La partecipazione non va considerata come un elemento statico nella definizione di una politica sociale, ma come un processo

Così, quando vengono definite le linee guida dei diversi programmi di politica sociale, possono emergere posizioni estremamente eterogenee in merito al significato del termine “partecipazione”. Nell’intraprendere il difficoltoso tentativo di giungere a una sintesi di queste posizioni, e rilanciando la necessità di aprire nuovi spunti per il dibattito sull’argomento, l’Autore, Paolo Raciti muove dalla definizione di partecipazione presente nello studio commissionato dall’Unicef, Children’s partecipation, Roger Hart, 1992. In questo Rapporto, la partecipazione viene definita “come un processo di assunzione di decisioni inerenti la vita di un individuo e quello della comunità in cui vive”. Data questa definizione, l’Autore procede, cominciando a scindere il concetto in cinque componenti.

La componente processuale

La partecipazione non va considerata come un elemento statico nella definizione di una politica sociale, ma come un processo. Il concetto di processo richiama l’idea di un fenomeno “in divenire”, soggetto all’influenza costante di variabili che intervengono nella dinamica che fonda il processo stesso. Ciò vale anche per la partecipazione, che si esprime anche e soprattutto nei contesti e nelle concrete situazioni in cui prende vita, declinandosi in esperienze che spesso assumono direzioni inaspettate.

La componente etica
Le radici etiche dell’assunzione di responsabilità si traducono, secondo l’Autore, in una domanda fondamentale: qual è il senso di questo atto?
La radice etimologica di questi concetti contribuisce a chiarire il significato etico del processo di assunzione della responsabilità alla base delle concrete decisioni da prendere. Assumere viene dal latino ad-sumere= prendere verso di sé. Decisione deriva invece da De-cisioni= ciò che è tagliato via (caedere via). Così ad-sumere decisioni ha il significato di prendere su di sé la responsabilità della scelta, facendosi carico della propria responsabilità rispetto a quella stessa scelta. Due accezioni etiche vengono messe in luce dall’Autore: secondo la prima la partecipazione permette di interpretare l’assumere decisioni come esercizio della propria responsabilità di fronte alle scelte fatte e di fronte alle conseguenze derivanti da tali scelte. La responsabilità si delinea allora come l’ambito di costituzione della persona. Non curare il costituirsi e il consolidarsi della responsabilità nell’individuo significa minare la sua capacità di assumere decisioni, ossia la sua capacità di riconoscersi in quanto persona capace di “intenzionare” valori e di perseguirli mediante un’azione responsabile. Il concetto di persona rimanda alla storia e alla biografia del singolo, e quindi all’insieme di quelle relazioni, aspettative reciproche, processi di identificazione e auto-definizione che danno senso all’essere umano in quanto tale. Se nei processi partecipativi, non vengono create le condizioni perché il singolo cittadino o i gruppi di cittadini possano crescere in una relazione generativa col proprio contesto, non sarà nemmeno possibile parlare di partecipazione. Spesso questo concetto viene confuso con quello – più fragile e impreciso – di coinvolgimento, dove si parla ancora di utenti e clienti e si delinea un complesso di diritti e doveri di cittadinanza espressi su base formale e non sostanziale.
Nella seconda accezione, l’Autore lega l’assunzione di responsabilità a la questione del terzo, citando Emmanuel Lèvinas. Per Lèvinas la relazione fra due persone è un rapporto etico, che va oltre la semplice interazione: «Sotto questa luce partecipare vuol dire capacità e possibilità di comparare il Volto e il Terzo che inter-viene, assumendo de-cisioni secondo giustizia» (p. 162). Grazie alla presenza di questa terza istanza avviene il riconoscimento sociale della relazione fra ego e alter, che permette l’apertura all’assunzione del senso di responsabilità condiviso.

La componente esistenziale
Le decisioni che vengono prese nei processi partecipativi riguardano la vita delle persone: l’esistenza viene messa in gioco partecipando. L’individuo si apre alle relazioni e intreccia la propria storia con quella degli altri. «Ogni decisione apre nuovi sentieri lungo i quali io posso ricercare le risposte che abitano le apicalità esistenziali (la vita, la morte, il lavoro,…)» (p. 162).

La componente personalista
La partecipazione è un processo di assunzioni di decisioni inerenti la vita di un individuo, ma solo quando l’individuo diventa persona, scoprendo se stesso capace di sollecitudine, di care, la partecipazione diventa possibile.

La componente del legame sociale
È il partecipare insieme che trasforma un gruppo di individui in una comunità sociale. Il legame sociale, secondo l’Autore, si esplica nell’atto di assumere decisioni (insieme); e nell’orientamento alla costruzione di rappresentazioni e significati condivisi perché le decisioni non vengono de-cise, ma interpretate, ri-condotte all’interno di uno spazio di significati condivisi.

Tuttavia, mi permetto di aggiungere che queste riflessioni rimandano a competenze che vanno apprese, esercitate e condivise. Kurt Lewin nel 1948 sosteneva che “è errato presumere che gli individui, se abbandonati a se stessi, tendano a seguire, nella vita di gruppo, uno schema democratico”. Emerge quindi la necessità di una progettualità formativa a cui la partecipazione dovrebbe richiamarsi come ad un imperativo categorico: si impara a diventare cittadini attivi partecipando, ma il grado di partecipazione alla gestione della vita pubblica dovrebbe essere proporzionale alla valorizzazione della disposizione ad aver cura delle relazioni tra gli attori e le persone che partecipano alla definizione del bene comune.

RACITI P., Definizione di partecipazione, in A.A.V.V., Quattordici voci per un glossario del welfare, Isofol, 29, 159-168.