Con questa pronuncia passata quasi inosservata, il giudice amministrativo afferma un principio assai importante, oltre che innovativo: i singoli cittadini di un Comune possono impugnare gli atti con i quali l’amministrazione si esprime sulle modalità della gestione del servizio idrico integrato all’interno dell’Ambito territoriale ottimale.
La sentenza, complessivamente, si segnala per le seguenti ragioni.
Con essa si prende atto della trasformazione, per cosìdire, del ‘cittadino’ in ‘consumatore-utente’ di un servizio pubblico essenziale, in quanto tale titolare di tutte le garanzie che riconosce il cd. ” Codice del consumo ” (decreto legislativo del 6 settembre 25, numero 26; articolo 2).
Il Consiglio di Stato riconosce la legittimazione dei singoli cittadini
Segnatamente, per il giudice amministrativo, la lettura del ” Codice ” imporrebbe «di modificare in modo profondo l’orientamento precedente che assegnava agli utenti di un servizio pubblico una posizione per dir cosìsubalterna, nella migliore delle ipotesi, all’attivazione di un soggetto collettivo o portatore comunque di interessi diffusi ». Infatti, per il giudice «costituisce diritto fondamentale degli utenti l’erogazione di un servizio pubblico secondo standard di qualità ed efficienza »; sicché, agli stessi utenti deve riconoscersi la titolarità astratta di una «posizione autonoma » che «viene realizzata attraverso le modalità di gestione del servizio stesso, secondo una metodica satisfattiva coerente (…) all’ufficio della giurisdizione generale di legittimità ».
L’ambito della tutela, del resto, non può essere «circoscritto in base ad astratte quanto tradizionali concezioni », ma deve piuttosto essere considerato «nei suoi profili di stretta inerenza alla realtà effettuale e in particolare alla coerenza del sistema e alla sua capacità di dare risposte che assicurino in ogni caso l’effettività della tutela ».
Occorre notare che per il Consiglio di Stato l’accertamento per ciascun utente di questa nuova e peculiare possibilità di agire in giudizio non ha nulla a che fare con la garanzia dell’esperibilità dell’azione collettiva risarcitoria ugualmente disciplinata dal ” Codice del consumo ” (articolo 14 bis; anzi, proprio in quest’ultimo caso la legge salvaguarda l’azione individuale). Ma si deve anche aggiungere che simile legittimazione non sembra esclusa neanche dalla disciplina della ” class action ” di cui al decreto legislativo del 2 dicembre 29, numero 198 (in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici).
I vincoli degli Ato nei confronti degli enti locali
La motivazione della sentenza richiama, senza prendere tuttavia posizione, anche un altro profilo.
Può un ente locale dirsi sempre e comunque vincolato dalla sua partecipazione strutturale agli organi che hanno deliberato in ordine al contenuto e alle modalità gestionali del servizio pubblico in questione? In altre parole (e inversamente): può un Comune sottrarsi alle decisioni assunte a maggioranza nell’ambito della Conferenza dei sindaci e dei presidenti delle province quale organo positivamente deputato a decidere sulla gestione del servizio idrico?
Sul punto, come si è detto, non vi è una risposta: il ricorso, infatti, era stato originariamente proposto, in primo grado, da parte di una Provincia, proprio al fine di accertare l’illegittimità delle deliberazioni con le quali un Consiglio comunale aveva rifiutato di approvare alcune modifiche alle convenzioni di cooperazione e di gestione del servizio stipulate con il soggetto gestore e già definite all’interno dell’Ambito territoriale ottimale. Ma l’appello incidentale dei cittadini del Comune interessato, dichiarato ammissibile per il riconoscimento della legittimazione nel modo sopra descritto, ha paralizzato l’originario gravame della Provincia (dichiarato a sua volta inammissibile per carenza di legittimazione), impedendo cosìche il giudice d’appello si soffermasse sulla questione.
Si può ricordare, però, che in primo grado il Tar Lazio (Sez. Latina, 23 febbraio 27, numero 136) aveva proposto una lettura specifica, evidenziando che, quanto meno alla luce della legge regionale che in quel caso disciplina la materia, il Comune conserverebbe sempre un potere di approvare, cosìcome di non approvare, le determinazioni assunte in sede di Autorità d’ambito (cfr. anche Tar Lazio, Roma, Sez. I, 3 novembre 29, numero 1719).
La tesi in tal senso traguardata non trova consensi unanimi nella giurisprudenza, e il giudice amministrativo tende, per vero correttamente, a dare prevalenza alla normativa regionale di volta in volta applicabile e al ruolo che nella stessa si riconosce concretamente ai Comuni. Solo il dato positivo, infatti, può mettere fuori gioco l’applicazione (analogica) dei comuni e noti principi sull’impugnazione degli atti di un organo collegiale di un ente consortile da parte di un soggetto che ne faccia parte (sussiste sempre la possibilità di impugnare gli atti dell’organo collegiale ogni qual volta questi incidono sull’organizzazione, sugli obiettivi e sulle competenze del consorzio nel suo complesso, ridondando, quindi, anche a danno degli interessi del consorziato e della comunità di cui esso è a sua volta ente esponenziale: vedi le osservazioni formulate in Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 4 luglio 28, numero 88; ma vedi anche Consiglio di Stato, Sez. V, 14 aprile 28, numero 1725: «Anche se spogliato di specifiche competenze, nella sua qualità di Ente esponenziale, portatore in via continuativa di interessi diffusi radicati nel proprio territorio che fanno capo ad una circoscritta e determinata popolazione residente, il Comune (…) è, in astratto, portatore di un interesse pubblico differenziato e qualificato, diverso da quello di cui è titolare l’Autorità nel quale rientra e non può essergli negata a priori la legittimazione a ricorrere »).
Non è un caso, allora, che in altre decisioni (cfr., ad esempio, Tar Lombardia, Brescia, Sez. II, 19 novembre 29, numero 2238) si considera alla stregua di elemento insuperabile l’evoluzione legislativa (anche statale) sul ruolo ormai centrale degli organismi preposti al ” governo ” dell’Ambito territoriale ottimale e sulla necessità che i Comuni si aggreghino, superando le frammentazioni ed attribuendo ad un unico ente l’esercizio delle funzioni in materia di servizio idrico integrato ( «secondo le regole proprie della collegialità elaborate dalla Regione »: cosìTar Lombardia, n.2238/29 cit.).