Questi dati sembrerebbero dimostrare che l’iter burocratico sia diventato più semplice, ma la realtà è ben diversa, non a caso l’Italia rimane comunque indietro rispetto ad altri Paesi europei nella concessione della cittadinanza. Il perché è facilmente rintracciabile nella mancata riforma in materia più volte annunciata e mai realizzata per i contrasti che dividono sia la politica sia la società italiana sul tema dell’immigrazione.
La normativa in vigore è, infatti, la legge 91 del 5 febbraio 1992 che prevede due strade per acquisire la cittadinanza italiana, la prima, la naturalizzazione, è percorribile da tutti quegli immigrati che risiedano sul territorio italiano da almeno un periodo minimo stabilito nella legge stessa. Infatti, tale periodo varia a seconda che si tratti di: cittadini extracomunitari (almeno dieci anni); cittadini comunitari (almeno quattro anni); rifugiati politici o gli apolidi (almeno cinque anni); maggiorenni adottati da cittadini italiani ( almeno cinque anni dall’adozione).
Per quanto riguarda la seconda via, la cittadinanza può essere concessa per matrimonio con un cittadino italiano, anche se, con le modifiche recentemente apportate dalla legge 94 del 15 luglio 29 è stato prolungato, da sei mesi a due anni, il termine necessario per poter presentare la richiesta di cittadinanza. Tale termine viene ridotto della metà in presenza di figli, anche adottivi.
E’ chiaro l’intento del legislatore, in questo caso, di porre un freno ai matrimoni combinati. L’iter non è semplice nemmeno per chi è nato in Italia da genitori stranieri: acquista la cittadinanza se è stato residente, senza interruzione, fino ai diciotto anni e deve, entro un anno dal compimento della maggiore età , dichiarare di voler diventare italiano. Una situazione paradossale, con dei bambini che pur vivendo le stesse esperienze di vita dei loro amici italiani, pur parlando la stessa lingua e lo stesso dialetto sono da considerarsi stranieri.
A tutto ciò si aggiunge la lentezza della macchina burocratica che allunga i tempi dal momento della richiesta in media di altri quattro anni. Insomma, gli ostacoli da superare sono tanti, ma nonostante ciò i numeri sono in continuo aumento. Non bisogna però fermarsi ai dati, è necessario interpretarli per inquadrare gli immigrati come regolari e non come clandestini, come lavoratori e non come delinquenti, come cittadini e non come stranieri. La società italiana vive sicuramente dei problemi legati al fenomeno dell’immigrazione, ma è anche vero che la diffusione di alcuni stereotipi ha nascosto una realtà positiva, sulla quale bisogna invece soffermarsi per comprendere appieno il fenomeno dell’integrazione degli immigrati nel tessuto della nostra società .
I nuovi italiani sono per lo più albanesi, seguiti da marocchini, romeni, argentini, tunisini, brasiliani. Vivono prevalentemente nelle zone del nord Italia, in Lombardia,Veneto ed Emilia Romagna soprattutto, e sono per lo più operai, studenti e casalinghe. La maggior parte di loro ha conseguito il diploma, ma non mancano i laureati. Il loro apporto all’economia italiana è di fondamentale importanza, nonostante questo non sia percepito dalla maggior parte degli italiani. E’ un luogo comune largamente diffuso, infatti, che le politiche di integrazione degli immigrati rappresentino un costo eccessivo per lo Stato.
Questa convinzione è assolutamente bugiarda, gli immigrati contribuiscono al 1 percento della ricchezza nazionale e se è vero, che come qualunque altro cittadino italiano accedono al sistema del welfare, è anche vero che contribuiscono in maniera determinate al sistema pensionistico visto che, data la loro giovane età , ad essere pensionati sono in poche migliaia. Non solo la loro produttività è maggiore rispetto agli italiani, ma spesso contribuiscono essi stessi a creare nuovi posto di lavoro attraverso il fenomeno dell’imprenditoria immigrata che sta crescendo negli ultimi anni fino a diventare una splendida realtà soprattutto nel nord del Paese, come dimostrano gli esempi in Lombardia ed Emilia Romagna. La nostra società sta quindi rapidamente cambiando volto, tra 1 o 2 anni non sarà più la stessa, tocca alle istituzioni e alla società civile, magari anche con delle iniziative condivise, scegliere la via giusta, quella dell’integrazione, perché quella dell’emarginazione sarebbe solo una pesante sconfitta.