Il libro verde dell’Unione Europea pubblicato nel 21 definisce la RSI – responsabilità sociale d’impresa come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni di carattere sociale e ambientale nelle attività produttive e commerciali delle imprese e nel loro relazionarsi con le diverse classi di portatori d’interesse”.
Ma cosa spinge queste aziende, attività economiche tipicamente for profit, ad adottare volontariamente atteggiamenti più responsabili nei confronti della società e dell’ambiente?
La responsabilità sociale è, per l’impresa, anche e soprattutto un business. Spesso si mette in atto con l’obbiettivo di compiacere le categorie sociali coinvolte, i cittadini (ovvero i consumatori) e gli azionisti, ricevendone un positivo ritorno di immagine. Le società che finanziano progettualità e si attivano per garantire maggiore sostenibilità comunicano di più e meglio, utilizzando il loro impegno come efficace strumento pubblicitario. Chi attua politiche responsabili è una impresa “buona” e acquistare significa contribuire alle finalità positive perseguite: la RSI diviene un investimento, direttamente finalizzato a realizzare obbiettivi di profitto.
Profitto e sostenibilità
Qualunque siano gli obbiettivi primari delle società coinvolte, la responsabilità sociale resta un fenomeno assolutamente positivo; attraverso l’incentivo del profitto, l’impegno delle imprese genera ricadute positive sull’intera società e rende più sostenibile la crescita economica.
Un dato innovativo, che dimostra la nascita di una nuova consapevolezza dell’intero mondo economico, è stato il lancio nel 1999, degli indici di sostenibilità del Dow Jones, che tracciano le performances finanziarie delle imprese guidate da logiche di responsabilità sociale. L’Italia vi è ben rappresentata, con la presenza di grandi realtà quali Telecom, Eni ed Enel.
La responsabilità personale
Ma la RSI è davvero il mezzo migliore per perseguire una maggiore sostenibilità e venire incontro alle richieste di cittadini e parti sociali?
Molto spesso una impresa non vuole o non riesce a mettere in atto politiche responsabili e atteggiamenti altruisti. Mettere d’accordo le varie componenti di una società su una strategia comune è spesso una impresa impossibile e, come fa notare l’economista Milton Friedman, “utilizzare il denaro degli azionisti per risolvere problemi sociali, significa fare della beneficenza con i soldi degli altri, senza averne il permesso e tassarli senza dare un corrispondente servizio”.
Ciò non esclude che gli azionisti, con una parte dei loro utili, possano dedicarsi autonomamente a mettere in atto ciò che a livello di impresa non si è dimostrato possibile. La RSI potrebbe essere quindi efficacemente sostituita dalla responsabilità sociale personale, che offre la possibilità di farsi carico individualmente dell’impegno verso una maggiore sostenibilità, senza scaricare quest’onere esclusivamente sulle imprese.
Una crescita per tutti
Per raggiungere una economia sempre più sostenibile è necessario far leva allo stesso tempo sulla consapevolezza individuale e sulla responsabilità delle imprese, in un quadro organico che non tralasci alcuno degli attori economici. E, soprattutto, far comprendere a quelle realtà e a quei soggetti che ancora non la mettono in atto, quanto la RSI rappresenti un fattore di sviluppo, non solo per la società globale e l’ambiente, ma anche per il profitto dell’impresa. L’unione di questi due aspetti rappresenta il futuro di una economia che tende alla crescita e non all’autodistruzione.