Il bell’editoriale di Elena Fagotto recentemente apparso sul sito di Labsus ha il merito di ordinare in modo chiaro e puntuale gli elementi centrali che caratterizzano il dibattito sulla democrazia deliberativa, un dibattito già oggi ampio e articolato, e certamente destinato a non esaurirsi in futuro. Questa previsione si fonda su due considerazioni. Innanzitutto, la prospettiva deliberativa mostra un marcato profilo interdisciplinare, costituendosi come terreno proficuo di confronto e scambio tra diversi approcci teorici e ambiti di ricerca. In secondo luogo, essa è in grado di rivelare, a differenza di altri (e molto spesso dominanti) paradigmi democratici, la peculiarità di coniugare teoria e prassi, di accordare le tesi normative alle verifiche empiriche, le intuizioni intellettuali alle sperimentazioni sociali e istituzionali, lo spessore e il rigore concettuale alla concretezza e alla realizzabilità pratica.
Se si tiene presente questa capacità di associare pensiero e azione, non può sorprendere il fatto che il dibattito sulla democrazia deliberativa stia progressivamente travalicando gli angusti confini accademici dei dipartimenti di scienze politiche e sociali, laddove è stato inizialmente relegato, per divenire patrimonio condiviso da quanti – nella politica, nella pubblica amministrazione, nella società civile e nella cittadinanza attiva – abbiano a cuore la salute e la buona sorte delle istituzioni democratiche. A queste due considerazioni se ne può poi aggiungere un’altra, di natura più speculativa: la vivacità e vitalità della democrazia deliberativa è legata a doppio filo al suo carattere “esigente”, da cui scaturisce una forte impronta critica e un largo potenziale emancipativo, fattori fondamentali per restituire forma e sostanza alla democrazia contemporanea. Proprio su questi ultimi aspetti vorremmo concentrare l’attenzione.
Un modello esigente di democrazia
A tal proposito, è utile ricordare che da un punto di vista storico e concettuale la prospettiva deliberativa si afferma a partire dalla necessità di superare i limiti di quelle teorie della democrazia centrate sulla semplice aggregazione degli interessi individuali – intesi come preferenze private e immutabili – attraverso le classiche procedure istituzionali delle elezioni periodiche e del voto di maggioranza. L’approccio deliberativo allarga invece lo spettro dell’analisi, spostando l’accento dalla procedura del voto alla dimensione discorsiva che la precede e mettendo in luce la cornice dello scambio comunicativo al cui interno le preferenze si formano e vengono espresse. In questo senso, nel corso di un processo di deliberazione pubblica in cui abbia luogo un confronto libero, argomentato e paritario tra punti di vista e opinioni differenti, è assai improbabile che le preferenze individuali restino invariate o legate alla semplice soddisfazione egoistica degli interessi dei singoli.
La trasformazione delle preferenze in direzione della considerazione del bene comune appare dunque più come la regola che non come l’eccezione, una volta posto lo sguardo alla trama discorsiva del foro pubblico. Con le parole di Seyla Benhabib, una delle più acute interpreti della prospettiva deliberativa, tutto ciò può accadere perché, nel momento in cui “presentano il loro punto di vista e la loro posizione agli altri, gli individui devono supportarli articolando buone ragioni in un contesto pubblico di fronte ai loro co-deliberatori. Questo processo di articolare buone ragioni in pubblico costringe l’individuo a pensare dal punto di vista di tutti gli altri coinvolti. (…). Nessuno può convincere gli altri in pubblico del proprio punto di vista senza essere in grado di dimostrare perché, ciò che gli appare buono, plausibile, giusto, conveniente, può anche essere tale dal punto di vista di tutti i coinvolti.”
Condizioni stringenti
La deliberazione pubblica è quindi in grado di generare norme legittime e vincolanti, poiché affonda le radici in una prassi discorsiva basata sulla scambiabilità di ruoli e prospettive, e in quanto sia rivolta al perseguimento di un accordo libero e ragionato tra eguali: un’intesa discorsivamente generata in assenza di coazioni esterne tra individui che si riconoscono reciprocamente su un piede di parità e che possono introdurre liberamente e trattare imparzialmente temi, bisogni e rivendicazioni. Pertanto, la dimensione critica ed emancipativa che caratterizza il profilo della democrazia deliberativa appare intimamente connessa alla realizzazione di stringenti condizioni capaci di sostanziare gli ideali e la pratica democratica. In estrema sintesi, è possibile riassumere queste condizioni esigenti come segue:
– l’uguaglianza dei partecipanti allo scambio deliberativo;
– l’inclusione nel processo deliberativo di tutti i coinvolti nell’applicazione delle norme oggetto di deliberazione;
– la libera, pubblica e paritaria introduzione e articolazione degli interessi;
– il perseguimento dell’intesa discorsiva;
– l’orientamento al bene comune.
Si tratta di elementi che conservano una certa carica di rottura, chiamando in causa l’assetto politico e istituzionale delle nostre democrazie e prefigurando uno scenario di maggiore e migliore articolazione delle regole del gioco democratico, a partire da quelle che definiscono la relazione tra chi governa e chi è governato. Non a caso, in questa luce possono essere inquadrate e ricomprese tutte le innovazioni procedurali e istituzionali, molte delle quali ricordate da Elena Fagotto – dalle giurie popolari ai sondaggi deliberativi, dai town meetings fino ai bilanci partecipativi, senza dimenticare le buone pratiche di sussidiarietà orizzontale – che mirano proprio a integrare le forme e le funzioni della rappresentanza, aprendo spazi di deliberazione e partecipazione pubblica in modo tale da conseguire decisioni pienamente legittime, condivise e supportate da buone ragioni. Ma se da un lato è fondamentale sottolineare che l’attivazione e il coinvolgimento della società civile sia decisivo per realizzare le promesse della democrazia deliberativa, dall’altro è necessario chiedersi anche quale relazione intercorre tra democrazia deliberativa e società civile.
Affinità elettive
Per rispondere a questo interrogativo, si potrebbe sostenere in prima approssimazione che tra la società civile e la democrazia deliberativa esista una sorta di affinità elettiva. È infatti possibile guardare alla società civile come a una terza sfera rispetto a Stato e mercato, segnata da un tessuto di relazioni sociali e comunicative e dalla presenza di un ordinamento giuridico fondato sui diritti fondamentali dell’individuo. Il medium dell’intesa linguistica intersoggettiva, piuttosto che quello del potere burocratico (nell’amministrazione statale) o del denaro (nel mercato degli scambi economici), regola le interazioni e le aspettative di comportamento che si stabiliscono al suo interno. Va poi sottolineato il fatto che, a differenza del potere e del denaro, l’intesa discorsiva sia la sola a poter generare una risorsa tanto preziosa per le istituzioni democratiche e le relazioni sociali quanto scarsa e minacciata dall’invadenza colonizzatrice degli altri due media: la solidarietà sociale.
Una pluralità di soggetti abitano il regno della società civile, muovendosi entro i suoi confini. Dai gruppi informali alle organizzazioni non governative, dalle associazioni civiche e della cittadinanza attiva ai movimenti sociali, tutti questi attori definiscono uno spazio di interazione e azione collettiva intessuto discorsivamente che, attraverso livelli successivi di mediazione lega il singolo cittadino allo Stato: la società civile può dunque essere interpretata come il regno delle associazioni intermedie retto dal principio dell’adesione volontaria da parte dei membri associati. Un ulteriore elemento da considerare è il legame tra società civile e comunicazione sociale: in questo caso la società civile assume i contorni della sfera pubblica, laddove nascono, si generalizzano e si intrecciano processi discorsivi di contestazione, negoziazione e legittimazione che investono i significati culturali, le pratiche sociali, le norme giuridiche e politiche e i valori di una collettività.
Un ideale di società civile
Dal punto di vista normativo, allora, la società civile rappresenta uno spazio di libera e pubblica discussione e associazione e di rivendicazione ed esercizio dei diritti. Essa appare come una dimensione intersoggettiva regolata da principi di uguaglianza e inclusione, sia in virtù dell’infinita varietà di pubblici e associazioni che la strutturano (e che sono a loro volta tutelati da diritti fondamentali come quelli di assemblea, comunicazione e associazione), che della sua logica discorsiva interna legata al coordinamento comunicativo delle azioni attraverso le prestazioni linguistiche dell’intesa. Inoltre, la società civile costituisce un terreno di coltura per individui capaci di realizzare un integro processo di socializzazione attraverso forme libere e cooperative di partecipazione civica, di formazione ed espressione della volontà e di condivisione di spazi, idee e interessi.
Si può forse comprendere adesso il prezioso contributo offerto da una società civile robusta e pluralistica – e da una cittadinanza attiva, orientata al bene comune – nei confronti del buon funzionamento delle istituzioni democratiche. Inoltre, per chiarire la natura della sopra richiamata affinità elettiva tra democrazia deliberativa e società civile, è opportuno aggiungere che in una specifica declinazione deliberativa la società civile sia contraddistinta dalla capacità di rendere possibili, favorire e far interagire i termini di una diffusa e articolata partecipazione civica e quelli di una deliberazione libera, aperta e includente volta all’espressione pubblica di bisogni, problemi e prospettive. Con una battuta, si potrebbe affermare che nella società civile si manifesti una specifica trama deliberativa, indispensabile per sostenere l’ordito democratico.
Mai adagiarsi sugli allori
A questo punto, però, qualcuno potrebbe obiettare che la società civile sia tutt’altra cosa rispetto alla rosea descrizione che abbiamo fornito. Una voce particolarmente cinica e disincantata sulla prospettiva deliberativa potrebbe dipingere la società civile come luogo privilegiato di affermazione di gruppi sociali ben organizzati e dotati di ampie risorse, di collateralismo o subalternità con la dimensione istituzionale della politica, di cristallizzazione di forze politiche soggette a processi di oligarchizzazione e separazione dal corpo sociale, di poteri mediatici consolidati in grado di manipolare l’agenda dei temi e dei problemi all’ordine del giorno e il modo in cui essi vengono effettivamente trattati, pervertendo così i termini del dibattito pubblico e il processo di autonoma formazione dell’opinione pubblica democratica.
Si potrebbe anche far notare che non di rado agli interessi e ai bisogni dei cittadini – specialmente quelli che esprimono istanze e prospettive radicali, conflittuali e di cambiamento – sia negato un legittimo sbocco deliberativo, e che tali interessi e bisogni possano essere politicamente, socialmente e culturalmente manipolati e indotti con grande facilità, producendo una sorta di volontaria acquiescenza da parte di cittadini-subalterni. La conclusione di questa replica è ovvia: le norme democraticamente statuite tendono a riflettere determinate costellazioni di potere e rapporti di forza all’interno della società, piuttosto che l’imparziale e paritaria considerazione degli interessi e dei bisogni di ciascuno.
Nodi gordiani
Con questo, le promesse della democrazia deliberativa sembrerebbero svanire nel nulla, per trasformarsi in pie illusioni (se non addirittura in bugie). Sebbene esagerati sia nell’analisi che nella valutazione – chiunque sia impegnato nel volontariato o nella cittadinanza attiva sa che un abuso di realismo genera assuefazione, passività e accettazione dello status quo –, questi rilievi critici dovrebbero essere presi sul serio, poiché evidenziano alcuni aspetti che fino a oggi non sono stati sufficientemente indagati da chi, a vario titolo, sostiene la prospettiva deliberativa. Si dovrebbe quindi cercare di colmare queste lacune.
E in particolare sembra urgente sciogliere tre nodi, oggi particolarmente problematici:
– il ruolo anti-democratico delle élites. In presenza di ristretti gruppi di potere che accentrano la capacità decisionale nelle proprie mani, tradendo le norme di pubblicità e trasparenza, sottraendo al pubblico dei cittadini risorse e informazioni, manipolando a proprio vantaggio l’agenda pubblica attraverso l’imposizione di determinati temi e problemi, imponendo essi stessi i codici della legittimazione democratica e scavando un solco rispetto al resto della cittadinanza, sembra addirittura paradossale parlare di inclusione, uguaglianza politica e autogoverno democratico;
– la manipolazione dell’opinione pubblica. L’opinione pubblica dovrebbe rappresentare la dimensione centrale dell’autonoma formazione di una volontà popolare bene informata e orientata all’interesse generale, capace di funzioni vitali di critica e controllo democratico rispetto all’operato dei governi in carica, sostenuta da una pluralità di attori capaci di mobilitarsi, articolare e giustificare i propri punti di vista di fronte ai membri della comunità politica. Al contrario, ciò a cui si assiste oggi è la presenza di un pubblico disinteressato, apatico e disincantato (se non addirittura apertamente ostile) rispetto alla sfera delle istituzioni politiche democratiche; un pubblico assuefatto, passivo ricettore di messaggi mediaticamente confezionati, più che portatore di istanze critiche ed emancipative;
– la crisi dei partiti. Di fronte a uno scenario simile, non può stupire che anche il sistema dei partiti politici – istituzioni fondamentali che dovrebbero operare come cinghia di trasmissione dell’opinione pubblica nello Stato democratico, come connettori tra società civile e politica istituzionale e come canali di espressione e legittimazione della volontà popolare – non goda affatto di buona salute, se sottoposto a verifica empirica. I partiti (insieme del resto ad altri soggetti del pluralismo democratico, come i sindacati) hanno attraversato negli ultimi tre decenni una profonda e progressiva trasformazione del proprio ruolo all’interno della società, accompagnata da processi di chiusura oligarchica e dalla personalizzazione e spettacolarizzazione dello scontro politico.
Molti dubbi e una certezza
Ci sono quindi questioni essenziali da approfondire se si vogliono riscattare per intero le promesse della democrazia deliberativa: ad esempio, come riaffermare i principi deliberativi dell’uguaglianza, dell’inclusione, della partecipazione di fronte alla concentrazione (e alla pervasività) del potere sociale nelle mani delle élites, che erode il tessuto delle democrazie contemporanee, svuotandole di significato? Quali rimedi e accorgimenti istituzionali possono essere inoltre immaginati e praticati in presenza di una pesante crisi di legittimità che investe il sistema dei partiti politici e della rappresentanza elettorale? Come restituire un ruolo emancipativo a una sfera pubblica pervasa dal linguaggio omologato e impoverito della comunicazione mass-mediatica? È possibile, e in che termini, identificare e valorizzare – insieme alle procedure democratiche – i soggetti del cambiamento, in grado di farsi carico della riaffermazione degli ideali che stanno alla base della democrazia?
Rispetto a domande e dubbi di questa portata, è certo che nessuno sforzo isolato, nessuna intuizione solitaria, possano essere sufficienti per trovare una risposta adeguata. In tal caso, piuttosto, si dovrebbero richiamare ancora una volta, facendovi appello, i tratti salienti che come abbiamo visto caratterizzano la democrazia deliberativa: l’assunzione di un orientamento critico ed “esigente”, la congiunzione di pensiero e azione, il lavoro di concerto, in modo da convogliare e valorizzare competenze ed energie per restituire alla democrazia il ruolo decisivo che le spetta nell’orientare i valori e le pratiche della nostra società.