Lavorare nel sociale è una vocazione.
In precedenza chi sceglieva di operare in questo settore, era semplicemente mosso da volontà e dedizione.
Oggi però un’ attività stimolata soltanto da buone intenzioni non basta più. Occorre professionalità e competenza.
I nuovi professionisti del sociale devono essere persone preparate. La componente etica è sicuramente un elemento necessario, ma non più sufficiente.
Queste considerazioni sono il risultato dell’elaborazione di un’inchiesta, ‘ Voci e volti del welfare invisibile’, realizzata di recente dal Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza), Libera, Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e Rifondazione.
Da questa indagine emerge una problematica particolarmente rilevante. Il nocciolo della questione che crea contraddizione è il mancato adeguamento delle retribuzioni. Da parte degli addetti ai lavori si pretende di più, ma si paga di meno.
La causa è da ricercarsi nell’ assenza di una politica sociale nazionale. Ciò provoca la necessità di un’azione a livello locale. Gli enti locali infatti sono gli organizzatori preposti alla gestione del sociale. Così inevitabilmente si arriva ad una disomogenea articolazione dei servizi e soprattutto delle finanze.
In ogni caso l’input verso un’elevazione degli standard professionali di qualità nel settore sociale è un indice importante: il senso di appartenenza ad un qualcosa di comune che merita tutela continua a fare sempre più presa.