù: è qui che entra in campo il diritto, che ha il compito di recuperare la virtù in questi soggetti e di sopperire, quindi, ai limiti dell’etica.
Il diritto gioca un ruolo di compensazione anche là dove la scienza non arriva.
Quello all’ambiente, in realtà non si presenta come un diritto; non esiste una norma che lo attribuisca come tale.
Quando si parla di diritto non ci si riferisce all’ambiente ma, per esempio alla salute o all’integrità psicofisica.
Attingendo all’etica, si scopre che si parla di ambiente allargando l’area della moralità verso altri, inclusa la natura. I filosofi hanno reso l’ambiente come oggetto di un dovere e non di un diritto.
A questo proposito si può far riferimento all’articolo 2 della Costituzione e in particolare nella parte in cui si parla proprio di doveri inderogabili di solidarietà.
Nella fattispecie in esame, l’ambiente è oggetto di un dovere inderogabile di solidarietà in funzione della salvaguardia della specie umana.
Lo sviluppo sostenibile è proprio questo: un insieme di doveri verso le generazioni future, promuovendo però quello sviluppo della ricerca scientifica e tecnica sancito dall’articolo 9 della Costituzione.
Roberto Bin, rappresentante dell’unità operativa di Ferrara interviene sull’argomento del rapporto tra etica e diritto-dovere ambientale, chiedendosi a cosa possa servire una pur importante riflessione etica in materia, se poi tale diritto-dovere non possa essere spendibile in tribunale.
Il Prof. Bin immagina, invece, un’istruttoria sulla sostenibilità, lanciando l’idea di una sorta di bilancio pubblico che arrivi per esempio a stabilire quanto possano valere i boschi, in quella che potrebbe essere un’utile monetarizzazione del patrimonio comune.
Tante ancora sarebbero a questo punto le domande da porre e da porsi, tanti gli spunti di riflessioni nati all’interno di un gruppo intellettuale tanto stimolante quanto entusiasta del progetto che sta realizzando, ma il tempo a disposizione è per il momento terminato.
Tutto è rimandato alla prossima stimolante riunione del Prin.
In allegato l’elenco completo dei partecipanti all’incontro.