Entro due anni l’immigrato dovrà impegnarsi ad imparare la lingua italiana, mostrare di conoscere la costituzione, mettersi in regola con il fisco e far studiare i propri figli. Un’integrazione a punti, che può essere prorogata di un anno nel caso in cui lo straniero non raggiunga i trenta punti entro i due previsti. Se non dovesse bastare l’anno di proroga per il raggiungimento della quota suddetta allora si procederà all’espulsione.
Forca caudina o integrazione?
L’opposizione fa la voce grossa, in primis Livia Turco, che si è fatta portavoce della proposta di legge sul servizio civile per gli immigrati, ha commentato che questa intesa non può essere considerata d’integrazione, anzi foriera di una crescita degli irregolari.
“Il permesso di soggiorno a punti sarà una forca caudina e favorirà l’irregolarità (…) Nel nostro paese per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno occorre aspettare più di un anno, i corsi di lingua e cultura sono gestiti dal volontariato e dalla Chiesa, non è possibile aspettarsi altro”.
Un sistema di debiti e crediti che sembra non essere la soluzione idonea all’emergenza immigrati, secondo il Pd. Altre dovrebbero essere le strade da percorrere, come quelle proposte da Massimo Livi Bacci. L’accordo di integrazione tra Stato e immigrato, firmato al momento della domanda del permesso di soggiorno, contiene una serie di obiettivi da raggiungere in due anni, una serie di diritti e doveri che, se non rispettati, comporteranno l’espulsione scaduti i termini. Tra i doveri: la conoscenza della lingua italiana, l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, il rispetto dell’obbligo di istruzione dei minori e regolari contratti abitativi. Tra i diritti, invece, dal Viminale arriva la promessa che sarà lo Stato a farsi carico di corsi di lingua e di tutto ciò che si renderà necessario alla loro inclusione nel nostro paese.
“Per avere tutto sotto controllo e garantire standard uniformi in tutte le province”, precisa Maroni.
Tra critiche e dubbi
Il capogruppo Pd alla Camera, Gian Claudio Bressa, è ancora più duro sull’intesa e così replica: “Essere straniero in Italia vuol dire essere soggetto a una scandalosa lotteria sociale i cui giudici imbrogliano in partenza. Siamo il paese più xenofobo d’Europa. Bel risultato, complimenti a Maroni e a Sacconi”.
Una volta raggiunti i punti necessari, inoltre, l’immigrato potrà restare e ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno ma prima sarà lo sportello unico per l’immigrazione a verificare l’effettivo raggiungimento della quota “bravo e integrato immigrato”. Lo straniero dovrà fare attenzione anche al meccanismo del debito, infatti i crediti saranno decurtati, ad esempio, nel caso in cui vi siano violazioni del codice penale. Un sistema alquanto farraginoso.
L’accordo sarà applicato per il rilascio dei nuovi permessi di soggiorno e sarà anticipato da un decreto che tradurrà in fatti l’intesa tra i ministeri dell’Interno e del Welfare. Questo sistema, si dice certo il titolare del Viminale, “garantirà l’integrazione: io suggerisco allo straniero le cose da fare per integrarsi nella comunità. Se le farà, gli darò il permesso di soggiorno, se non le farà, significa che non vuole integrarsi”.
Un meccanismo simile vige anche in Canada (Budget Bill C-5), in Germania, in paesi in cui esistono, però, chiare politiche di inclusione e di integrazione, in cui non sembra esserci la stessa situazione di incertezza dell’Italia. Per questo la Turco sottolinea che il nostro paese “non è il Canada se Maroni e Sacconi vogliono imitare il Canada o gli altri paesi che hanno adottato questo tipo di sistema allora risolvano prima questi problemi e garantiscano tempi certi per i rinnovi dei permessi e corsi di lingua e cultura forniti dalla scuola pubblica".
L’accordo di integrazione, (proposto già con l’emendamento del pacchetto sicurezza), non sembra promettere le stesse garanzie agli immigrati rispetto a quelle offerte da altri paesi quale Francia, Germania o Canada. In questo accordo lo Stato si preoccupa di chiedere allo straniero solo garanzie, certezze, ma non offre nient’altro in cambio se non l’agognata "carta".
In Francia, poi, anche se la riforma del 26 prevede la stipula di un “contratto di accoglienza ed integrazione” per gli stranieri (tra i 16 e i 18 anni ammessi per la prima volta nel Paese e che intendano rimanervi stabilmente) ad occuparsi, però, dell’insegnamento della lingua, nonché dei principi costituzionali è lo Stato, sono strutture pubbliche. Di ciò, invece, non si fa menzione nell’accordo annunciato da Maroni, o meglio, non è chiaro il ruolo dello Stato. Politiche dell’annuncio che non sembrano concretizzarsi.
E’ da aggiungersi, inoltre, che il Consiglio dei ministri (Cdm) ha impugnato la legge della Regione Puglia che prevede una serie di provvedimenti che si estendono a tutti gli immigrati senza alcuna distinzione tra regolari e irregolari, come sottolinea il governo.
Questa è l’ennesima dimostrazione della complessità del fenomeno immigrazione-integrazione e della confusione che regna sovrana ad ogni livello di governo e in ogni tentativo di affrontare la questione. L’interrogativo: “Che fare?” Resta, così come l’incapacità o l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione per procedere con politiche concrete di inclusione e non di “esclusione”.