Lo studio, condotto dalla Camera di Commercio di Monza e della Brianza, si è soffermato sul fenomeno delle imprese individuali, soluzione più semplice rispetto alla formula della società. Si è rilevato che nei primi sei mesi del 29 sono stati 32mila gli italiani al di sotto dei 3 anni ad aprire una azienda. La regione con il maggior numero di giovani imprenditori è la Lombardia (4.772), seguita dalla Campania (3.57). I settori trainanti sono stati in primis quelli dei servizi sociali, in particolare la sanità e la cura della persona, ma una buona parte si è concentrata anche sulla ristorazione e sul settore alberghiero.
Da una prima occhiata, il fenomeno appare estremamente positivo. Nel bel mezzo di questa crisi economica, la componente giovane della nostra società si mette in moto, dando un segnale di vitalità, contrariamente alle tendenze di stagnazione e regressione. Una seconda occhiata, però, mette in luce qualche crepa in questo quadro. Come spiega Renato Mattioni, segretario generale della Camera di Commercio di Monza e della Brianza, almeno nel 2 percento dei casi non si tratta di vere nuove imprese, piuttosto di casi in cui il datore di lavoro convince il dipendente a mettersi in proprio e a svolgere il medesimo lavoro da esterno. “In questo 2 percento dei casi-spiega Mattioni-le possibilità che le nuove aziende durino pochi mesi sono davvero concrete”. Un fenomeno che appare dunque esso stesso la spia della crisi in corso. Queste imprese nascono come tentativi estremi di salvare la propria posizione. Giulio Sapelli, docente di Storia economica alla Statale di Milano, non definisce questi giovani come imprenditori veri e propri, piuttosto come operatori economici. “Quando avranno un rapporto più autonomo con l’azienda di origine allora li potremo chiamare imprenditori”, sostiene Sapelli. Quest’ultimo evidenzia comunque un segnale positivo, che consiste nell’acquisizione da parte dei lavoratori di una maggiore capacita elaborativa e di relazione, tale da consentire loro di portare all’esterno una determinata attività.
Il fenomeno dell’imprenditoria giovanile, specchio della crisi o meno, cela comunque un elemento importante. Esso rappresenta infatti una manifestazione della volontà dei giovani di assumersi rischi e responsabilità in prima persona, con lo scopo di migliorare attivamente la propria posizione e di concorrere così al progresso della società.
Essere propositivi, porsi dei traguardi, voler progredire, osare e non accontentarsi. Modi di essere e agire proiettati verso il futuro;chi meglio delle nuove generazioni può farli propri? E se è vero che il successo del singolo diviene successo della comunità, la società dovrebbe avere tutto l’interesse di porre le condizioni per tale sviluppo. Investire sui giovani è investire sul nostro futuro. Offrire gli strumenti e creare opportunità per coloro che hanno potenzialità, capacità, talento, qualità.
L’ambito dell’imprenditoria offre in linea generale il più tipico esempio di come le capacità unite alle opportunità possano condurre alla realizzazione concreta di un progetto. Il concetto di meritocrazia è insito nell’idea stessa di impresa. Per questa ragione bisognerebbe dare maggiore risalto a questi giovani self made men. Non solo a loro però. La meritocrazia dovrebbe essere un concetto esteso ad ogni ambito dell’attività lavorativa, dall’iniziativa privata, al lavoro dipendente. I giovani hanno necessità di sapere che il loro valore viene riconosciuto, che se valgono possono arrivare.
Di quest’idea è anche RENA, la Rete per l’Eccellenza Nazionale, che con il progetto Next si propone di guardare alle prossime generazioni di giovani, di occuparsi di coloro che verranno, per iniziare fin da ora a mettere in luce le opportunità di crescita e di valorizzazione di questo inestimabile capitale umano.